sabato 30 aprile 2011

Lettera al Presidente in merito al Referendum sul Nucleare

Lettera al Presidente in merito al Referendum sul Nucleare

Dopo averne discusso all’interno del Movimento 5 Stelle di Vicenza, si chiede a chiunque legga il presente testo e che voglia votare il Referendum sul Nucleare, indipendentemente dal colore politico, di rendere evidente l’interesse con la seguente lettera da inviare ai Presidenti della Repubblica e della Camera attraverso le 2 apposite pagine web.
- Quirinale: https://servizi.quirinale.it/webmail/
NB: per completare l’invio della lettera è necessario cliccare sul link dell’email che verrà inviata per conferma.
- Presidente della Camera:: http://presidente.camera.it/760
Non restate inermi! Sono sufficienti 2 minuti per chiedere che non ci venga tolto il diritto di votare.
Di seguito/in allegato la lettera priva di ogni riferimento politico, in quanto è in gioco un diritto di tutti i cittadini.
Fate copia/incolla e … Passateparola.
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Oggetto: Lettera al Presidente in merito al Referendum sul Nucleare
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Pregiatissimo Presidente della Repubblica
Pregiatissimo Presidente della Camera dei Deputati
A seguito dell’approvazione presso il Senato della Repubblica dell’emendamento “Abrogazione di disposizioni relative alla realizzazione di nuovi impianti nucleari” che, di fatto, sospende solo momentaneamente la costruzione delle centrali nucleari, con la presente, io sottoscritto chiedo la Vostra attenzione sulla questione.
Seppur favorevole all’abbandono dei progetti sulle centrali nucleari, non concordo con questa modalità di attuazione puramente apparente, adottata a pochi giorni dal Referendum in quanto, con suddetto emendamento, si limiterebbe la Sovranità dei cittadini Italiani.
Inoltre, secondo quanto affermato dal Presidente Piero Alberto Capotosti (si veda il Fatto Quotidiano del 20.04.2011), si rischia un ulteriore aggravio dei costi per la riscrittura del quesito referendario, aspetto questo molto rilevante vista la grave situazione economica dei nostri Conti Pubblici.
Vi esorto, pertanto, ad intervenire, nel limite delle Vostre competenze, per evitare che l’emendamento, dannoso per i cittadini, veda attuazione prima della Consultazione Popolare.
Vi invito, inoltre, a far rispettare l’articolo 48 della Costituzione nel quale si afferma che “Il diritto di voto non può essere limitato”; non lasciate che sia tolta a noi Cittadini la possibilità di esprimerci, aumentando, al contempo, il peso sui portafogli degli Italiani.
Distinti saluti

venerdì 15 aprile 2011

La casa di Vittorio

La casa di Vittorio
da http://www.ilmanifesto.it/archivi/commento/anno/2011/mese/04/articolo/4458/

Vittorio con una bambina di Gaza
Qualche settimana fa Vittorio Arrigoni mi ha salutato tono preoccupato, ma non per la sua presenza a Gaza bensì per la salute del padre, operato di recente e in precario stato di salute. Ai genitori Vittorio è molto legato, non solo dall’affetto di figlio ma anche dalla condivisione di ideali politici. Una famiglia impegnata a sinistra, da sempre, che lo ha appoggiato in tutte le sue scelte. «Da casa mi arrivano notizie preoccupanti, per qualche settimana me ne andrò in Italia, ho voglia di rivedere mio padre», diceva. Da Gaza invece non è più partito, forse confortato da qualche aggiornamento giunto dall’Italia. Vittorio la Striscia di Gaza non la lascerebbe mai. Quel piccolo lembo di terra è diventato la sua seconda casa, anzi la prima, dove vivere e svolgere il suo impegno a difesa dei diritti dei palestinesi, sotto assedio e dimenticati dal mondo. Faceva male ieri sera vedere Vittorio bendato e con segni di violenza sul volto nel un video postato  su Youtube, con le mani legate dietro la schiena, mentre qualcuno gli tiene la testa per i capelli. Faceva davvero male se si tiene conto del lavoro svolto da Vittorio dal 2008 sino ad oggi per informare sempre, in ogni momento, attraverso il suo blog, su Facebook e con articoli per vari siti, su quanto accade a Gaza. Senza un attimo di sosta, anche di notte. «Aerei F-16 israeliani hanno colpito pochi minuti fa Rafah...un contadino ucciso da un cecchino mentre era nel suo campo...bambino ferito gravemente da una raffica», sono i messaggi che da Gaza lancia continuamente al mondo, accompagnandoli da commenti ed analisi.

Nella Striscia Vittorio Arrigoni era arrivato la prima volta come rappresentante dell’International solidarity movement, a bordo di uno dei due battelli del Gaza Freedom Movement che violando, con successo, il blocco navale israeliano di Gaza, ha aperto la strada alla nascita due anni dopo della Freedom Flotilla. Diventammo amici in quei giorni. Per il suo look da lupo di mare – berretto, pipa e tatuaggi – lo ribattezzai «Capitan Findus». A lui piaceva quel nomignolo che qualche settimana dopo divenne purtroppo azzeccato, vista la fuga a nuoto che Vittorio tentò (invano) quando venne bloccato in mare da commando israeliani giunti a fermare le barche dei pescatori palestinesi. Venne incarcerato in Israele e rispedito in Italia ma lui, dopo qualche settimana, si imbarcò su di un altro battello della GFM e ritornò a Gaza. Fu una decisione davvero importante, forse perché era consapevole di ciò che stava maturando sul terreno. Il 27 dicembre 2008 si ritrovò ad essere l’unico italiano e uno dei pochi stranieri presenti nella Striscia di Gaza durante la devastante offensiva militare israeliana «Piombo fuso». I suoi racconti pubblicati dal manifesto, chiusi immancabilmente dalle parole «Restiamo umani», rappresentano una delle testimonianze più lucide e coinvolgenti di quanto accadde in quei giorni d’inferno in cui Gaza, peraltro, era chiusa alla stampa internazionale. Con il manifesto poi Vittorio ebbe qualche incomprensione ma non aveva esitato un minuto, lo scorso dicembre, a rivolgere in Facebook e Youtube un appello ai tanti che lo seguono – e sono molte migliaia, non solo in Italia in sostegno della sopravvivenza del nostro giornale.

A Gaza Vittorio Arrigoni era tornato, senza più lasciarla, poco più di un anno fa, passando dall’Egitto, per dedicarsi alla tutela delle migliaia di contadini palestinesi ai quali Israele non permette l’ingresso nei campi coltivati situati in quell’ampia «zona cuscinetto» costituita unilateralmente all’interno della Striscia. Era impegnato anche a scrivere il suo nuovo libro. Ma Gaza è un territorio dove troppi attori, spesso solo burattini manovrati da qualcuno, cercano un ruolo da protagonisti. Tra questi ci sono i salafiti della sedicente «Brigata Mohammed Bin Moslama», ai quali non interessa nulla di Gaza e dei palestinesi e ancora meno dei loro amici. Vedono nemici ovunque, tranne quelli veri. Ieri questi presunti salafiti hanno sequestrato Vittorio per ottenere dal primo ministro di Hamas, Ismail Haniyeh, la scarcerazione dello sceicco al-Saidani, noto anche come Abu Walid al-Maqdisi, leader di Al-Tawhid Wal-Jihad, una formazione qaedista. Al-Maqdisi è stato arrestato poco più di un mese fa dai servizi di sicurezza di Hamas che da due anni sono impegnati contro le cellule salafite che agiscono soprattutto nella zona di Rafah (dove meno di due anni fa hanno persino proclamato un emirato islamico. Hamas reagì facendo una strage). Vittorio Arrigoni non merita di essere usato come merce di scambio, lui che ha sempre creduto nella dignità di ogni persona, ovunque nel mondo, a cominciare dai palestinesi. Ai suoi rapitori possiamo solo rivolgere la sua perenne esortazione: «Restiamo umani». 

UNA SCHEDA SUI SALAFITI DI GAZA (SETTEMBRE 2009)

martedì 12 aprile 2011

Corso di formazione P.B.I.

Corso di formazione P.B.I. (Peace Brigades International) Italia Onlus
Le iscrizioni si raccolgono fino al 20 maggio 2011 - pdf

Bradley Manning è vittima di torture in una prigione militare americana

messaggio da Avaaz [info@avaaz.org]

Cari amici,




L'informatore di WikiLeaks Bradley Manning è vittima di torture brutali in una prigione militare degli Stati Uniti, come parte di uno sforzo complessivo per silenziare e intimidire future gole profonde. Il governo è diviso sugli abusi a Manning. Il Presidente Obama ha a cuore la reputazione globale degli Stati Uniti, e un appello globale enorme potrebbe indurlo a mettere fine alla tortura:

In questo momento, l'informatore di WikiLeaks Bradley Manning è vittima di torture in una prigione militare americana. Manning è tenuto in totale isolamento, intervallato ogni giorno da momenti in cui viene spogliato, abusato e deriso dagli altri detenuti.

Manning è in attesa di giudizio per aver rivelato documenti contenenti segreti militari a WikiLeaks, incluso un video di soldati americani che massacrano civili iracheni. E il trattamento brutale a lui riservato sembra far parte di una campagna intimidatoria per silenziare eventuali informatori e reprimere WikiLeaks. Il governo americano sull'argomento è diviso, con alcuni esponenti che hanno criticato pubblicamente i militari per il trattamento riservato a Manning, ma finora il Presidente Obama non si è espresso.

Obama ha a cuore la reputazione globale degli Stati Uniti, e noi dobbiamo dimostrargli che ora è in pericolo. Costruiamo un appello globale enorme al governo americano per fermare le torture a Manning, mettendoci così dalla parte della legge. Firma la petizione sotto: il nostro messaggio sarà consegnato attraverso una cartellonistica d'impatto e azioni forti a Washington DC non appena raggiungeremo le 250.000 firme:

https://secure.avaaz.org/it/bradley_manning/?vl

Per metterti in contatto con Avaaz scrivi a info@avaaz.org oppure invia una lettera al nostro ufficio di New York: 857 Broadway, 3rd floor, New York, NY 10003 U.S.A. Se incontri difficoltà tecniche vai al sito http://www.avaaz.org/it.

sabato 9 aprile 2011

Brian Haw


Brian Haw iniziò la Campagna per la Pace, tuttora in corso, nella 
Piazza del Parlamento a Londra il 2 giugno 2001.

La guerra in Libia e la Costituzione (di Gaetano Azzariti)

29/03/2011
La guerra in Libia e la Costituzione (di Gaetano Azzariti)

Le ragioni del costituzionalismo sono duramente messe alla prova dinanzi alla forza brutale e senza regole della guerra. C’è da rimanere ammutoliti di fronte ai fatti drammatici ai quali assistiamo. Da un lato la convinzione che è dalla parte degli insorti che bisogna stare, dall’altro la consapevolezza che l’intervento delle potenze occidentali si gioca essenzialmente in base a calcoli politici ed economici per nulla “umanitari”. Eppure non si può tacere. Se non si vuole accettare l’idea che ci si debba ormai affidare esclusivamente alle logiche perverse della politica di potenza, se non si vuole rinunciare al governo delle leggi affidandosi completamente al governo degli uomini (buoni o malvagi che siano), diventa necessario continuare a riflettere sulla legalità della guerra.
Ed allora, pur avvertendo dell’inanità dello sforzo, è necessario tornare a denunciare, ancora una volta, che la scelta di sistema del nostro costituente è chiara e inequivocabile. La formula scolpita nel testo della nostra costituzione non si presta ad ambiguità: “L’Italia ripudia la guerra”. L’uso delle forze armate per fini bellici è prevista esclusivamente allo scopo di difesa dei confini (in realtà la costituzione assegna ad ogni cittadino e non solo ai militari il “sacro dovere” di difendere la patria) ed anche in questo caso c’è una specifica procedura garantista tesa a sottrarre al governo la decisione ultima, facendo intervenire il Parlamento e il presidente della Repubblica. La nostra costituzione non prevede nessuna forma di intervento armato fuori dai confini per la risoluzione delle controversie internazionali ovvero come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli. Nessuna interpretazione evolutiva del testo costituzionale – per quanto autorevolmente espressa - può legittimare la tesi secondo cui le limitazioni di sovranità cui l’Italia consente per assicurare la pace e la giustizia tra le nazioni possano spingersi sino a comprendere l’uso della forza bellica. Anche perché l’uso della forza è espressione massima della sovranità degli Stati, non invece una sua limitazione. Nel caso della Libia, infatti, non ci si è limitati a fornire le basi militari (limitando la nostra sovranità), ma si sta operando attivamente svolgendo un intervento diretto di aggressione armata nei confronti di un nemico cui si vuole imporre una propria sovranità.
Questo il quadro costituzionale, dal quale emerge con nettezza la scommessa del costituente. Quella stessa sfida che, dopo la barbarie del secondo conflitto mondiale, ha innervato tutte le costituzioni nazionali e che indussero gli Stati a dar vita all’Organizzazione delle Nazioni Unite, con l’esplicito compito di “salvare le future generazioni dal flagello della guerra”. La guerra è un male in sé: questa la convinzione comune tra le Nazioni. È ancora così?
Qui è il discrimine politico, ma anche giuridico e costituzionale. Non sarà l’ipocrisia del linguaggio (chiamare l’uso della forza contro una potenza straniera “azione di polizia internazionale” ovvero negare che l’Italia si trovi in “guerra”) o la diversa qualificazione data alla guerra (“umanitaria”, “giusta”, “legittima”) a rendere meno drammatica la vera questione che la storia ci propone. L’uso della guerra torna ad essere uno strumento della politica. Il diritto può tentare di limitarlo, ma il ritorno dello ius belli se forse può rendere legittimo, in base ad una ambigua risoluzione ONU, l’intervento armato sul piano internazionale, non perciò può essere interpretato come una scelta conforme alla costituzione, né – io credo – facilmente riconducibile alle finalità di quell’organizzazione che ha come sua missione specifica di assicurare la pace tra le nazioni.
Il flagello della guerra è tornato tra noi, tra le sue vittime c’è la costituzione. E non si affermi, per cortesia, che non poteva essere altrimenti. È invece questo un esito voluto, cui “siamo tutti coinvolti”, nessuno esente da responsabilità. Non si dichiari che in tempi di globalizzazione l’unico modo per stare dalla parte giusta, quella dei rivoltosi di Bengasi, è fare la guerra a Gheddafi. Non si è neppure tentato di seguire una via alternativa: prima della risoluzione 1973 che ha autorizzato l’intervento armato il Consiglio di sicurezza ha adottato solo la debole risoluzione 1970 dagli effetti irrilevanti, l’Italia ha continuato sino all’ultimo (ancor oggi in verità) a blandire il raìs, cercando di preservare tutti i propri interessi economici e i rapporti commerciali. La guerra non è stata l’ultima ratio, bensì la prima scelta per tutelare i propri interessi in nome dei diritti umani. Una storia antica si ripete, una storia che il costituzionalismo voleva archiviare per tutelare i diritti umani attraverso politiche di pace. Almeno dovremmo impedire a chiunque di affermare che ciò rientra pienamente nell’ordine costituzionale. Non è così, la guerra calpesta la costituzione.
Mi chiedo da ultimo: chi crede ancora nella superiore legalità costituzionale, nel valore vincolante delle sue disposizioni, nella scommessa pacifista che vi è contenuta, è veramente “disarmato” di fronte alle aggressioni del potere? È vera l’accusa che viene rivolta a chi non accetta la politica delle bombe di voler sacrificare per astratti principi la vita di popolazioni oppresse, siano essi i ribelli libici o quelli nelle altre infinite situazioni di illibertà e oppressione sparse nel mondo? La sfida della nostra costituzione è irrimediabilmente perduta? La mia risposta è no. Basta saper leggere la storia del costituzionalismo, che è una storia di ribellioni, di lotte contro i dittatori e per l’affermazione dei diritti umani. È il costituzionalismo che ha rivendicato il principio all’autodeterminazione dei popoli, ha legittimato il tirannicidio, ha affermato il diritto di resistenza. Siamo sicuri che la guerra è l’unica arma per rivendicare i propri diritti o quelli delle popolazioni oppresse? Essere pacifisti non vuol necessariamente dire essere pacifici.