sabato 23 marzo 2019

In Lombardia c’è chi non vuole più le bombe nucleari

pubblichiamo questo articolo del gennaio scorso...

dalla pagina https://www.internazionale.it/reportage/emanuele-giordana/2019/01/14/bombe-nucleari-ghedi

lunedì 18 marzo 2019

Per non dimenticare: Iraq, 19 marzo 2003

Benché l'Italia ripudi la guerra (verdi Art.11 della nostra Costituzione) e
nonostante la mancanza di un’autorizzazione formale da parte del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, nel 2003:
  • l'aggressione a uno Stato Sovrano, l'Iraq...
  • il casus belli delle false prove di armi di distruzione di massa...
  • la partenza di militari USA della 173 Airborne Brigade dalla caserma Ederle di Vicenza, imbarcati ad Aviano e paracadutati al nord Iraq...
  • il servile accodarsi di troppi politicanti Italiani alla decisione anglo-americana / NATO: "Nel dibattito parlamentare svoltosi il 19 marzo 2003 e conclusosi con l’approvazione di una risoluzione di maggioranza sia alla Camera sia al Senato, il Presidente del Consiglio ha tuttavia sostenuto la piena legittimità, alla luce del diritto internazionale, dell’intervento militare angloamericano"...

Iraq, il Rapporto Chilcot e il ruolo dell'Italia nel 2003:
una riflessione (ancora assente)
Alla luce del rapporto Chilcot che ha condannato l'invasione anglo-americana dell'Iraq nel 2003 che ha destabilizzato la regione, creando un vuoto che è stato presto riempito da jihadisti iracheni e stranieri, occorrerebbe, da parte dell’Occidente, una seria riflessione sulla sua politica estera, costellata di interventi non risolutivi che spesso hanno peggiorato la situazione.
 
A distanza di 13 anni [nel 2016], l’Iraq è tutt’altro che pacificato. In molti hanno riconosciuto, a partire dallo stesso presidente Obama, a Putin all’ex Segretario Generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, che “l’ISIS è una emanazione diretta di Al Qaida in Iraq”, che è stata generata dall’invasione statunitense dell’Iraq nel 2003. Le sue radici affondano infatti nello smantellamento dello Stato iracheno e del suo esercito da parte dell’occupazione militare Usa
 
Nessuna operazione militare ha senso e può dirsi risolutiva – che siano gli americani in Iraq o gli europei in Libia - se non è accompagnata da una soluzione politica. Il caso della Libia è un esempio evidente.
 
Da parte italiana, invece, anche alla luce della recente adozione del decreto per rifinanziare le missioni all’estero che ci vede ancora impegnati in Iraq  a fronte di una spesa di 236 milioni per il 2016, occorrerebbe una indagine sulle dinamiche che hanno portato ad un nostro coinvolgimento in Iraq nel 2003. Sebbene l’Italia abbia optato per una posizione di “non belligeranza” nel secondo conflitto iracheno, in Iraq abbiamo perso dei connazionali e il Governo ha fornito il suo appoggio ai governi americano e britannico sulla erronea premessa della presenza di armi di distruzione di massa di tipo chimico, batteriologico e radioattivo nell’arsenale di Saddam Hussein.
 
“Saddam Hussein non è l'unico autocrate nel mondo a possedere armi di distruzione di massa di tipo chimico, batteriologico e radioattivo”, Silvio Berlusconi, 23 marzo 2003.
L’Iraq fu invaso nel 2003 da una “coalizione di volenterosi”, come la definì l’allora presidente degli Stati Uniti George W. Bush, formata per la maggior parte da Stati Uniti e Regno Unito, e con contingenti minori di altri Stati tra cui l’Australia, la Polonia, la Spagna e l’Italia. La decisione di Bush e Blair venne criticata molto dalla comunità internazionale. Nonostante la mancanza di un’autorizzazione formale da parte del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, 200.000 soldati vennero mandati in Iraq nel marzo del 2003.   
Dopo sette anni di studi, la Commissione indipendente voluta da Gordon Brown e guidata da Sir John Chilcot ha concluso che l'invasione anglo-americana dell'Iraq nel 2003 è stata effettuata prima che le altre opzioni pacifiche per il disarmo fossero esaurite e che, nonostante espliciti avvisi, le conseguenze dell'invasione sono state sottostimate e il piano dell'Iraq dopo Saddam Hussein è stato totalmente inadeguato.     
Presentando il rapporto, Sir John Chilcot ha confermato che la “minaccia dell'utilizzo delle armi di distruzione di massa, usata da Blair a supporto della necessità di deporre Saddam, non era giustificata”.

L’ITALIA IN IRAQ
Il governo italiano sceglie l’appoggio all’alleato americano senza la partecipazione diretta alle azioni militari.
 “L’Italia non prende parte al secondo conflitto iracheno. In un comunicato del Segretariato Generale della Presidenza della Repubblica viene dato conto degli esiti di una riunione del Consiglio supremo di difesa svoltasi il 19 marzo 2003,  nel corso della quale era stata compiutamente definita la posizione dell’Italia quale Stato non belligerante. La posizione illustrata dal Governo in quella sede, prima di sottoporla al Parlamento, esclude la partecipazione di militari italiani alle azioni di guerra, la fornitura e la messa a disposizione di armamenti e mezzi militari nonché la messa a disposizione di strutture militari quali basi di attacco diretto ad obiettivi iracheni. Vengono invece previsti il mantenimento dell’uso delle basi per esigenze di transito, di rifornimento e di manutenzione dei mezzi, nonché la concessione dell’autorizzazione al sorvolo dello spazio aereo.  
 
Nel dibattito parlamentare svoltosi il 19 marzo 2003 e conclusosi con l’approvazione di una risoluzione di maggioranza sia alla Camera sia al Senato, il Presidente del Consiglio ha tuttavia sostenuto la piena legittimità, alla luce del diritto internazionale, dell’intervento militare angloamericano.

Il 15 aprile 2003 le Camere, mediante l’approvazione di risoluzioni, hanno autorizzato il Governo ad effettuare una missione militare in Iraq (denominata Antica Babilonia) con scopi di carattere umanitario. L’autorizzazione parlamentare è intervenuta ancor prima dell’adozione della risoluzione 1483 e in una fase in cui non era ancora emersa con chiarezza la difficoltà di controllo del territorio da parte delle autorità occupanti e delle autorità irachene.
 
Tali profili, e la connessa necessità per le forze armate italiane di cimentarsi anche con i problemi di stabilizzazione dell’Iraq, sono invece apparsi evidenti in occasione delle comunicazioni del Ministro della difesa, Antonio Martino, alle Commissioni esteri e difesa delle due Camere, svoltesi presso il Senato il 14 maggio 2003, che hanno dato origine ad una discussione assai più problematica in merito alla natura ed ai compiti della missione.
 
L’operazione “Antica Babilonia” si inquadra nella Forza di stabilizzazione multinazionale costituita da più di venti Paesi dopo la conclusione del conflitto. La presenza italiana è diretta a garantire la cornice di sicurezza essenziale  per consentire l’arrivo degli aiuti e contribuire con capacità specifiche al ripristino delle infrastrutture e dei servizi essenziali. Il contingente opera nella provincia di Dhi Qar (area di Nassirya), nella regione meridionale dell’Iraq, posta, per quanto riguarda la forza multinazionale, sotto il comando britannico”, si legge sul sito della Camera.

L’invasione dell’Iraq ha creato il contesto per la nascita dell’ISIS
 
In molti hanno riconosciuto, a partire dallo stesso presidente Obama, a Putin all’ex Segretario Generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan che “l’ISIS è una emanazione diretta di Al Qaida in Iraq”, che è stata generata dall’invasione statunitense dell’Iraq nel 2003. Le sue radici affondano infatti nello smantellamento dello Stato iracheno e del suo esercito da parte dell’occupazione militare Usa. Ma ironia della storia, oggi, in Iraq, gli Usa bombardano molti degli stessi uomini contro i quali hanno già combattuto due volte. Quasi tutti i leader dello Stato Islamico sono ex ufficiali dell'esercito iracheno. Come riporta il Washington Post, l'attuale leader, Abu Bakr al-Baghdadi, ha rimodellato il gruppo un tempo affiliato con al-Qaeda reclutando ex ufficiali dell'esercito di Saddam Hussein. Anche con l'afflusso di migliaia di combattenti stranieri, quasi tutti i leader dello Stato Islamico sono ex ufficiali iracheni, compresi i membri delle sue commissioni militari e di sicurezza, e la maggior parte dei suoi emiri e principi.
 
Questi ex ufficiali hanno portato all'organizzazione consulenza militare e alcune delle agende degli ex baathisti, così come la conoscenza di reti di contrabbando sviluppate al fine di evitare le sanzioni nel 1990 e per facilitare oggi il traffico illecito di petrolio da parte dello Stato Islamico.
 
Lo scioglimento dell'esercito iracheno dopo l'invasione degli Usa nel 2003, la successiva insurrezione e l'emarginazione dei sunniti iracheni dal governo dominato dagli sciiti si intrecciano con l'ascesa dello Stato islamico
38 i caduti italiani in Iraq. In totale i militari morti durante la missione «Antica Babilonia» sono 31. Ammontano invece a sette i civili deceduti in Iraq: il regista Stefano Rolla e l'operatore della cooperazione internazionale Marco Beci, l'agente di sicurezza Fabrizio Quattrocchi, il giornalista free-lance Enzo Baldoni, l'imprenditore italo-iracheno Ayad Anwar Wali, Salvatore Santoro e il funzionario del Sismi Nicola Calipari, ucciso da una pattuglia americana mentre trasportava all'aeroporto di Bagdad la giornalista del 'Manifestò Giuliana Sgrena, appena liberata. 
Ma, se si considera che l'Isis nasce in Iraq e che le sue origini vanno cercate nell' invasione Usa nel 2003 e nell'incapacità di gestire il dopo Saddam, a queste vanno aggiunte le vittime italiane dell’ISIS,  Valeria Solesin, vittima italiana degli attentati di Parigi; e se, come sostiene il Ministro degli Affari Esteri Paolo Gentiloni, le rivendicazioni dell’ISIS della strage di Dacca sono credibili,  Cristian Rossi, Vincenzo D'Allestro, Maria Riboli; Nadia Benedetti, Simona Monti, Marco Tondat; Adele Puglisi, Claudio Cappello, Claudia D'Antona.
Notizia del: 


Mercanti di armi nel mondo in guerra, America first

dalla pagina https://ilmanifesto.it/mercanti-di-armi-nel-mondo-in-guerra-america-first/

Commercio di morte. Il Sipri: gli Usa si confermano al primo posto nella classifica dei venditori, con il 36% del totale nel periodo 2014-18

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Gli Usa si confermano al primo posto nella classifica mondiale dei venditori di armi, con il 36% del totale nel periodo 2014-18, i suoi principali clienti sono nell’ordine: Arabia Saudita, Australia ed Emirati Arabi Uniti.
LO HA RESO NOTO il Sipri, prestigioso istituto svedese di ricerche sulla pace. Seguono la Russia con il 21% che ha esportato principalmente in Egitto, India ed Algeria; la Francia, con il 7% del totale, che ha esportato soprattutto in Egitto, India ed Arabia Saudita; la Germania con il 6,4% e la Cina con il 5,2%. Al sesto posto si posiziona il Regno Unito con il 4,2%, che vende soprattutto ad Arabia Saudita, Oman e all’ Indonesia. Rispetto al passato va registrato un notevole incremento delle vendite statunitensi, il calo di quelle della Russia e una forte crescita delle esportazioni francesi.
In questa poco lusinghiera classifica l’Italia è collocata al nono posto con il 2,3 % del totale, i maggiori acquirenti delle armi italiane sono: Turchia, Algeria ed Israele. Nonostante la normativa italiana in materia sia molto rigorosa, l’elenco è preoccupante: la Turchia da tempo combatte i curdi, sia nel Paese che in Siria, mentre Israele da sempre occupa militarmente i Territori palestinesi.
I dati del Sipri evidenziano un crescita a livello mondiale (+8% rispetto al periodo 2009-13 e +23% rispetto al periodo 2004-08). Ad ogni modo la crescita è trainata dalla spesa dei Paesi del Medio Oriente che hanno quasi raddoppiato le importazioni, mentre tutte le altre Regioni del Pianeta le hanno ridotte. Ciò è dovuto all’Arabia Saudita, il primo importatore mondiale che ha triplicato gli acquisti, così come l’Egitto che si colloca al terzo posto, dopo l’India. Anche l’Iraq, all’ottavo posto ha più che raddoppiato gli acquisti; il Qatar al 14° posto li ha triplicati come l’Oman, al 18° posto. Israele ha moltiplicato gli acquisti per 3,5 volte. In controtendenza, invece, gli Emirati Arabi, al settimo posto, che hanno leggermente ridotto la spesa.
TRUMP DEL RESTO, è riuscito ad ottenere dall’Arabia Saudita un mega contratto, firmato nel maggio 2017, per un ammontare di 110 miliardi di dollari. Tutta benzina per alimentare i vari conflitti nell’area. Come si vede i Paesi belligeranti o retti da dittature sono ai primi posti fra i clienti dell’industria militare e così tante armi non serviranno, presumibilmente, per essere schierate in parate di regime, ma per creare nuove tensioni e moltiplicare lutti e rovine, per lo più fra la popolazione civile e per rendere ancora più difficile una soluzione diplomatica.
DA SEGNALARE la Grecia al 28° posto fra i Paesi importatori, nonostante la cura draconiana imposta dall’Unione Europea e dalle istituzioni finanziarie internazionali, che compra armi principalmente dalla Germania! Sarebbe il caso di imporre oltre al tetto al rapporto deficit/PIL, anche un drastico ridimensionamento delle spese militari.
In tempi di recessione meglio non mettere in discussione l’industria militare, come fa il Governo Giallo-verde, perché crea occupazione e quindi anche consenso elettorale. Ma c’è chi si oppone a questa linea.
Ad esempio il Parlamento Europeo e il Senato statunitense si sono espressi per il blocco delle vendite di armi all’Arabia Saudita, in guerra nello Yemen e anche la Germania ha assunto una posizione simile. Il Ministro degli esteri di Berlino ha ribadito il divieto ad esportare armi al Regno arabo, ciò ha creato molta apprensione a Londra, visto che l’inglese BAE, ha firmato un contratto miliardario per la fornitura di aerei Eurofighter. Va posta la necessità della riconversione verso il civile.

martedì 12 marzo 2019

Sale alle stelle il prezzo della «protezione» Usa

da il manifesto del 12 marzo 2019
dalla pagina https://ilmanifesto.it/sale-alle-stelle-il-prezzo-della-protezione-usa/

L'arte della guerra. La Casa Bianca sta per presentare il piano «Cost Plus 50» che stabilisce il seguente criterio: i paesi alleati che ospitano forze Usa sul proprio territorio ne dovranno coprire interamente il costo e pagare agli Usa un ulteriore 50% in cambio del «privilegio» di ospitarle ed essere così da loro «protetti»

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A pretendere il pizzo in cambio di «protezione» non è solo la mafia. «I paesi ricchi che stiamo proteggendo – ha avvertito minacciosamente Trump in un discorso al Pentagono – sono tutti avvisati: dovranno pagare la nostra protezione».
Il presidente Trump – rivela Bloomberg – sta per presentare il piano «Cost Plus 50» che stabilisce il seguente criterio: i paesi alleati che ospitano forze Usa sul proprio territorio ne dovranno coprire interamente il costo e pagare agli Usa un ulteriore 50% in cambio del «privilegio» di ospitarle ed essere così da loro «protetti».
Il piano prevede che i paesi ospitanti paghino anche gli stipendi dei militari Usa e i costi di gestione degli aerei e delle navi da guerra che gli Stati uniti tengono in questi paesi. L’Italia dovrebbe quindi pagare non solo gli stipendi di circa 12.000 militari Usa qui di stanza, ma anche i costi di gestione dei caccia F-16 e degli altri aerei schierati dagli Usa ad Aviano e Sigonella e i costi della Sesta Flotta basata a Gaeta. Secondo lo stesso criterio dovremmo pagare anche la gestione di Camp Darby, il più grande arsenale Usa fuori dalla madrepatria, e la manutenzione delle bombe nucleari Usa dislocate ad Aviano e Ghedi.
Non si sa quanto gli Stati uniti intendono chiedere all’Italia e agli altri paesi europei che ospitano loro forze militari, poiché non si sa neppure quanto questi paesi paghino attualmente. I dati sono coperti da segreto militare. Secondo uno studio della Rand Corporation, i paesi europei della Nato si addossano in media il 34% dei costi delle forze e basi Usa presenti sui loro territori.
Non si sa però quale sia l’importo annuo che essi pagano agli Usa: l’unica stima – 2,5 miliardi di dollari – risale a 17 anni fa. È dunque segreta anche la cifra pagata dall’Italia. Se ne conoscono solo alcune voci: ad esempio decine di milioni di euro per adeguare gli aeroporti di Aviano e Ghedi ai caccia statunitensi F-35 e alle nuove bombe nucleari B61-12 che gli Usa cominceranno a schierare in Italia nel 2020, e circa 100 milioni per lavori alla stazione aeronavale statunitense di Sigonella, a carico anche dell’Italia. A Sigonella viene finanziata esclusivamente dagli Usa solo la Nas I, l’area amministrativa e ricreativa, mentre la Nas II, quella dei reparti operativi e quindi la più costosa, è finanziata dalla Nato, ossia anche dall’Italia.
È comunque certo – prevede un ricercatore della Rand Corp. – che con il piano «Cost Plus 50» i costi per gli alleati «schizzeranno alle stelle». Si parla di un aumento del 600%. Essi si aggiungeranno alla spesa militare, che in Italia ammonta a circa 70 milioni di euro al giorno, destinati a salire a circa 100 secondo gli impegni assunti dai governi italiani in sede Nato. Si tratta di denaro pubblico, che esce dalle nostre tasche, sottratto a investimenti produttivi e spese sociali.
È possibile però che l’Italia possa pagare meno per le forze e basi Usa dislocate sul suo territorio. Il piano «Cost Plus 50» prevede infatti uno «sconto per buon comportamento» a favore degli «alleati che si allineano strettamente con gli Stati uniti, facendo ciò che essi chiedono».
È sicuro che l’Italia godrà di un forte sconto poiché, di governo in governo, si è sempre mantenuta nella scia degli Stati uniti. Ultimamente, inviando truppe e aerei da guerra nell’Est Europa con la motivazione di fronteggiare la «minaccia russa» e favorendo il piano statunitense di affossare il Trattato Inf per schierare in Europa, Italia compresa, postazioni di missili nucleari puntati sulla Russia. Essendo queste bersaglio di una possibile ritorsione, avremo bisogno come «protezione» di altre forze e basi Usa. Le dovremo pagare noi, ma sempre con lo sconto.

sabato 9 marzo 2019

Italia: spese militari

dalla pagina https://www.peacelink.it/disarmo/a/46210.html


Le bombe nucleari in Italia e i rapporti con USA-NATO-EUROPA

L'aumento delle spese militari e la farsa della “sicurezza collettiva”

le Forze Armate devono mettere sempre più a disposizione le proprie competenze e capacità per compiti non militari
19 febbraio 2019
Il documento “Duplice uso e Resilienza” nasce con l’obiettivo di tematizzare meglio due concetti chiave richiamati nelle linee programmatiche presentate dal ministro della Difesa Elisabetta Trenta al Parlamento nel luglio 2018. L’approfondimento viene svolto attraverso una “analisi deduttiva” delle tendenze future originate da uno scenario “incerto, instabile e in continua evoluzione, influenzato da molteplici dinamiche”. Lo staff militare del Ministro della Difesa, dopo aver descritto una realtà costruita ad arte sulla politica della paura, teorizza che i concetti di duplice uso e resilienza siano la soluzione per rendere “sistemiche le esigenze nazionali in materia di difesa e sicurezza, quest’ultima intesa nel suo senso più ampio”.
La visione “strategica” che ne deriva sostiene che i rischi alla sicurezza collettiva, che stanno modificando il “tessuto socio-tecnologico”, siano dovuti a mutamenti avvenuti sul “piano geopolitico, economico-finanziario e tecnologico”. Tali mutamenti, di cui il documento non analizza le ragioni strutturali (diseguaglianza, polarizzazione ricchi-poveri, sfruttamento), ma che tuttavia vengono associati ad una generica e generalizzata violenza e criminalità, costituirebbero il motivo della crisi della governance in Italia, della stabilità, dell’economia e della sicurezza. Da qui la necessità da parte dello Strumento militare di adattarsi al “cambiamento dell’ambiente operativo futuro” affinché la Difesa non sia considerata più “solo uno strumento militare, bensì un vero e proprio Sistema: integrato, connesso e a più livelli”.
A sostegno di questa tesi che vuole imporre il duplice uso nei compiti tradizionali delle Forze armate, si sottolinea che già oggi il personale militare che viene impiegato in operazioni di pubblica utilità sul territorio nazionale è superiore alle 7.000 unità, contro i circa 6.000 impiegati in operazioni internazionali.I concetti duplice uso e resilienza non sono una novità, erano già presenti nel Libro bianco della Difesa redatto dal ministro Pinotti, ma intenderli come “sistema”, di fatto costruisce un meccanismo di potere con una funzione normalizzatrice finalizzato a mantenere e rafforzare un controllo sociale generalizzato. E'questo il pericoloso proposito che sottostà all’ “angelica” idea di “rendere la Difesa più vicina al mondo civile”, unico modo per avvallare i concetti di duale uso e resilienza ad uso esclusivo della “resilienza delle forze armate italiane”.
Un progetto così concepito ha bisogno, secondo il ministro Trenta, di una “vision” capace di trasformare il concetto di difesa in “un vero e proprio Sistema che si inserisca nel concetto di sicurezza collettiva dell’intero Sistema-Paese, nel cui ambito gli altri dicasteri condividano le proprie capacità nell’esclusiva tutela degli interessi nazionali”. Per supportare il paradigma del duplice uso civile e militare non solo delle tecnologie ma anche delle forze armate “multipurpose-by-design”, il ministero ha pubblicato lo studio “L'utilizzo duale della capacità della difesa per scopi non-militari” redatto dal Centro Innovazione Difesa dello Stato Maggiore della Difesa. Per quanto riguarda la resilienza si afferma che “nel sistema italiano, il concetto di resilienza è la risposta di tutto l’apparato statale ad ogni forma che possa perturbarne la sicurezza, stabilità interna e la governabilità” ovvero attacchi esterni armati, azioni deliberate destabilizzanti, calamità di origine naturale o antropica, attività malevole nello spazio cibernetico.
Si introduce così il concetto di minaccia ibrida: “le tendenze geostrategiche prevedono la continua evoluzione della minaccia ibrida, la progressiva sostituzione dell’elemento umano nel processo decisionale (OODA loop : osservare, orientare, decidere e agire) con elementi tecnologici a complessità e autonomia crescenti (hyperwar). Conseguentemente le forze armate devono evolversi verso il modello “5&5” della NATO. Nella parte III del documento si prevede l’integrazione del “5&5” della NATO con le “5 SMP” nazionali, ossia la combinazione delle Strategic Military Perspectives NATO (credible, networked, aware, agile,resilient) con le caratteristiche Strategiche Fondamentali Nazionali (efficacia, efficienza, sostenibilità economica, allineamento etico, neutralità energetica).
La realtà contemporanea, così come viene descritta nel documento, è caratterizzata da azioni di estremismo violento riconducibili ad un lungo elenco quali forze legate al terrorismo transnazionale, emergenze e crisi umanitarie, migrazioni di massa che mettono in crisi anche le relazioni internazionali, attori militari e non statali che sfruttano anche la tecnologia informatica (minaccia ibrida), criminalità legata ai rifiuti tossici e ambientali in generale, corruzione. Ma non è finita, anche il cambiamento climatico, disastri naturali e crescita demografica non omogenea (contrapposizione centro-periferia) sono da considerarsi potenziali generatori di “instabilità/pregiudizio alla sicurezza collettiva”, e dunque piuttosto che entrare nel merito delle cause, l’azione della Difesa si risolve non tanto in un conflitto armato contro un altro Stato, ma nell’assolvimento della “quarta missione”. Vale a dire che accanto alle missioni classiche di difesa dello Stato, degli spazi euro-atlantici ed euro-mediterranei, di contribuzione alla realizzazione della pace e sicurezza internazionali, le Forze Armate devono mettere sempre più a disposizione le proprie competenze e capacità per compiti non militari. E’ chiaro, secondo questa teoria, che una individuazione dei rischi che sconfina sino al supporto antinquinamento, ricerca e tutela dei beni archeologici/ culturali, svolgimento di campagne scientifiche, “utilizzo di strutture militari per eventi di promozione, di simposi e seminari legati a tematiche di pubblico interesse”, abbia bisogno di un approccio collegiale con altri ministeri quali Interni ed Esteri, Dipartimento Informazioni e Sicurezza, Protezione Civile e la collaborazione fra autorità pubbliche e soggetti privati (aziende, centri di ricerca, università, ecc.).
Alcuni dati che aiutano a comprendere come la sovrapposizione fra ministeri ed enti diversi nel campo civile, più che creare prevenzione e soluzioni coerenti rispetto alla messa in sicurezza del territorio lo militarizza provocando un perenne stato di emergenza. Il livello dei finanziamenti è talmente sbilanciato a favore dello strumento militare che non sono possibili altre interpretazioni:
PROTEZIONE CIVILE: il Dipartimento della Protezione Civile è la struttura del governo della Repubblica Italiana preposta al coordinamento delle politiche e delle attività in tema di difesa e protezione civile, facente capo alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Per il 2019 è previsto un finanziamento di 2,141 miliardi di euro.
CORPO FORESTALE: Con il decreto legislativo n. 177/2016 si è sancito l'assorbimento del Corpo Forestale nell'Arma dei Carabinieri. Il prossimo 19 marzo sarà discussa dinanzi alla Consulta la questione della legittimità della soppressione del Corpo Forestale dello Stato e dell’assorbimento del suo personale nell’Arma dei Carabinieri, cui è conseguita la loro forzata militarizzazione.
La funzione “Difesa e sicurezza del territorio” nella Legge di bilancio 2019 viene divisa in due parti o missioni. Quella inerente la tutela del territorio e ambiente viene finanziata con risorse infinitamente minori rispetto alla difesa e sicurezza.
Missione 5 - Approntamento e impiego Carabinieri per la difesa e sicurezza. Assolve la funzione di controllo del territorio, repressione della criminalità diffusa/organizzata e informatica, difesa nazionale sia in patria sia all’estero. Totale finanziamento per il 2019: 6,414 miliardi di euro. Missione 18 - Sviluppo sostenibile e tutela del territorio e dell’ambiente. Approntamento e impiego Carabinieri per la tutela forestale, ambientale e agroalimentare. Totale finanziamento 2019: 467 milioni di euro.
LEGGE DI BILANCIO 2019 e DOCUMENTO PROGRAMMATICO PLURIENNALE PER LA DIFESA 2018-2020
Dei 21,432 miliardi stanziati per il bilancio della Difesa 10,3 miliardi vanno al personale per la sola Funzione Difesa. Nella relazione “Stato di previsione della spesa per l’anno finanziario 2019” la spesa complessiva è di 21,432 miliardi di euro mentre quella totale per il personale è di 16,749 miliardi. Nel “Documento programmatico pluriennale per la difesa per il triennio 2018-2020”(DPP), i dati divergono sia dalla “Legge di bilancio 2019. Profili di interesse della IV Commissione Difesa ” sia dalla relazione “Stato di previsione della spesa per l’anno finanziario 2019”. Nel DPP si osserva esplicitamente che circa l’80% della totalità degli investimenti è concentrata dal 2027 in poi. E’ il documento in cui si elencano i programmi in essere e loro evoluzioni. Considerando le “rimodulazioni, rifinanziamenti, definanziamenti, riprogrammazioni e reiscrizione somme non impegnate” dovute a problemi di bilancio più volte esaminati, è emersa l’impossibilità di far partire immediatamente programmi come il nuovo sistema di difesa aerea CAMM ER di MBDA (che avrebbe dovuto sostituire gli attuali sistemi per la difesa aerea a corto e medio raggio di Esercito (Skyguard), Aeronautica (Spada) e Marina (Albatros), basati sul missile Aspide) a favore della “valorizzazione” del personale militare. Dal punto di vista estetico il DPP introduce una novità: ciascun programma viene contrassegnato da icone che segnalano se è “orientato verso il duplice uso sistemico” (programma Multipurpose-by-design), “Eticamente allineato” (impiego di robot e sistemi autonomi nelle operazioni militari devono rispettare le linee guida nazionali e internazionali ed essere coerenti con i valori fondanti ed etici dell’umanità), “Energeticamente neutro” e “Basato su tecnologie emergenti”. Se etica ed estetica potevano dirsi due facce della stessa medaglia, in questo caso vi è la fine dell'etica e il trionfo dell'estetica.
Il ministro precisa che il tema centrale delle linee programmatiche è la tutela del personale sia militare sia civile: “Dietro a ognuno di loro c’è una famiglia. Ci sono dei doveri ma anche dei diritti. In linea con i principi del nostro programma, ho intenzione di impegnarmi per garantire le legittime aspettative dei nostri uomini e delle nostre donne in uniforme e non, su temi che riguardano la loro vita quotidiana”, e annuncia con orgoglio la nascita del primo sindacato Italiano militari (SIM) Carabinieri per decreto. A breve quindi verranno autorizzati il SIM Esercito, SIM Marina, SIM Aeronautica, SIM Guardia Costiera e SIM Guardia di Finanza.
Spese del Ministero Difesa
Le spese del Ministero della Difesa aumenteranno dai 20,968 miliardi di euro del 2018 ai 21,432 miliardi di euro nel 2019, 21,870 miliardi di euro nel 2020 e 21,951 miliardi di euro nel 2021: 
Ma allora perché si dice che vi è stata una riduzione delle spese militari? Un taglio vi è stato nel Fondo per gli investimenti e lo sviluppo infrastrutturale previsto nella Legge di Bilancio 2017 del MEF (interventi che riguardano i trasporti, le infrastrutture, la ricerca, la difesa del suolo, l'edilizia pubblica, la riqualificazione urbana) passato da 47 MLD a 35,530 MLD. Per la sola Difesa era stata prevista una dotazione di 9,988 MLD dal 2017 al 2032. Il ministro Pinotti aveva deciso di usarne una parte per costruire il cosiddetto Pentagono italiano, struttura con i vertici di tutte le forze armate, tagliato in parte dall’attuale ministro “Si tratta di un faraonico progetto di cementificazione dell'area romana di Centocelle che sarebbe costato, da qui ai prossimi anni, 1 miliardo e cento milioni di euro”. Il Pentagono non si farà ma saranno realizzati alloggi militari, perché a guardare bene il ministro Trenta continuerà ad attingere a piene mani nel Fondo visto che, dall’esame dell’assegnazione delle risorse ai vari ministeri, si evince che se la maggior parte delle risorse sono assegnate al Ministero delle infrastrutture e trasporti (37,2 per cento), la Difesa viene subito dopo (16,4 per cento con 5,814 MLD) seguito da quello dell’istruzione (10,2 per cento). Parte di queste somme sono riservate al finanziamento di programmi sul bilancio MiSE, mentre altri ne beneficiano direttamente: microsatellite NEMOSAT, Space Surveillance and Tracking, sistema NGIFF, Ammodernamento della mobilità terrestre delle Forze Speciali, Ricerca tecnologica militare, Digitalizzazione della difesa, mantenimento delle misure d i sicurezza informatica e potenziamento della rete, satelliti Cosmo Skymed 2nd Generation, Sviluppo e potenziamento delle infrastrutture di rete della Difesa a servizio del progetto SICOTE, aeromobile a pilotaggio remoto categoria MALE, Elicotteri da trasporto ad autonomia estesa, mezzi e dotazioni impiegati in attività dual-use, Ammodernamento carro armato ARIETE (in parte finanziato anche con il bilancio ordinario), Mezzi per soccorso in pubbliche calamità, Sistema missilistico TESEO MH2E EVOLVED (finanziamento MISE preso dal fondo), Sottomarino U-212 3^ Serie (finanziamento MISE preso dal fondo), Unità navale SDO SuRS, Ammodernamento dei radar ATC, velivoli antincendio DRAGON, Autoprotezione velivoli della difesa.
Un taglio vi è stato nella voce Pianificazione generale delle Forze armate e approvvigionamenti militari, cioè riguardante l’operatività dello strumento militare, passato dai 3,697 MLD del 2018 ai 3,218 del 2019. Un aumento va alla voce riguardante il personale (16,749 MLD di cui 15,588 MLD per personale militare e 1,161 MLD per personale civile sul totale di 21,432 MDL)
Riepilogo generale: Difesa e sicurezza del territorio: Approntamento e impiego Carabinieri per la difesa e sicurezza: 6,414 MLD (con i 467 M per la tutela forestale si arriva a 6.881 MLD) ; Forze aeree: 2,716 MLD ; Forze marittime: 2,112 MLD ; Forze terrestri: 5,3 MLD ; Pianificazione generale delle Forze Armate e approvvigionamenti militari: 3,217 MLD. Sviluppo sostenibile e tutela del territorio e dell’ambiente: totale 467 M. Servizi istituzionali e generali delle amministrazioni pubbliche: 1,198 MLD.
Riepilogo per funzioni : Funzione difesa: personale 10.366 MLD; Esercizio: 1,746 MLD; Investimento: 1,869 MLD. Totale: 13.982 MLD Funzione sicurezza territorio: personale 6,383 MLD; Esercizio: 430 M; Investimento: 84 M; totale 6,898 MLD Funzioni esterne: 149 M; Pensioni provvisorie personale in ausiliaria: 401 M.
Riepilogo per settori di spesa: Personale: 16,749 MLD ; Esercizio: 2,176 MLD ; Investimento: 1,954 MLD di cui Ammodernamento e rinnovamento: 1,905 MLD e Ricerca e sviluppo: 48 M; Funzioni esterne: 149 M; Pensioni provvisorie personale in ausiliaria: 401 M. Il finanziamento per l’attività di ricerca viene ripartita fra il programma nazionale (Piano nazionale della ricerca militare)svolta presso industrie, industrie e enti di ricerca nazionali per l’81,71%, programmi europei (EDA) per l’8,36% ed ETAP per 0,42%, infine per programmi di cooperazione multilaterale (NATO, USA, Singapore, Israele, ecc.) per il 9,51%. Alle Forze speciali vanno 10 M.
Ministero dell’Economia e delle Finanze: La voce Fondo per le missioni internazionali non viene conteggiata nel bilancio Difesa ma nello stato di previsione del MEF. Per il 2019 sono stanziati 997 M. Nella Nota integrativa al Disegno Legge di Bilancio 2019 e per il triennio 2019-2021 si legge che ci sarà una“ rivalutazione della nostra presenza nelle missioni internazionali sotto il profilo del loro effettivo rilievo per l’interesse nazionale”. Dopo che il presidente USA Trump aveva annunciato la sua campagna per il disimpegno militare nelle missioni all'estero fra cui il ritiro dalla Siria (non ancora iniziato) che ha avuto come conseguenza le dimissione del capo del Pentagono Jim Mattis, e quello del ritiro di un numero "importante" di truppe dall'Afghanistan, anche il ministro Trenta ha dichiarato pubblicamente la volontà di ritirare le truppe italiane dall’ Afghanistan. Solo che lei non è il presidente degli USA che può permettersi di licenziare i suoi collaboratori (già una decina), per cui l‘annuncio è stato criticato per non essersi confrontata riservatamente con il ministro degli Esteri (non ne sapeva nulla), per non aver coinvolto Nato ed Ue, il governo afghano, il capo di Stato Maggiore della Difesa e il Parlamento. Talune decisioni si prendono non perché Trump twitta “Spendiamo 50 miliardi di dollari all'anno in Afghanistan e li abbiamo colpiti così duramente che ora stiamo parlando di pace ... dopo 18 lunghi anni", sperando nella pace con i talebani, cioè coloro per cui si è iniziata la guerra, ma perché si decide che l’Italia ha concluso il suo compito. Sempre sulle missioni estere Trenta dichiara “Ce l’abbiamo fatta: dopo 8 mesi di impasse abbiamo sbloccato la missione in Niger per il controllo dei flussi migratori!”. Al provvedimento, che fa parte della “Autorizzazione e proroga delle missioni internazionali per l’anno 2018″, inizialmente il Movimento 5 Stelle aveva votato contro mentre la Lega si era astenuta.
Ministero dello sviluppo economico: Promozione della crescita del sistema produttivo nazionale. Il MiSE contiene fondi che sostengono l’operatività del comparto Difesa. Come per il MEF si parla di extra fondi. Per l’anno 2019 il totale per la missione “Competitivita' e sviluppo delle imprese” è di 4,744 MLD di euro. I finanziamenti per il comparto della difesa e aerospazio sono: realizzazione progetti di ricerca e sviluppo tecnologico dell’industria aeronautica: 311 M (include anche legge 808/1985); Interventi per l’innovazione del sistema produttivo del settore aerospazio, sicurezza e difesa: 2,446 MLD di cui 1,015 MLD per settore aeronautico e 649 M per settore navale ; Fondo per interventi agevolativi imprese: 308 M ; Ammortamenti mutui per interventi nel settore aerospazio, sicurezza e difesa: 330 M
Nelle tabelle del MiSE si può capire il significato di “rimodulazione in senso orizzontale” di programmi quali FREMM ed EFA, e altri programmi pluriennali che fanno riferimento alla legge n. 266 del 2005 e legge 266 del 1997. I due programmi subiranno tagli, rispettivamente di - 40 M e -38 M nel 2019, -5 M e -90 nel 2020, infine -5 M e -40 M nel 2021. Inoltre vi è un taglio di 40 M per il 2019 inerente la legge 808/1985, il pari importo dovrebbe andare ad incrementare gli stanziamenti per il 2021. Programmi finanziati dal MiSE con finanziamenti indicativi presenti nel DPP 2018-2020: Addestratore basico T-345, Addestratore avanzato T-346, Programma navale LHD, Elicottero di esplorazione e scorta E.E.S., Veicoli blindati V.B.M. Freccia, Blindo Centauro 2, Piattaforma VTLM 2 per Forza NEC, Capacità antibalistica B1NT, Programma navale UNPAV, caccia Tornado (anche con Bilancio ordinario), Elicottero HH-101 CSAR.
Programmi soggetti a rimodulazione ad invarianza di saldi per esigenze di investimento per l’anno 2019, per esigenza contrattuale, perché valutati nell’ambito della programmazione di lungo termine o da attivare finanziariamente dal 2020 :
Rimodulazione ad invarianza di saldi per esigenze di investimento nell’anno 2019: Sistemi di simulazione e Live per l’Esercito, MCO sistemi satellitari è stato rimodulato anche nell’anno 2020 come caccia AV-8B 'Plus", chiamato anche Harrier II. Rimodulazione ad invarianza di saldi per esigenze di investimento contrattuale: Centro Security Force Assistance per EI, BRIN – intervento infrastrutture arsenali di Taranto, La Spezia, Augusta e Aulla, Elicottero NH-90 per EI e MM, aereo C-130J, sistemi missilistici F.S.A.F per EI e MM, Programma navale PPA, Missile Meteor, Missili AARGM, Integrazione capacità velivoli YEC-27J, Manutenzione evolutiva reti difesa, Programma navale LSS, Forza NEC digitalizzazione componente terrestre, Sistema aereo AGS velivoli UAV, APR classe MALE, Aggiornamento piattaforma Predator. Programmazione di lungo termine: Munizionamento Vulcano per EI e MM, Siluro leggero MU-90. Da attivare finanziariamente dal 2020: Potenziamento capacità FS per incursori AM, MCO sistemi satellitari.
Nel maxi emendamento alla Legge di Bilancio 2019 il ministero della Difesa riceverà un ulteriore milione di euro all’anno, dal 2019 al 2021, per rafforzare la cyber security nazionale. Servirà a riorganizzare il comparto di cyber security CIOC (Comando Interforze Operazioni Cibernetiche) che dovrebbe essere dotato anche di capacità offensive. Secondo il ministro Trenta gli investimenti in cybersicurezza devono essere inclusi nella quota del 2% che i Paesi Nato destinano alla Difesa. Ripete la dottrina già recepita a livello internazionale “il mondo del web è popolato da milioni di attori i quali, in buona parte, agiscono autonomamente e indipendentemente l’uno dall’altro. Questa è la grandezza e la potenza incredibile della rete, ma anche la sua più grande vulnerabilità”. La NATO ha da tempo un suo centro di eccellenza per la cyber sicurezza con sede in Tallin, Estonia. Il CCDCOE è una struttura di ricerca affiliata alla NATO che aiuta gli stati a prepararsi e difendersi da eventuali attacchi cyber e le sue attività sono molteplici, come ad esempio la competizione chiamata Locked Shields, dove varie squadre nazionali difendono uno stato virtuale da un pesante attacco cyber volto ad immobilizzare servizi ed infrastrutture dell’intero paese. Nel 2018 il Consiglio europeo aveva chiesto misure per rafforzare la cibersicurezza nell'Unione europea a fronte di un pacchetto di riforme presentato nel 2017. La riforma si basa sulle misure messe in atto dalla strategia per la cibersicurezza e dal suo principale pilastro, ovvero la direttiva sulla sicurezza delle reti e dei sistemi informativi – direttiva NIS (Network and Information Security), entrata in vigore in Italia il 24 giugno 2018.
CASO F-35 
Nel DPP si legge che “il programma, al momento, procede in linea con gli indirizzi e gli impegni di governo indicati nel DPP 2017-2019”. L’aumento dei finanziamenti annui del nuovo DPP (2019: 766 M, 2020: 783 M, e 2021-2023: 1,447 MLD) è da attribuire a mancate contribuzioni passate e riguarda la partecipazione alla sola FASE 1, associata alla produzione a basso rateo che si dovrebbe concludere nel 2020. La FASE 2, qualora confermata, dovrebbe iniziare, sempre secondo il DPP, nel 2021, e comprenderà finanziamenti di componenti a lunga lavorazione la cui contribuzione, non ancora definita, comincerebbe già nel 2019. La descrizione del programma conferma che la sola FASE 1 è costata 7,093 MLD e che i ritorni nazionali al 30 giugno 2018 sono stati di 3,216 MLD. 
CONSIDERAZIONI 
Ad oggi i caccia della Lockheed Martin ricevuti da Aeronautica e Marina Militare sono 10 versione F-35A ed 1 versione F-35B, altri 2 velivoli stanno finendo i voli di prova e certificazione prima di essere consegnati. I lotti di produzione contrattualizzati e finanziati dalla Difesa Italiana arrivano al lotto 14. Il ministro insiste sulla posizione che bisogna aspettare l’analisi costi e benefici prima di prendere una decisione. In realtà non c’è alcuna penalità da pagare anche se il governo precedente aveva programmato, non ordinato, ulteriori 17 caccia tra il 2020-2022. L’impegno di pagare una quota dei costi scade alla fine della 1 fase di sviluppo SDD (Block software 3F) che si conclude nel 2019 con il test di volo finale. Lockheed Martin e il Joint Program Office avevano previsto di aggiudicare con un appalto unico tre lotti (12, 13 e 14) per bloccare gli ordini e abbassarne i costi per circa 440 velivoli di cui i 17 italiani (vedere Navair Joint Strike Fighter Contracts Division; issued May 15, 2017). Nell’aprile 2018 (governo Gentiloni) e a novembre ( governo Conte) si sono sottoscritti contratti relativi ai lotti 12, 13 e 14 (anni 2018, 2019, 2020) le cui consegne avverranno negli anni 2020, 2021 e 2022 mentre nel 2019 vi sono le consegne del lotto 11. Il numero totale degli F-35 italiani per ora arriva a 26.
A Cameri presso la F.A.C.O. (costo intorno a 800 M di euro per una occupazione di meno di 800 lavoratori di cui 591 di Leonardo e circa 130 nuove assunzioni) si continua la fornitura di cassoni alari per l’intero programma del JSF, l’assemblaggio di nuovi aerei, tra i quali anche quelli destinati all’Olanda ed i primi lavori di manutenzione per un F-35A dell’Aeronautica Militare.
Nel mese di gennaio Angelo Tofalo, sottosegretario di Stato alla Difesa, incontra la collega Ellen Lord per discutere di cooperazione nel settore della difesa e naturalmente del programma F-35: “ho chiaramente detto che è in atto uno studio specifico, approfondito ed attento sul dossier F35, mirato a verificarne anche il rapporto costi/benefici. Nel contempo ho anche chiesto al mio omologo statunitense di supportarci politicamente nell’indirizzare altri Paesi a realizzare i propri velivoli in Italia presso la FACO di Cameri, asset strategico della nostra Aeronautica Militare, al fine di salvaguardare le capacità occupazionali dello stabilimento”.
Il sottosegretario non brilla per originalità. Ciò che ha chiesto è la copia di quanto già reclamato da responsabili del settore da almeno cinque legislature. Nel 2002, già alla vigilia dell’avvio della fase Sdd, era stato negoziato anche un accordo integrativo, la cosiddetta Side Letter, che aveva lo scopo di garantire una maggiore difesa degli interessi nazionali sia nel settore operativo sia in quello industriale.
Se i ritorni “giusti” non ci sono stati è perché l’Italia ha deciso di partecipare al programma F-35 soprattutto per supportare la strategia americana, dunque il motivo è più politico che economico. Gli USA negli anni novanta avevano deciso di rompere l’unità europea nel campo della cooperazione militare attraverso la cooptazione di vari Stati nel programma F-35, oggi il sovranismo/nazionalismo del presidente Trump tenta di imporre la fine di una Europa unita. Prospettiva condivisa dal governo Conte che sostiene grottescamente il motto di Trump "la sicurezza economica è la sicurezza nazionale", sperando di ricevere in cambio l’assunzione di un ruolo principe nel Mediterraneo.
Come ha dichiarato Andrea L. Thompson, Sottosegretario USA per il controllo degli armamenti e la sicurezza internazionale, la vendita di armi, e ancor di più la partecipazione di più stati al progetto F-35, è da considerarsi più uno strumento di politica estera flessibile ed efficace. Il trasferimento di armi è infatti un pilastro centrale della cooperazione di sicurezza internazionale americana e una parte importante dell'economia americana. Questo doppio ruolo, strumento sia di politica estera sia di sicurezza economica, combinato con la natura unica dei beni e dei servizi coinvolti, rende la politica di trasferimento di armi complessa perché aiuta a mantenere i vantaggi tecnologici delle forze armate statunitensi, abbassa i costi di approvvigionamento, rafforza la base industriale degli Stati Uniti.

Invece il sottosegretario brilla per incapacità di giudizio appoggiando indiscriminatamente la tecnologia americana: “In Italia, in questi anni, se n’è parlato in maniera distorta. Il programma F-35, che ormai è avanti e c’è da oltre 20 anni, a differenza di quanto spesso qualcuno ha detto, è un aereo che ha un’ottima tecnologia, forse la migliore al mondo in questo momento”.
Indubbiamente si sente superiore sia al Government Accountability Office sia a Robert F. Behler, ovvero il consulente senior del Segretario alla Difesa per la valutazione dei sistemi d’arma (DOT & E). Qualche mese fa l’F-35, dopo il completamento dei test di volo della fase SDD, riceve l’autorizzazione del Pentagono per cominciare le prove di combattimento completo. Il caccia però deve ancora risolvere 900 carenze già segnalate: i difetti del complesso software (Block3F) e per tutte le varianti i test hanno rilevato la necessità di riparazioni e modifiche ai progetti di produzione "la vita utile degli aeromobili F-35B di prima produzione è ben inferiore alla durata prevista di 8.000 ore di volo visto che arriva a 2.100 ore di volo". Il che implica che gli F-35B attualmente in servizio dovrebbero iniziare a raggiungere il loro limite di durata di servizio entro il 2026, in base all'utilizzo del progetto. Sia il GAO sia DOT & E hanno trovato criticità informatiche nei sistemi esterni (ALIS e Joint Reprograming Enterprise) gestiti da intelligenza artificiale. Mentre un attacco hacker potrebbe colpire ALIS (l’ultima versione ancora piena di criticità è la 2.0.2.5) per rallentare o interrompere questo sistema logistico (ogni nazione ha il suo ma l’hub globale ha sede a Fort Worth in Texas) mettendo a rischio la possibilità dei velivoli di ottenere pezzi di ricambio, un attacco contro la rete JRE potrebbe introdurre dati errati nei pacchetti di missione compromettendo i parametri di sicurezza. Solo Israele avrà una sua catena logistica chiamata Adir gestita da software indigena. Gli F-35 dotati di blocco software 3F dovrebbero avere il 100% delle capacità warfighting con integrazione totale di tutti i sistemi esterni. I report rilevano invece "carenze tecniche chiave nella capacità dell'F-35 di impiegare le armi AIM-120 " (il principale missile aria-aria) e un "inusuale scostamento in profondità e sul lato destro del bersaglio" quando i piloti sparano con il cannone dell'aereo, con il risultato che "mancano costantemente bersagli a terra durante i test di attacco". Il Block 4 (anch’esso suddiviso in Block 4A, pronto tra il 2021 e il 2022 e 4B per il 2023) si baserà su aggiornamenti software biennali ai quali si sovrapporranno, con cadenza quadriennale, degli aggiornamenti hardware, permettendo all’aereo di soddisfare le specifiche contrattuale (abiliterà tutti gli asset dei partner del programma richiesti, si integrerà alle funzionalità operative dell'F-35, tra cui l’armia atomica, e software di manutenzione come il sistema di informazioni sulla logistica autonoma dell'aeromobile). L’acquisto del Block 4 dovrebbe costare più di 5 milioni per aeromobile. Se si considera che il GAO ha scritto “i test fino ad oggi effettuati hanno dimostrato che sono necessarie riparazioni e modifiche ai progetti di produzione e retrofit per i velivoli già consegnati” e ancora “sono presenti diverse vulnerabilità cibernetiche in quasi tutti i sistemi d’arma del Dipartimento della Difesa”, mettendo pertanto in dubbio la capacità di sviluppare nuovi armamenti (fallimentare la scelta di adottare una piattaforma comune per tre versioni e la sovrapposizione fra sperimentazione e verifica/produzione così come sviluppo e addestramento ), si può dedurre che anche in presenza di stanziamenti miliardari per costruire combattenti furtivi, bombardieri invisibili, missili da crociera invisibili e droni spia furtivi, la presunta superiorità tecnologica è in crisi tanto che “America First” rischia di diventare solo un disperato tentativo di reindustrializzare l’America.
Il rapporto Sipri sulla loro spesa militare nel 2017 
Secondo il report Sipri 2018, nel 2017 la spesa militare mondiale ha raggiunto i 1.739 miliardi di dollari, il livello più alto dalla fine della Guerra fredda, pari al 2,2 per cento del PIL globale o a 230 dollari pro capite. Il nuovo epicentro della competizione globale è l’Asia con la Cina che ha aumentato del 110% la spesa militare, l’india del 45% e la Turchia del 46%. Al primo posto si confermano gli Stati Uniti (610 MLD di dollari), al secondo la Cina (228 MLD di dollari), al terzo l’Arabia saudita (69.4 MLD di dollari), al quarto la Russia (66.3 MLD di dollari), al quinto l’India, al sesto la Francia (57,8), al settimo il Regno Unito, ottavo Giappone, al nono Germania (44,3), decimo Sud Corea, undicesimo Brasile e dodicesimo Italia (29,2). Infine Australia, Canada, Turchia e altri. I principali esportatori di sistemi d’arma periodo 2013–17: USA, Russia, Francia, Germania, Cina, Regno Unito, Spagna, Israele, Italia e Paesi Bassi. Importatori: India, Arabia Saudita, Egitto, EAU, Cina, Australia, Algeria, Iraq, Pakistan e Indonesia.
Basi militari e le infrastrutture 
Nel DPP sono riportati i finanziamenti riguardanti basi militari e infrastrutture per l’anno 2019: l Poligono di Salto di Quirra (NU) 14,4 M, infrastrutture della Difesa 88 M, bonifiche su immobili, aree militari e poligoni della Difesa 15 M, difesa del suolo, dissesto idrogeologico, risanamento ambientale e bonifiche 25 M, prevenzione rischio sismico, efficientamento energetico 44,4 M, interventi alloggi della Difesa 30 M. Infine per le infrastrutture NATO, oneri definiti annualmente in ragione della percentuale dell’Italia al NSIP (NATO Security Investment Programme) e degli impegni assunti in ambito NATO 30 M. Una quota italiana è stata spesa anche per il potenziamento della Naval Air Station di Sigonella per l’apparecchiatura di ricezione e trasmissione satellitare Jtags (Joint Tactical Ground Station) che, come il Muos di Niscemi, è funzionale ad un eventuale scudo anti-missile. 
Dai tempi della guerra fredda l’Italia ha costruito la sua partecipazione alla difesa collettiva (NATO) attraverso le sue basi militari e sulla rendita geopolitica derivante dalla sua posizione geografica. Con gli Stati Uniti ha sviluppato rapporti bilaterali che ne regolamentano l’uso. La distinzione fra basi americane e della NATO è perlopiù formale visto che la principale attività delle basi americane si svolge in ambito Nato. In quanto tali sono inserite nel dispositivo di difesa integrato. Ad oggi le forze americane in Italia si sono concentrate nelle basi di Aviano, nel complesso di Napoli e Sigonella, Camp Darby e Camp Ederle. 

Nel 2015 sono apparsi articoli di giornali esteri che rivelavano lavori di ammodernamento nelle basi americane in Europa che stoccano le bombe nucleari B61. “La modernizzazione dei perimetri di sicurezza attorno alle volte e alle infrastrutture delle bombe nucleari delle sei basi aeree statunitensi continuano a ritmo sostenuto, ha riferito mercoledì il giornale Frankfurter Rundschau (FR). Gli Stati Uniti hanno fornito la maggior parte del finanziamento, ma alcuni extra come le ristrutturazioni delle piste provengono dai bilanci nazionali dei cinque partner della NATO - Germania, Belgio, Italia, Paesi Bassi e Turchia. Le basi italiane interessate sono quelle Aviano (USA) e Ghedi (ITALIA). Nel 2008 vi sono state interrogazioni parlamentari che hanno sollevato dubbi in merito al rispetto degli standard internazionali di sicurezza nelle basi italiane. Sul sito di Repubblica si riporta quanto dichiarato da Steven Aftergood, che guida il programma "Project on Government Secrecy" della Federation of American Scientists di Washington "Senza rivelare informazioni coperte dal segreto di Stato, i rapporti delle ispezioni possono indicare se ci sono stati problemi con il personale che maneggia gli armamenti nucleari, se ce ne sono stati con l'equipaggiamento tecnico o con altri aspetti dello stoccaggio delle armi", ma dopo le ispezioni del 2008 queste informazioni saranno completamente off limits "per effetto di una decisione della US Air Force e del Joint Chiefs of Staff". Ad oggi, i report sulle ispezioni ufficiali costituiscono una delle pochissime fonti di dati sullo stato degli arsenali e ora che si parla dell'arrivo in Italia della nuova bomba termonucleare B61-12 per sostituire le vecchie B-61 e andare in dotazione ai caccia F-35, l'esigenza di un controllo minimamente efficace di questi armamenti è più cruciale che mai. Inoltre diversi studi preparati da docenti universitari ed esperti nel campo hanno rilevato che manca completamente un sistema per allertare in tempo reale la popolazione intera, anche per quel che riguarda i porti a rischio nucleare in cui possono transitare sottomarini a propulsione nucleare, sebbene “l'elaborazione dei piani e la loro pubblicità è richiesta dalla vigente legislazione civile sulla radioprotezione ed è indispensabile una informazione completa sui dettagli tecnici relativi all'impianto per effettuare un'analisi incidentale credibile e stimare adeguatamente il rischio”. 
Il ministro Trenta che si preoccupa di accrescere la sicurezza collettiva contro minacce generiche ed eventi calamitosi che possono perturbare la vita dei cittadini permette lo stoccaggio di bombe nucleari americane nelle basi militari italiane continuando in maniera occulta a mettere a rischio la vita dell’intero paese contro la volontà della popolazione stessa. Non c’è alcuna intenzione, neanche da parte italiana, di mettere in discussione il documento “Comprehensive Political Guidance” sottoscritto dai Capi di Stato e di Governo della NATO nel novembre 2006, in cui è stata reiterata l'esigenza di una capacità nucleare.
RAPPORTI DELL’ITALIA CON USA-NATO-EUROPA 
La NATO, riferisce il DPP, continua ad essere l’organizzazione di riferimento per l’Italia in grado di garantire un’adeguata garanzia di sicurezza all’intera regione euro-atlantica e a esercitare la dissuasione, la deterrenza e la difesa militare contro qualunque minaccia. Pertanto il Paese continuerà a sottostare all'attuale concetto strategico "Active Engagement, Modern Defense" (2010) che delinea tre compiti fondamentali essenziali: difesa collettiva, gestione delle crisi e sicurezza cooperativa e a confermare quello strategico che definisce come politico l'obiettivo fondamentale delle forze nucleari degli alleati in Europa. Ha promosso l'hub di Napoli della Nato per il fronte Sud, l'osservatorio dell'Alleanza Atlantica su Medio Oriente, Nordafrica, Sahel e Africa Subsahariana che agirà come centro di coordinamento per la collaborazione tra i comandi Nato e le organizzazioni civili che si occupano di questioni che hanno legami con la sicurezza. 
Per quanto riguarda le relazioni bilaterali tra Italia e Stati Uniti, l’attuale governo si trova in sintonia soprattutto con il presidente Trump (immigrazione, sovranismo e Unione Europea). Lo dimostra la scheda del Dipartimento di Stato statunitense (febbraio 2018) in cui si definisce la partneship con l’Italia “una delle più forti” e il nostro Paese viene ringraziato per il contributo dato alle missioni di peacekeeping, alla lotta ai traffici di esseri umani e di droga e al terrorismo. Problemi ci sono invece fra Trump, il suo governo e la NATO. Secondo il New York Times il presidente Usa a gennaio avrebbe più volte comunicato ai suoi collaboratori di voler uscire dalla NATO. Il suo scetticismo nei confronti dell’Alleanza Atlantica è noto, ma è paradossale che al contempo chieda agli alleati di aumentare gli investimenti nella difesa fino al 4% del Pil. Poco dopo la Camera dei Rappresentanti ha approvato a grande maggioranza il Nato support Act, un disegno di legge bipartisan volto a impedire l’uscita dall’Alleanza Atlantica. Con questo atto il Congresso limita le possibilità del presidente su questo tema impedendo il ricorso ai fondi federali per l’uscita dalla NATO, afferma il mantenimento di “robusti” finanziamenti all’European deterrence initiative (Eii) e l’importanza degli alleati di rispettare la quota 2%. Un elemento che pone l’Europa in una posizione delicata è la decisione di Trump di affossare il Trattato INF (Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty) del 1987 siglato da Mikhail Gorbaciov e Ronald Reagan. Al ritiro dal Trattato Inf potrebbe seguire anche quello che sancisce la riduzione delle armi strategiche (Start II). Sarebbe l’ennesimo pretesto, preceduto dal ritiro unilaterale del 2002 dal Trattato anti-missili balistici (ABM) e nei mesi scorsi dall’accordo sul nucleare iraniano, per iniziare una nuova corsa agli armamenti globali. Immediatamente anche la Russia ha annunciato il suo ritiro mentre la Cina, accusata da Trump di trarre un vantaggio strategico dal rispetto del trattato e di aver completato la sua triade nucleare, giudica sbagliata la decisione degli Stati Uniti in una situazione sul fronte degli arsenali nucleari più caotica che mai. Per ora il Segretario generale della NATO Jens Stoltenberg ha escluso il dispiegamento di nuovi missili, ma Washington può contare sui membri orientali della NATO come Polonia e Romania che già ospitano dello scudo antimissile con lanciatori che potrebbero essere utilizzati anche con missili a testata nucleare. Inoltre il Trattato vieta solo i missili basati a terra mentre oggi quasi tutti i paesi avanzati dispongono di armi a raggio intermedio su aerei e navi da guerra. Il missile TLAM-N, missile da crociera Tomahawk con testate nucleari, potrebbe essere schierato su sottomarini della marina statunitense al largo delle coste europee, oppure essere ridistribuito a paesi europei. Questo missile fornirebbe alla NATO una opzione di attacco oltre le B61-12 ad esempio negli Stati Baltici. Le bombe nucleari B61-12 guidate a gravitazione di ultima generazione dovrebbero sostituire quelle già presenti in 7 paesi europei Italia inclusa, e potranno essere trasportate dai caccia F-35 che sostituiranno per questa missione i Tornado.
In continuità con i governi precedenti, anche il governo Conte sostiene la cooperazione UE-NATO così come la cooperazione strutturata permanente (PESCO) nata nel 2017 in attuazione del Trattato di Lisbona. Altro pilastro della difesa europea è Il Fondo europeo per la difesa (EDF) visto come opportunità di crescita e sviluppo industriale. Il fondo ha previsto un investimento per la ricerca tecnologica e lo sviluppo di equipaggiamenti militari una somma di 13 miliardi di euro dal 2021 al 2027. Tuttavia mentre per la ricerca tecnologica i 4,1 miliardi sono a carico della UE, quelli per gli equipaggiamenti saranno finanziati solo per il 20% nello sviluppo dei prototipi e l’80% per i test e certificazione, il rimanente dai tre soggetti di tre paesi diversi (cooperazione trilaterale voluta dall’Italia invece che bilaterale per evitare che Francia e Germania potessero creare un asse dominante ). Dunque la capacità di difesa della UE nel campo della difesa parte dalla competitività della base industriale e tecnologica.
E’ invece sempre più evidente l’allontanamento dell’Italia da quella volontà espressa insieme alla Francia, Germania e Spagna, che, sebbene fosse inclusiva di tutti i paesi membri della PESCO, mirava a promuovere una “autonomia strategica” per ridurre la dipendenza storica USA. Nel 2018 la Francia ha lanciato una proposta per rendere l’autonomia strategia ancora più radicale nel cuore dell’Europa. Si tratta della creazione di una forza militare d’intervento, la European intervention initiative a cui hanno aderito Belgio, Danimarca, Estonia, Francia, Germania, Olanda, Portogallo, Spagna e Gran Bretagna (perché l’adesione all’European intervention initiative è volontaria e aperta ai Paesi esterni all’Unione), ma non l’Italia. La nuova struttura si relazionerà attivamente con la PESCO ma avrà una vocazione più operativa. La mancata adesione dell’Italia ha evidenziato i difficili rapporti del nuovo governo con la Francia sebbene ci siano accordi importanti con le industrie della difesa nei settori navale, missilistica, satelliti, lanciatori e droni, primo fra tutti il drone EuroMale, progetto sviluppato insieme a Germania, Francia e Spagna. In particolare è a forte rischio l’accordo tra Fincantieri e Naval Group per l’acquisto del 51% di STX (50%, più un prestito dell’1% da parte dello Stato francese).
Il 22 gennaio ad Aquisgrana la cancelliere tedesca Angela Merkel e il presidente francese Emmanuel Macron hanno firmato il trattato di cooperazione e integrazione tra Germania e Francia, un'intesa per la “convergenza” tra i due paesi. Macron ha evidenziato che con il trattato di Aquisgrana, Francia e Germania mirano a “unione e solidarietà” in materia di difesa, “il più grande tabù” tra i due paesi. Tale obiettivo verrà raggiunto con “la solidarietà nella difesa, con progetti nell'industria della difesa, in politica estera, nel lavoro insieme al Consiglio di sicurezza dell'Onu” Alla sicurezza si affianca la collaborazione tra i due paesi in “economia, digitalizzazione e cooperazione transfrontaliera”. Merkel ha evidenziato che la nuova intesa franco-tedesca si colloca “all'interno dell'Europa” e che l'impegno di Germania e Francia alla difesa comune è “qualcosa di eccezionale”. Infatti i due paesi si impegnano alla “difesa reciproca” in caso di attacco, ricorrendo a “misure militari”, inoltre istituiranno un “comitato militare comune, un ministero della Difesa comune e una politica per la sicurezza e sulle esportazioni militari condivisa”. I due paesi con questo coordinamento si mettono a capo della politica estera e di difesa europea e di un nuovo esercito europeo. A febbraio dopo la partnership strategica firmata da Dassault e Airbus per “creare l’aviazione europea del futuro”, Francia e Germania hanno annunciato di aver assegnato alle stesse aziende uno studio preliminare congiunto, Joint Concept Study (JCS), per il programma del sistema di combattimento aereo del futuro: il Future Combat Air System (FCAS). Allo sviluppo del progetto, che dovrebbe assicurare “la sovranità europea e la leadership tecnologica nel settore dell’aviazione militare per i prossimi decenni”, si è unita la Spagna il 14 febbraio per darle visibilità nell'ambito della politica europea di sicurezza e difesa, a condizioni pari.
L’Italia ha scelto l’inglese Tempest come velivolo di sesta generazione, entrambi i paesi sono già impegnati con il caccia F-35 statunitense contribuendo con notevoli esborsi finanziari, sebbene siano escluse dalla detenzione della proprietà intellettuale che rimane completamente in mano alla Lockheed Martin. Theresa May all’inaugurazione dell’edizione 2018 Air show di Farnborough aveva dichiarato “Il governo si unirà a BAE Systems, Leonardo, MBDA e Rolls Royce per finanziare la nuova fase della Future Combat Air System Technology Initiative attraverso la rivoluzionaria partnership nota come Team Tempest”. Al salone aerospaziale Elisabetta Trenta aveva sottoscritto con l’omologo britannico, Gavin Williamson, una dichiarazione d’intenti per rafforzare la cooperazione nel settore militare e dell’industria di settore fra Italia e Regno Unito “L’incontro è stata occasione per firmare uno Statement of intent, che rafforzera’ ulteriormente la partnership a livello strategico tra il nostro Paese e il Regno Unito, ponendo le basi per una sempre più forte e proficua collaborazione in termini di Difesa con importanti risvolti sul piano industriale”. Oltre all’impegno con la Gran Bretagna il ministro ha sponsorizzato accordi con il governo di destra radicale brasiliano “sono qui per sostenere le imprese italiane, le nostre eccellenze che rendono il made in Italy una realtà da difendere e promuovere”. Tra queste, in Brasile, “spiccano i ruoli di Fincantieri/Vard e Leonardo, garanzie del nostro altissimo konw how in termini di crescita e sviluppo tecnologico di cui andiamo fieri”. Anche il segretario generale Carlo Festucci dell'Aiad (Federazione aziende italiane per l'aerospazio, la difesa e la sicurezza) e il segretariato generale della Difesa e direzione nazionale armamenti, generale Nicolò Falsaperna, in viaggio negli Stati Uniti, ha dichiarato che “È importante che l’industria abbia il sostegno delle istituzioni. È il sistema-Paese che si muove compatto, con la spinta dell’Aiad e nel solco del solido rapporto industriale con gli Stati Uniti”.
Si vedrà nel tempo se l’Italia sposterà le sue alleanze dall’Europa verso gli USA e i paesi come Inghilterra, Israele o Polonia, e se sosterrà il coronamento della volontà statunitense che mira a frammentare l’Europa e la storica cooperazione europea nel campo della difesa. Il successo dei consorzi europei che hanno visto nel Tornado e nell’EFA il massimo coordinamento fra Italia, Germania, Spagna e Inghilterra, rappresenta ormai il passato. E certamente non per costruire una Europa terreno di una capacità diplomatica in grado di risolvere controversie internazionali.
RIFERIMENTI: 
COMUNICAZIONI DEL MINISTRO TRENTA SULLE LINEE PROGRAMMATICHE DEL MINISTERO DELLA DIFESA http://webtv.difesa.it/Detail/Dettaglio?ChannelId=aea99d5f-f9f2-451f-ae68-7e3882cc8212&VideoId=9fe02986-a1f0-450d-9c0f-013a7befb836 Documento programmatico pluriennale per la difesa per il triennio 2018-2020” https://www.difesa.it/Content/Documents/DPP_2018_2020_15_ottobre_2018.pdf L'utilizzo duale della capacità della difesa per scopi non-militari https://www.difesa.it/SMD_/CASD/IM/CeMiSS/DocumentiVis/Rcerche_da_pubblicare/Ricerche_2017/Ricerca_Trenta_rid.pdfStato di previsione della spesa per l’anno finanziario 2019 https://www.difesa.it/Content/Pagine/statoprevisionespesa.aspx NOTE INTEGRATIVE DLB 2019 – 2021 Piano degli obiettivi per programma http://www.rgs.mef.gov.it/_Documenti/VERSIONE-I/attivita_istituzionali/formazione_e_gestione_del_bilancio/bilancio_di_previsione/note_integrative/2018/DLBNOT1C_120.pdfMinistero dello Sviluppo economico http://www.rgs.mef.gov.it/_Documenti/VERSIONE-I/attivita_istituzionali/formazione_e_gestione_del_bilancio/bilancio_di_previsione/note_integrative/2018/DLBNOT1C_030.pdfPrime applicazioni della "legge quadro sulle missioni internazionali" del 17 giugno 2018 http://www.camera.it/temiap/documentazione/temi/pdf/1105063.pdf
F-35 DOT&E Report on F-35 Joint Strike Fighter http://www.dote.osd.mil/pub/reports/FY2018/pdf/dod/2018f35jsf.pdf Exclusive: F-35 Program Facing Another Setback https://www.pogo.org/investigation/2018/09/exclusive-f-35-program-facing-another-setback/ Carenze F-35 Joint Strike Fighter https://www.gao.gov/assets/700/692701.pdf WEAPON SYSTEMS CYBERSECURITY https://www.gao.gov/assets/700/694913.pdf Introducing the 1 Problem the F-22 and F-35 Can't Seem to Shake https://nationalinterest.org/blog/buzz/introducing-1-problem-f-22-and-f-35-cant-seem-shake-37127 Briefing on Updated Conventional Arms Transfer Policy and Unmanned Aerial Systems (UAS) Export Policy https://www.state.gov/r/pa/prs/ps/2018/04/280613.htm


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dalla pagina https://www.peacelink.it/disarmo/a/45791.html

RIPROPONIAMO UN ARTICOLO DI QUALCHE MESE FA... 


Il "Governo del cambiamento" non taglia gli F35

Nessuna diminuzione delle spese militari


Nella NADEF (nota di aggiornamento al documento di economia e finanza) non si fa cenno alla necessità della riduzione delle spese militari. In un primo momento era stato detto che il nuovo governo avrebbe tagliato gli F35. Ma non c'è stata alcuna sforbiciata: il programma militare va avanti.
14 ottobre 2018

"Nella Nota di aggiornamento non si fa cenno alla necessità della riduzione delle spese militari e della cancellazione dei cacciabombardieri F35, limitandosi la Nota all’impegno per una “razionalizzazione della spesa”, espressione e impegno utilizzati anche dai governi precedenti quando la “razionalizzazione” portò poi invece ad un aumento della spesa. Preoccupa altresì il riferimento - espresso in altra sede – della ministra della Difesa a portare, come richiesto dalla Nato, al 2% del Pil la spesa militare, che comporterebbe una crescita di 10 miliardi delle spese per la Difesa".
Questa è l'analisi della campagna Sbilanciamoci che fa il punto sulla politica economica del governo.
Nessuna riduzione delle spese per armamenti, dunque.
Va ricordato che il M5s aveva fatto del taglio dei cacciabombardieri F35 un obiettivo della sua azione politica quando era all'opposizione.
In un primo momento era stato detto che il nuovo governo avrebbe tagliato gli F35. Ma nulla dei precedenti impegni è stato toccato. A nulla vale un imbarazzante post della ministra della Difesa Elisabetta Trentache promette di dare risposte senza specificare quali.
"Presto vi dirò la soluzione che abbiamo individuato", ha detto la ministra della Difesa Elisabetta Trenta. Siamo ancora in attesa della soluzione.
Ad oggi c'è una sola certezza, ed è la nota aggiuntiva del DEF che non cambia le spese militari per armamenti: nessuna diminuzione.
Il sottosegretario alla Difesa (Tofalo, M5S) ha dichiarato: "Sarebbe irresponsabile interrompere ora il programma F-35".