domenica 30 ottobre 2016

Un’altra difesa è possibile...

dalla pagina http://www.azionenonviolenta.it/unaltra-difesa-possibile-perche-vera-sicurezza-necessaria/

Mentre per il piano antisismico nazionale di un anno si spende meno delle spese militari di un giorno, la Campagna per la difesa civile, non armata e nonviolenta convoca a Trento, per il 4 e 5 novembre, i suoi “Stati generali”. Cento anni dopo l’immane macello della “grande guerra”, l’alternativa è secca: continuare nella follia o rinsavire

Quando scrivo queste righe il nostro Paese è sottoposto alle ennesime scosse di un terremoto infinito che da mesi sconquassa le regioni dell’appennino centrale, uccidendo le persone, abbattendo le case, distruggendo il patrimonio storico, avvilendo il morale dei superstiti. Il terremoto in Italia non è solo un evento catastrofico ad alto rischio ma una certezza periodica, costitutiva della struttura morfologica del nostro territorio. Anzi, leggiamo sul sito della Protezione civile, “l’Italia è uno dei Paesi a maggiore rischio sismico del Mediterraneo, per la sua particolare posizione geografica, nella zona di convergenza tra la zolla africana e quella eurasiatica”. Le circa trecento vittime di Arquata ed Amatrice sono solo le ultime di una lunghissima sequela di morti: migliaia nella storia dell’Italia repubblicana, milioni nella storia secolare del Paese. Il terremoto non si può ne’ prevenire ne’ prevedere, ci dicono gli esperti, ma le sue conseguenze catastrofiche sì. Da esse ci si può difendere attraverso la messa in sicurezza antisismica del territorio italiano. 
E, in effetti, esiste in Italia – dal 2009 – un “Piano nazionale per la prevenzione del rischio sismico”, con un fondo dedicato che – sempre sul sito della Protezione civile – è così declinato: “la spesa autorizzata è di 44 milioni di euro per l’anno 2010, di 145,1 milioni di euro per il 2011, di 195,6 milioni di euro per ciascuno degli anni 2012, 2013 e 2014, di 145,1 milioni di euro per l’anno 2015 e di 44 milioni di euro per il 2016.” Insomma, per difenderci dal rischio terremoto nell’anno in corso, mettendo in sicurezza gli edifici prima che – puntualmente – questo si verifichi, il governo ha previsto, complessivamente, la cifra di 44 milioni di euro! Ossia meno di quanto lo stesso governo spende ogni giorno per la difesa militare: il Documento programmatico pluriennale 2016-2018  del Ministero della Difesa prevede, per il solo 2016, 17,7 miliardi di euro per le spese militari che, divisi per i giorni dell’anno, fanno 48 milioni al giorno. Al giorno! 
L’esempio tragico del terremoto ci mostra, dunque, quanto sia distorta l’idea di “difesa” nella quale persistono la cultura militarista del Paese e le scelte del governo: si prevedono massicci investimenti di risorse pubbliche solo in funzione di ipotetiche minacce esterne, derivanti da potenziali nemici da sconfiggere militarmente – programmando a questo scopo pluriennali piani di acquisto di armamenti, contrari allo spirito ed alla lettera della Costituzione ma a lauto beneficio delle aziende belliche – e si stanziano solo le residuali, scarsissime e del tutto insufficienti risorse per la difesa dei cittadini dagli autentici, effettivi e costanti rischi alla loro sicurezza, come il terremoto o i disatri idro-geologici. Ed altrettanto possiamo dire per le, ormai quasi inesistenti, protezioni rispetto ad altri innumerevoli minacce, rischi e pericoli che attentano alla sicurezza dei cittadini, dalla disoccupazione alla povertà, dall’inquinamento di intere aree del Paese alla scarsa sanità. Non è un caso che nel 2015 la mortalità degli italiani sia aumentata dell’11,3 % rispetto all’anno precedente, con un’impennata tale da avere dei precedenti solo negli anni della guerra del 1943 e del 1915-18. Ciò significa che la preparazione della guerra contro i “nemici”, provoca in realtà – in prima battuta – una guerra vera contro gli “amici”, i cittadini di questo Paese. 
Allora è necessario sottrarre, urgentemente, allo strumento militare il monopolio della difesa e delle sue risorse. E’ necessario ribadire culturalmente, affermare politicamente e organizzare tecnicamente un’altra idea e un’altra .pratica della difesa. Una difesa vocata alla sicurezza dei cittadini, alla risoluzione delle controversie internazionali con strumenti e mezzi non militari e, dunque, alla costruzione della pace con mezzi pacifici, secondo quanto dispongono gli articoli 11 e 52 della Costituzione italiana. Per questo la campagna “Un’altra difesa è possibile” ha organizzato per il 4 e 5 novembre a Trento gli “Stati generali della difesa civile, non armata e nonviolenta”. La data non è casuale: il 4 novembre è la “festa delle forze armate”, nel giorno che celebra la “vittoria” nella “grande guerra”, in quell’immane macello che provocò sedici milioni di morti e pose le premesse per il fascismo, il nazismo, i campi di sterminio e la seconda guerra mondiale. Dalla quale ereditiamo ancora l’incubo dell’olocausto nucleare. 
Ora, cento anni dopo ci sono due possibili strade. L’una è continuare sulla via della follia della preparazione di altre guerre, bruciando enormi risorse, lasciando indifesi e vulnerabili i cittadini di fronte a tremendi rischi e minacce: è la strada che ha scelto il governo italiano con le abnormi spese militari e, in ultimo lo scorso 27 ottobre, con il voto contrario alle Nazioni Unite all’avvio del percorso per il “Trattato per la messa al bando delle armi nucleari”. L’altra strada è la via del rinsavimento e del salto di civiltà che propone la campagna “Un’altra difesa è possibile”. Entrambe passano da Trento ma, cento anni dopo, vogliamo arrivarci in maniera civile, non armata e nonviolenta. Qui il programma completo
 
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sabato 29 ottobre 2016

Parte da FIRENZE la lotta per la liberazione dell’Italia dalle armi nucleari

dalla pagina https://www.change.org/p/la-pace-ha-bisogno-di-te-sostieni-la-campagna-per-l-uscita-dell-italia-dalla-nato-per-un-italia-neutrale/u/18286745?tk=lr35NUdmC2rpga7YO1vQcz1T0YoHMvUEF69XfHWq2mo

Comitato promotore della campagna #NO GUERRA #NO NATO
Italia
28 ott 2016 — La lotta per liberare l’Italia dalle armi nucleari ha mosso i suoi primi passi nella nobile terra di Dante. Un grande inizio per lo sviluppo della pace in Italia e nel mondo. E’ stata approvata ieri, mercoledì 26 ottobre, al Consiglio Regionale della Toscana, una mozione del gruppo Sì Toscana a Sinistra che impegna la giunta a chiedere al Governo di rispettare il Trattato di non-proliferazione delle armi nucleari e a far sì che gli Stati Uniti rimuovano immediatamente qualsiasi arma nucleare dal territorio italiano e rinuncino a installarvi le nuove bombe B61-12 e altre armi nucleari. La deliberazione del Consiglio Regionale toscano accoglie così un documento promosso dal Comitato No Guerra No Nato. Le bombe B61-12, dalla potenza media pari a quella di quattro bombe di Hiroshima, stanno per arrivare in Italia. Lo conferma da Washington, con prove documentate, la Federazione degli scienziati americani. Una foto satellitare mostra che è stato effettuato l’upgrade della base della U.S. Air Force ad Aviano e di quella di Ghedi-Torre. Secondo le
ultime stime della Fas, gli Usa mantengono oggi 70 bombe nucleari B61 in Italia (50 ad Aviano e 20 a Ghedi), 50 in Turchia, 20 rispettivamente in Germania, Belgio e Olanda, per un totale di 180. Nessuno sa però con esattezza quante siano. Si sa però che abbassano la soglia nucleare, rendendo più probabile il lancio di un attacco nucleare dal nostro paese ed esponendolo a una rappresaglia nucleare. All’uso di tali armi nucleari vengono addestrati piloti italiani, nonostante l’Italia abbia ratificato il Trattato di non-proliferazione che la «impegna a non ricevere da chicchessia armi nucleari, né il controllo su tali armi, direttamente o indirettamente». Stanno inoltre per arrivare alla base di Amendola in Puglia, probabilmente l’8
novembre, i primi due dei 90 caccia F-35 che l’Italia si è impegnata ad acquistare dalla statunitense Lockheed Martin. Il costo della partecipazione dell’Italia al programma F-35 è di 12 miliardi 356 milioni di euro di denaro pubblico. Nonostante ciò, l’Italia avrà una «sovranità limitata» sugli stessi F-35 della propria aeronautica. Una legge statunitense vieta infatti che i «dati di missione» (i software di gestione dei sistemi di combattimento dei caccia) siano comunicati ad altri. Saranno dunque gli Usa e non l’Italia a controllare gli F-35 italiani, predisposti per l’uso delle nuove bombe nucleari B61-12 che il Pentagono schiererà sul nostro territorio nazionale.

venerdì 28 ottobre 2016

11 settembre 2001: i grattacieli non cadono così

250000 persone hanno visto l'articolo riassuntivo di AE911Truth.org [Architetti e Ingegneri per la Verità sull'11 Settembre] dal titolo "15 anni dopo: sulla fisica dei crolli dei grattacieli" pubblicato su EuroPhysics che descrive l'insostenibilità della versione ufficiale relativa ai crolli delle Torri Gemelle (WTC 1 e 2) e dell'Editificio 7 (WTC 7) l'11 settembre 2001.


E’ importante ricordare che il fuoco non ha mai causato il crollo totale di edifici con struttura in acciaio, né prima né dopo l’11 settembre. Avremmo allora assistito ad uno stesso evento senza precedenti per ben tre volte l’11 settembre 2001? Le relazioni del NIST [Istituto Nazionale per gli Standard e la Tecnologia negli USA], che hanno tentato di sostenere quella improbabile conclusione, non riescono a persuadere un numero crescente di architetti, ingegneri e scienzati. Piuttosto, l’evidenza punta in modo preponderante alla conclusione che tutti e tre gli edifici siano stati distrutti da demolizioni controllate. Date le implicazioni di ampia portata, è eticamente imperativo che tale ipotesi diventi oggetto di una indagine veramente scientifica e imparziale da parte di autorità responsabili.

Architetti e Ingegneri per la Verità sull’ 11 settembre
AE911truth.org - verità sull' 11 settembre
AE911Truth.org
2703 Ingegneri e Architetti affermano che il crollo delle Torri Gemelle (WTC-1 e 2) dell’Edificio 7 (WTC-7) del World Trade Center fu il risultato di demolizioni controllate
   
L’ 11 settembre 2001 per la prima (e ad oggi ultima) volta nella storia dell’ingegneria civile, non 1, non 2 ma ben 3 grattacieli con strutture in acciaio e cemento sarebbero crollati – in modo simmetrico cioé su se stessi,  e praticamente in caduta libera – a seguito dell’impatto di un aereo di linea e conseguente incendio (Torri Gemelle) e, rispettivamente, per un incendio alimentato da attrezzatura e materiali da ufficio (nel caso dell’Edificio 7, WTC-7, di 47 piani) …
La demolizione controllata, che presuppone una lunga e accurata progettazione e l’impiego di potenti esplosivi, rimane l’unica ipotesi logica e plausibile e l’unico modello in grado di spiegare gli eventi dell’11 settembre al World Trade Center, mentre i modelli proposti dalle indagini ufficiali sull’ 11 settembre NON corrispondono alla realtà di come sono avvenuti i crolli:

  • i modelli “ufficiali” proposti [“Pancake collapse” e “Pile driver collapse”] sono di fatto  sbagliati
  • l’unico modello che fino ad ora corrisponde alla realtà dei crolli dei 3 edifici è quello di demolizione controllata, che richiede progettazione e cariche esplosive, come l’organizzazione Architetti e Ingegneri per la Verità sull’11 Settembre AE911Truth.org da anni afferma.

Un semplice ed efficace video è disponibile per illustrare le implicazioni dei vari modelli e la loro corrispondenza o meno ai dati reali: 9/11 Experiments: The Force Behind the Motion.

Il fisico David Chandler ha dimostrato (video) che l’Edificio 7 (WTC-7) è crollato in perfetta caduta libera per circa 2,5 sec (su un totale di 6,5 sec, contro i teorici 6,2 sec di una completa caduta libera); un edificio può crollare in caduta libera o quasi solo nel caso di demolizioni controllate, in cui cariche esplosive eliminano la resistenza offerta dalla struttura stessa dell’edificio (muri, architravi, colonne, …).

"Ri-Pensa l’11 settembre 
 L’evidenza potrebbe sorprenderti"
 
ReThink911.orgReThink911è la campagna internazionale promossa dagli Architetti e Ingegneri USA di ae911truth.org   
La petizione “ReThink911” proposta da AE911Truth.org chiede la costituzione di una commissione di inchiesta, autorevole e indipendente, per indagare sugli eventi dell’ 11 settembre 2001. Finora è stata sottoscritta da 22605 persone.


Lo sapevi che una terza torre è caduta l’11 settembre 2001?

11 settembre: la terza torre WTC-7
Si tratta dell’Edificio 7 del World Trade Center crollato alle 5,20 del pomeriggio di quell’11 settembre … eppure non è stato colpito da un aereo, l’incendio che si era sviluppato non era sufficiente a farla crollare, è crollato su se stesso in 6,5 secondi, in caduta libera nei primi secondi, ricercatori indipendenti hanno trovato tracce evidenti di esplosivi molto potenti e ad elevata tecnologia, in uso solo in alcuni laboratori militari…

Ma chi non cerca non può trovare… L’indagine ufficiale ha inizialmente ignorato completamente l’Edificio 7. Successivamente i ricercatori ufficiali hanno proposto dei modelli che però non corripondono al modo in cui gli edifici sono crollati e non hanno investigato l’eventuale uso di materiale esplosivo: non cercandolo non l’hanno trovato!

Anche i mezzi di comunicazione di massa ufficiali (mainstream mass media) hanno volutamente ignorato e superficialmente denigrato anche i tentativi onesti e razionali di ricerca della verità su quanto avvenuto a New York l’ 11 settembre 2001, come ad esempio il New York Times…


Quindi, secondo il NY Times, 2 aerei avrebbero fatto crollare 3 edifici: le Torri Gemelle la mattina e l’Edificio 7 nel pomeriggio…

Se hai ancora dubbi e vuoi più informazioni...
guarda:

  • video di 30 sec sul crollo di WTC-7 da vari punti di vista 
  • video del crollo del WTC-7 confrontato con [altre] demolizioni controllate
  • l’intervista a Richard Gage, fondatore di AE911Truth.org, su C-Span, il canale pubblico della politica USA: guarda il video [doppiato in italiano]
  • i video di Massimo Mazzucco (luogocomune.net/site): 11 Settembre – La nuova Pearl Harbor (l’opera più esaustiva sull’11 settembre!!!) e Il Nuovo Secolo Americano per capire come è nata l’operazione false flag 9/11 (false flag = un attacco attribuito ad altri, nel caso specifico a Osama Bin Laden da un rifugio in Afghanistan…)
  • il film di Giulietto Chiesa, Zero
  • Behind The Smoke Curtain: What Happened at the Pentagon on 9/11, and What Didn’t, and Why it Matters di Barbara Honegger ha ampiamente dimostrato [video in italiano] che quello al Pentagono fu un inside job = auto-attentato e una operazione false flag
  • altri video nella nostra lista video http://presenzalongare.blogspot.it/p/video.html

leggi: 

martedì 25 ottobre 2016

David Swanson: “Dobbiamo unirci per un’opposizione globale all’istituto della guerra”

dalla pagina http://www.pressenza.com/it/2016/10/david-swanson-dobbiamo-unirci-unopposizione-globale-allistituto-della-guerra/ 

24.10.2016 - Anna Polo

(Foto di Ragesoss, Wikimedia Commons)
Nel tuo sito http://worldbeyondwar.org/ è scritto: “Puntiamo a sostituire una cultura della guerra con una cultura della pace, in cui i mezzi nonviolenti di risoluzione dei conflitti prendano il posto degli eccidi”. Che ruolo e valore quindi può avere la nonviolenza nella costruzione di una simile cultura?
L’azione nonviolenta può svolgere almeno tre funzioni.
1. Può dimostrarsi un metodo superiore di resistenza alla tirannia, un metodo che provoca meno sofferenze e ha maggiori e più durature probabilità di successo. La maggior parte degli esempi, come quello della Tunisia nel 2011, riguarda il rovesciamento di una tirannia in un paese, ma esiste anche una serie crescente di azioni di resistenza nonviolenta che hanno avuto successo contro un’invasione o un’occupazione straniera. Aumenta inoltre la comprensione riguardo al modo di applicare le lezioni della nonviolenza all’interno di un paese alla resistenza a un attacco straniero.
2. Può mostrare un mondo che ha superato la guerra. Le nazioni possono dare il buon esempio, entrando a far parte di istituzioni internazionali, firmando trattati, rispettando la legge e facendola applicare. Il Tribunale Penale Internazionale potrebbe incriminare un non-africano. Gli Stati Uniti, che hanno smesso di produrre bombe a grappolo, potrebbero sottoscrivere la loro messa al bando. Le Commissioni per la verità e la riconciliazione potrebbero diffondersi. I colloqui per il disarmo, gli aiuti umanitari su una nuova scala e la chiusura delle basi straniere potrebbero essere il cambiamento che vogliamo vedere.
3. Gli strumenti della protesta e della resistenza nonviolenta possono essere usati dagli attivisti per opporsi alle basi, alle fabbriche d’armi, al reclutamento militare e a nuove guerre. Non abbiamo potuto fermare la base Dal Molin a Vicenza, ma non per questo dobbiamo accettarla. Non si dovrebbe permettere all’apparato militare degli Stati Uniti di usare strutture in Sicilia per gli omicidi con i droni  in Asia e in Africa. Un anno di servizio al proprio paese non dovrebbe significare la partecipazione ad azioni militari. Le fabbriche d’armi non devono essere finanziate da fondi pubblici e privati, eccetera.
Cosa si può fare a tuo parere per trasformare la cultura basata sulla violenza e la vendetta che provoca tante vittime negli Stati Uniti?  
Abbiamo bisogno di una riforma strutturale dei mass media, dell’industria dello spettacolo, dei notiziari e delle scuole. Possiamo cominciare fornendo alla gente l’informazione che le manca. Spesso quello di cui c’è bisogno sono i fatti, non le ideologie. Quando una vincitrice del concorso di Miss Italia ha dichiarato che le sarebbe piaciuto vivere durante la seconda guerra mondiale la gente ha riso di lei, ma potrei trovarti milioni di americani che direbbero la stessa cosa. Nessuno di loro ha idea di cosa significava vivere sotto le bombe, altrimenti non farebbe un’affermazione del genere. Pochi di loro hanno idea di cosa significhi vivere oggi sotto le bombe degli Stati Uniti o della Nato in Afghanistan, Pakistan, Iraq, Somalia, Siria, Libia, o Yemen.
Quando vado a parlare in un’università (video ripreso questo weekend: http://davidswanson.org/node/5319 ) cerco di fornire alla gente i fatti che le sfuggono. Media indipendenti, social media, film stranieri: tutti questi possono essere strumenti efficaci. E lo stesso vale per i viaggi. Quando ho passato un anno in Italia dopo il liceo, in un programma di scambio tra studenti, questo mi ha permesso più di ogni altra cosa di vedere la cultura americana da una prospettiva nuova. E quest’abitudine mi consente di vedere e mettere in discussione le usanze culturali condivise da Italia e Stati Uniti. Ciò che cambierebbe davvero le cose, comunque, sarebbe la possibilità di produrre, ottenere e diffondere ampiamente video delle vittime dei guerrafondai occidentali, così come oggi condividiamo i video delle vittime della brutalità poliziesca negli Stati Uniti.
Gli Stati Uniti spendono ogni anno un trilione di dollari in guerre e armi e né i democratici, né i repubblicani, né i media mettono in discussione questa scelta. Cosa pensi si possa fare per sensibilizzare l’opinione pubblica su queste enormi spese miliari e sulle possibili alternative?
Ecco un video che ha proprio questo scopo:  http://worldbeyondwar.org/moneyvideo/  e questa è un’organizzazione che invitiamo a sostenere http://worldbeyondwar.org/individual/ per raggiungerlo. Un altro utile strumento, se ben presentato con un’introduzione o un dibattito dopo la proiezione, è il film di Michael Moore Where To Invade Next.
Molti temono che, se eletta presidente, Hillary Clinton possa scatenare una guerra con la Russia usando la Siria come pretesto. Il movimento pacifista negli Stati Uniti cercherà di fermare questo piano? E cosa potrebbero fare i movimenti di altri paesi per aiutarlo?
Purtroppo non siamo affatto preparati. Gli attivisti americani soffrono di settarismo e per tradizione si oppongono di più alle guerre repubblicane che a quelle democratiche. Soffriamo anche di ossessione elettorale. Il giorno dopo le elezioni migliaia di persone crollano esauste, convinte di aver completato quello che c’era da fare. Su di noi pesano anche l’ideologia della guerra, i problemi di comunicazione e una divisione sulla Siria di una profondità mai vista a memoria d’uomo. Alcuni sono a favore della guerra all’Isis, altri della guerra alla Siria, altri ancora sostengono entrambe, oppure la guerra fatta dai siriani o dai russi. Chiunque si opponga a un intervento militare degli Stati Uniti viene accusato di sostenere i guerrafondai siriani e  vice versa. Dobbiamo unirci per un’opposizione globale all’istituto della guerra, chiunque la faccia, senza lasciarsi dissuadere dalla stupida accusa secondo cui dovremmo mettere sullo stesso piani i crimini di guerra minori di una parte con i crimini di guerra di massa di un’altra fazione. Abbiamo bisogno di concentrarci sul commercio delle armi. Le armi vengono dagli Stati Uniti e dall’Europa e in secondo luogo dalla Russia e dalla Cina. Le nazioni che soffrono per le guerre non producono armi. Tocca a noi fermare la produzione, la vendita e la fornitura di questi strumenti di morte. Negli ultimi 15 anni la vendita di armi leggere e le morti da esse causate sono triplicate. Dobbiamo porre l’accento su aiuti umanitari su una scala enorme, che non abbiamo mai osato sognare, ma che comunque costerebbero molto meno di una guerra. E di certo non dobbiamo cadere un’altra volta nella trappola dei cambiamenti di facciata, immaginando che una donna presidente, come un presidente afro-americano, siano per magia migliori nonostante quello che hanno dimostrato finora. Otteniamo un solido accordo di pace in Ucraina entro gennaio e se possibile anche in Siria. E per l’amor di Dio che nessuno pensi di darle il Premio Nobel per la Pace l’anno prossimo, mentre farà di tutto per intensificare le guerre!

http://worldbeyondwar.org/

martedì 18 ottobre 2016

No all'invio dei soldati italiani al confine della Russia (Lettonia)

dalla pagina https://www.change.org/p/firma-la-petizione-per-dire-no-ai-militari-italiani-al-confine-con-la-russia
 
L'articolo 11 della Costituzione recita: "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo."
Visto e considerando che l'invio di soldati italiani in Lettonia è una provocazione implicita alla Russia, tale azione dovrebbe essere vietata per una nazione che sulla carta costituzionale dice di ripudiare la guerra.
Chiediamo all'unisono che sia ritrattata questa decisione scellerata, che oltre ad esser pericolosa per possibili conflitti, rischia di danneggiarci anche sotto l'aspetto economico, essendo le nostre aziende già penalizzate dalle sanzioni alla Russia.

Per firmare questa petizione vai alla pagina

sabato 15 ottobre 2016

Il nemico non è la Russia. La scelta folle della NATO

Riproponiamo un articolo del giugno 2016

dalla pagina http://www.geopoliticalcenter.com/attualita/il-nemico-non-e-la-russia/

Lo andiamo scrivendo da anni, da quando dopo la “rivoluzione” in Libia, il primo atto del nuovo governo di Tripoli fu quello di revocare la concessione pluriennale alla Federazione Russa per l’utilizzo della base navale di Bengasi, lo abbiamo ripetuto quando con un’altra rivoluzione in Siria si tentava di togliere a Mosca l’ultimo approdo (seppur scadente) in mediterraneo, lo abbiamo scritto quando con il cambio di regime a Kiev si minacciava, sul medio periodo, la revoca dell’affitto pluriennale della base navale di Sebastopoli, sulla falsa riga di quanto avvenuto in Libia: il nemico non è la Russia, il nostro nemico non è la Russia.
La Russia si è trasformata in questi anni, e ciò è avvenuto non tanto per la postura e il pensiero dei suoi vertici politici o del suo popolo, quanto per la postura e l’atteggiamento dell’amministrazione Obama, con la sua politica di chiusura totale verso la Russia e l’odio personale, mai ben nascosto, verso il presidente Putin.
La Russia che poteva diventare un partner dell’Europa, un partner affidabile per l’acquisto di energia, un partner affidabile per l’esportazione dei nostri beni ad alto valore aggiunto, un partner indispensabile per la sicurezza del nostro continente, è stata spinta verso alleanze improbabili con la Cina, con l’Iran con l’Hezbollah libanese.
La Russia, la Russia di oggi (non l’Unione Sovietica di Brezhnev), non ha mai minacciato di distruggere le nostre nazioni, la nostra cultura la nostra società. La Russia di oggi si poneva all’inizio di questo millennio come un compagno di strada verso lo sviluppo e il benessere.
L’Europa tutta, e il nostro paese allo stesso modo, incantata dalla retorica e dalle utopie del Presidente americano ha interrotto il cammino comune con la Russia. L’Europa, credendo che lo stravolgimento dell’equilibrio nella regione mediterranea e nel medio oriente, proposto e sintetizzato dal discorso di Obama all’Università del Cairo alla vigilia delle “primavere arabe”, fosse la via per regalare benessere e libertà ai popoli Mussulmani, non ha visto che invece tale progetto nascondeva al suo interno alcuni obiettivi non dichiarati come ad esempio l’esclusione della Russia dalla regione mediterranea.
Nell’attesa che termini la sciagurata presidenza di Obama, l’Europa (e se l’Europa non lo comprendesse, la sola Italia) ha un imperativo assoluto: revocare le sanzioni alla Russia, chiarire agli Stati Uniti che noi siamo loro alleati, ma che al fianco della lealtà deve esistere il rispetto per gli interessi nazionali, e che è necessario lavorare insieme alla Russia per la stabilizzazione del mediterraneo. Mediterraneo dove gli Stati Uniti di Obama, stanno sì trasferendo risorse militari nel Mare Nostrum, ma non in appoggio alle nostre necessità strategiche (es. la stabilizzazione della Libia) bensì per limitare la capacità di manovra delle forze armate russe.
Noi ci chiediamo come mai oggi, nel momento del bisogno, nel momento in cui la Libia sta per implodere, gli Stati Uniti di Obama negano ad un alleato come l’Italia il necessario appoggio per stabilizzare la costa Nord Africana mentre trovano le risorse per dispiegare forze utili solo ad una guerra simmetrica con la Russia, una guerra che se avesse luogo trasformerebbe il Mediterraneo e l’Europa in un desolato campo di battaglia.
Il nemico, il nostro nemico, Presidente Obama e cari amici lettori non è la Russia, non è Putin, il nemico dell’Italia, dell’Europa e dell’America è chi ci ritiene una cultura inferiore, chi pensa che siamo un popolo da schiacciare, chi ci immagina solo come un continente da conquistare con la paura, con le armi e grazie alla nostra miopia strategica. 


(AGENPARL) – Roma, 14 ott 2016 – “La decisione della Nato di schierare truppe italiane al confine con la Russia è una scelta folle. Invece di rimuovere le sanzioni alla Russia imposte dall’amministrazione Obama, l’Europa continua a soffiare sul fuoco di una rinnovata quanto pericolosa guerra fredda fra la Russia e gli Stati Uniti. Oggi il nemico comune non è Vladimir Putin ma i tagliagole dell’Isis che devono essere combattuti dalla Nato con la collaborazione indispensabile della Russia”. Lo dichiara il deputato di Scelta civica verso i cittadini per l’Italia, Marco Marcolin.

martedì 11 ottobre 2016

Nei messaggi di posta elettronica Hillary lo ammette...

dalle pagine:

i governi di Arabia Saudita e Qatar sostengono ISIS
[e il governo USA l'ha sempre saputo]

Un messaggio nell'ultimo gruppo di e-mail [messe a disposizione da WikiLeaks] tra Hillary Clinton e il responsabile della sua campagna John Podesta dimostra che la candidata alla Casa Bianca sapeva che i governi dell'Arabia Saudita e del Qatar [come anche Famiglia Cristiana, per dire una rivista "non sospetta", da tempo afferma] hanno fornito supporto finanziario e logistico ai terroristi del Daesh (o IS o ISIL o ISIS)... 
"While this military/para-military operation is moving forward, we need to use our diplomatic and more traditional intelligence assets to bring pressure on the governments of Qatar and Saudi Arabia, which are providing clandestine financial and logistic support to ISIL and other radical Sunni groups in the region".

"Mentre questa operazione militare / para-militare si sviluppa, noi dobbiamo usare i nostri approcci diplomatici e di intelligence tradizionale per far pressione sui governi del Qatar e dell'Arabia Saudita [cui USA e alleati europei, fra cui Italia, continuano a vendere armi...], i quali stanno fornendo clandestinamente supporto finanziario e logistico a ISIL (= ISIS) e altri gruppi radicali sunniti [quelli che ufficialmente sono moderati] nella regione".

[...] la Fondazione Clinton - organizzazione non-profit iniziata dal marito di Hillary nonché precedente Presidente degli USA - ha accettato cospicue donazioni sia dall'Arabia Saudita che dal Qatar.
E il 12 giugno 2016, il principe saudita Mohammed bin Salman è stato citato dall'agenzia di informazioni giordana Petra per aver detto che il suo Paese aveva pagato più del 20% dei costi della campagna presidenziale di Hillary Clinton. 

leggi anche:

giovedì 6 ottobre 2016

Italia Base USA per l'Africa

dalla pagina https://www.change.org/p/la-pace-ha-bisogno-di-te-sostieni-la-campagna-per-l-uscita-dell-italia-dalla-nato-per-un-italia-neutrale/u/18042593?tk=Zutl0ztFvz3BZ02A5J5FlmawpyEGGdSID3lVNJCG-VA

Comitato promotore della campagna #NO GUERRA #NO NATO
Italia
4 ott 2016 — Manlio Dinucci
Mentre i riflettori politico-mediatici sono puntati sulla Siria, al centro di una colossale psyop per far apparire gli aggrediti come aggressori, resta in ombra ciò che avviene in altre parti del Medioriente e in Africa.

Stati uniti, Arabia Saudita, Qatar, Kuwait ed Emirati – che da cinque anni conducono la guerra in Siria con forze terroriste infiltrate e ora accusano il governo siriano di crimini di guerra sponsorizzando la mostra fotografica Caesar presentata domani a Roma – continuano a fare strage di civili nello Yemen. Alla guerra partecipa il Comando centrale Usa con attacchi «antiterrorismo», ufficialmente documentati, effettuati nello Yemen con droni e cacciabombardieri.

Ancora più in ombra, sui media, restano le operazioni militari Usa in Africa. Esse sono condotte dal Comando Africa (Africom), che ha in Italia due importanti comandi subordinati.

Lo U.S. Army Africa (Esercito Usa per l’Africa), il cui quartier generale è alla caserma Ederle di Vicenza, «fornisce il comando di missione e impiega forze per il teatro operativo», fornendo allo stesso tempo assistenza militare ai partner africani per stabilire «sicurezza e stabilità» nel continente.

Le U.S. Naval Forces Europe-Africa (Forze navali Usa per l’Europa e l’Africa), il cui quartier generale è nella base di Capodichino a Napoli, sono costituite da sei task force formate dalle navi da guerra della Sesta Flotta basata a Gaeta. La loro «area di responsabilità» copre Russia, Europa e Africa (salvo l’Egitto che rientra in quella del Comando centrale), compresa metà dell’Atlantico dal Polo Nord all’Antartico. Sono agli ordini dell’ammiraglia Michelle Howard, che allo stesso tempo è a capo del Comando della forza congiunta alleata (Jfc-Naples) con quartier generale a Lago Patria (Napoli).

Con queste forze, compresi i caccia delle portaerei e i droni armati con base a Sigonella, gli Usa stanno intensificando le operazioni militari in Africa. I raid aerei, effettuati da agosto in Libia con la motivazione di fermare l’avanzata dell’Isis (la cui minaccia è stata ingigantita), servono in realtà al piano di riconquista e ricolonizzazione della Libia, dove operano da tempo forze speciali statunitensi ed europee. Ma questa è solo la punta emergente del «grande gioco» africano.

Tra le sue molte «missioni», l’Africom sta costruendo in Niger una base di droni armati, ufficialmente in funzione «antiterrorismo». Essa serve alle operazioni militari che gli Usa conducono da anni, insieme alla Francia, nell’Africa del Sahel, soprattutto in Mali, Niger e Ciad. Paesi tra i più poveri del mondo (con un tasso di analfabetismo che in Niger è del 70% tra gli uomini e del 90% tra le donne), ma ricchissimi di materie prime – coltan e oro in Mali, uranio in Niger, petrolio in Ciad – sfruttate da multinazionali statunitensi e francesi che temono la concorrenza delle società cinesi, le quali offrono ai paesi africani condizioni molto più favorevoli.

Un’altra operazione militare Usa, con droni e forze speciali, è in corso in Somalia, paese di primaria importanza geostrategica.

Allo stesso tempo, lo U.S. Army Africa penetra nel continente con programmi di «cooperazione alla sicurezza» il cui vero scopo è formare élite militari al servizio degli Usa. Allo stesso scopo le navi da guerra delle U.S. Naval Forces Africa percorrono le coste africane per fornire «assistenza alla sicurezza marittima». Non viene trascurata l’assistenza spirituale: il cappellano della nave da assalto anfibio Wasp ha celebrato in videoconferenza dal Mediterraneo la Santa Messa per i marinai della nave da guerra San Antonio impegnata in una missione in Africa.

(il manifesto, 4 ottobre 2016)

martedì 4 ottobre 2016

PSYOP: OPERAZIONE SIRIA

dalla pagina https://www.change.org/p/la-pace-ha-bisogno-di-te-sostieni-la-campagna-per-l-uscita-dell-italia-dalla-nato-per-un-italia-neutrale/u/18008441?tk=7i3CJ6Bmjd-r5J956alS_9pesIM4wQVS4dhavdCPL4k

Comitato promotore della campagna #NO GUERRA #NO NATO
Italia
30 set 2016 — Manlio Dinucci

Le «Psyops» (Operazioni psicologiche), cui sono addette speciali unità delle forze armate e dei servizi segreti Usa, sono definite dal Pentagono «operazioni pianificate per influenzare attraverso determinate informazioni le emozioni e motivazioni e quindi il comportamento dell’opinione pubblica, di organizzazioni e governi stranieri, così da indurre o rafforzare atteggiamenti favorevoli agli obiettivi prefissi».

Esattamente lo scopo della colossale psyop politico-mediatica lanciata sulla Siria. Dopo che per cinque anni si è cercato di demolire lo Stato siriano, scardinandolo all’interno con gruppi terroristi armati e infiltrati dall’esterno e provocando oltre 250mila morti, ora che l’operazione militare sta fallendo si lancia quella psicologica per far apparire come aggressori il governo e tutti quei siriani che resistono all’aggressione. Punta di lancia della psyop è la demonizzazione del presidente Assad (come già fatto con Milosevic e Gheddafi), presentato come un sadico dittatore che gode a bombardare ospedali e sterminare bambini, con l’aiuto dell’amico Putin (dipinto come neo-zar del rinato impero russo).

A tal fine sarà presentata a Roma agli inizi di ottobre, per iniziativa di varie organizzazioni «umanitarie», una mostra fotografica finanziata dalla monarchia assoluta del Qatar e già esposta all’Onu e al Museo dell’olocausto a Washington per iniziativa di Usa, Arabia Saudita e Turchia: essa contiene parte delle 55mila foto che un misterioso disertore siriano, nome in codice Caesar, dice di aver scattato per incarico del governo di Damasco allo scopo di documentare le torture e le uccisioni dei prigioneri, ossia i propri crimini (sull’attendibilità delle foto vedi il report di Sibialiria e l’Antidiplomatico).

Occorre a questo punto un’altra mostra, per esporre tutte le documentazioni che demoliscono le «informazioni» della psyop sulla Siria. Ad esempio, il documento ufficiale dell’Agenzia di intelligence del Pentagono, datato 12 agosto 2012 (desecretato il 18 maggio 2015 per iniziativa di «Judicial Watch»): esso riporta che «i paesi occidentali, gli stati del Golfo e la Turchia sostengono in Siria le forze di opposizione per stabilire un principato salafita nella Siria orientale, cosa voluta dalle potenze che sostengono l’opposizione allo scopo di isolare il regime siriano».

Ciò spiega l’incontro nel maggio 2013 (documentato fotograficamente) tra il senatore Usa John McCain, in Siria per conto della Casa Bianca, e Ibrahim al-Badri, il «califfo» a capo dell’Isis. Spiega anche perché il presidente Obama autorizza segretamente nel 2013 l’operazione «Timber Sycamore», condotta dalla Cia e finanziata da Riyad con milioni di dollari, per armare e addestrare i «ribelli» da infiltrare in Siria (v. il New York Times del 23 gennaio 2016).

Altra documentazione si trova nella mail di Hillary Clinton (declassificata come «case number F-2014-20439, Doc No. C05794498»), nella quale, in veste di segretaria di stato, scrive nel dicembre 2012 che, data la «relazione strategica» Iran-Siria, «il rovesciamento di Assad costituirebbe un immenso beneficio per Israele, e farebbe anche diminuire il comprensibile timore israeliano di perdere il monopolio nucleare».

Per demolire le «informazioni» della psyop, ci vuole anche una retrospettiva storica di come gli Usa hanno strumentalizzato i curdi fin dalla prima guerra del Golfo nel 1991. Allora per «balcanizzare» l’Iraq, oggi per disgregare la Siria. Le basi aeree installate oggi dagli Usa nell’area curda in Siria servono alla strategia del «divide et impera», che mira non alla liberazione ma all’asservimento dei popoli, compreso quello curdo.

(il manifesto, 27 settembre 2016)

lunedì 3 ottobre 2016

Il Movimento Nonviolento sulla Marcia Perugia-Assisi 2016

dalla pagina http://www.azionenonviolenta.it/il-movimento-nonviolento-sulla-marcia-perugia-assisi-2016/


La Marcia Perugia-Assisi è la storica manifestazione del movimento pacifista italiano, nota in tutto il mondo.


Prologo
Questo documento affronta una vicenda che ci sta a cuore; non giudica le scelte di altre associazioni; non denuncia divisioni nel movimento pacifista; vuole semplicemente esprimere il nostro pensiero per rispondere alle amiche e agli amici che ci chiedono: “Perchè il Movimento Nonviolento non partecipa alla Marcia PerugiAssisi 2016 ?”

Premessa
La Marcia Perugia-Assisi è la storica manifestazione del movimento pacifista italiano, nota in tutto il mondo. La sua immagine evocativa e simbolica trae alimento e forza dalla prima edizione del 24 settembre 1961, ideata e voluta da Aldo Capitini, il filosofo della nonviolenza e fondatore, con Pietro Pinna, recentemente scomparso, del Movimento Nonviolento.
Il percorso da Perugia ad Assisi è carico di significato. Capitini “libero religioso”, come lui stesso si definiva, volle iniziare la Marcia da Perugia, città laica, e concluderla ad Assisi in omaggio a Francesco “che è santo per tutti”.
Capitini ideò quella Marcia in un momento internazionale di forte contrapposizione Est-Ovest, con lo spettro dell’olocausto atomico, per unire le masse popolari italiane, cattolici e comunisti, laici e religiosi, nel comune desiderio di pace per il mondo. Ma alla generica aspirazione alla pace, Capitini volle aggiungere “il lancio dell’idea del metodo nonviolento”.
Dopo la morte di Capitini il Movimento Nonviolento ne raccolse l’eredità: fu Pietro Pinna a proseguirne l’opera e nel 1978, a dieci anni dalla morte di Capitini, ripropose la Marcia come strumento di azione del movimento per la pace e lo fece anche negli anni successivi con precisi obiettivi politici: nel 1981 contro l’installazione dei missili nucleari, nel 1985 per il blocco delle spese militari.
Poi però la Marcia si è “istituzionalizzata”, assunta dagli Enti locali umbri e da un comitato promotore permanente, che l’ha resa periodica, convocandola ogni due anni. Ne sono state realizzate 16 edizioni, più o meno partecipate, con o senza obiettivi specifici, ma raccogliendo sempre la volontà di partecipazione di tanta parte dell’associazionismo organizzato o di singole persone. La Marcia negli anni è divenuta patrimonio comune, un appuntamento importante, ma con il rischio della ritualità e della genericità.
Già nel 1988 Pietro Pinna sulle pagine di Azione nonviolenta ne denunciò “la genericità delle sue parole d’ordine prive di un qualsiasi obiettivo di immediata azione comune”.
Dopo la Marcia del cinquantesimo anniversario nel 2011, cui partecipammo attivamente come co-promotori, chiedemmo pubblicamente una riflessione profonda e critica sul senso della Marcia oggi, come forma collettiva di azione nonviolenta orientata a precisi obiettivi politici, ma gli organizzatori hanno preferito proseguire acriticamente con una riproposizione ripetitiva.

Contenuti
Queste riserve le ribadiamo ancor oggi, in vista della prossima edizione della Marcia della pace e della fraternità 2016.
L’appello si caratterizza “Contro la violenza e l’indifferenza” e dice che la Marcia vuole “fermare le guerre, le stragi e i violenti; contrastare le idee e le politiche che alimentano le paure e le divisioni; gettare le basi per una società di pace”. Ai partecipanti viene chiesto aiuto per “abbattere i muri dell’indifferenza, della rassegnazione e della disinformazione” e l’Appello si conclude così: “Facciamo in modo che la PerugiAssisi sia la marcia di coloro che si oppongono a questa realtà, che si indignano, la rifiutano e si impegnano quotidianamente a trasformarla costruendo pace, accoglienza, solidarietà, dialogo, nonviolenza e fraternità”.
Francamente ci sembrano affermazioni troppo generiche, prive di qualunque impegno e obiettivo politico stringente all’altezza della tragica realtà dei nostri tempi. Titolo, contenuti e documento della Marcia sono stati comunicati come un dato di fatto. A tutti si chiede solo di aderire e partecipare. La gestione, l’organizzazione, l’immagine della Marcia restano in mano al cosiddetto “comitato promotore” che, sempre con la stessa firma personale, appare come un organo monocratico.

Considerazioni
Noi pensiamo che non sia utile convocare una Marcia (è stata annunciata più di un anno fa) indipendentemente dal contesto internazionale nella quale viene a “cadere” e dai percorsi di elaborazione politica collettiva del “popolo della pace”. L’Appello non affronta quanto di drammatico e disastroso sta accadendo oggi in Siria, in Iraq, in Libia, in Afghanistan e in decine di altre zone del mondo, con una comunità internazionale impotente o complice, dentro una nuova corsa agli armamenti. Gli attentati del terrorismo internazionale anche nel cuore dell’Europa e la risposta bellica che anche il nostro governo avalla, richiedono analisi, iniziative, proposte (che pure il movimento per la pace, nelle sue varie articolazioni, ha elaborato) ben più complesse di quanto contenuto nei generici appelli della Marcia che purtroppo nella sua voce corale non riuscirà ad esprimere di meglio. Ne risulterà, per l’opinione pubblica, un movimento per la pace inadeguato, autoreferenziale, inconcludente, non all’altezza delle sfide quotidiane. Da parte nostra assecondare questi equivoci e ambiguità non ci sembrerebbe un buon servizio alla causa comune. Farlo sarebbe un errore politico.

Proposta
Riteniamo che oggi il movimento per la pace non debba essere riportato alla genericità degli slogan retorici, buoni per ogni stagione, ma che non spostano in avanti il processo di disarmo e di costruzione delle alternative alla guerra, alle armi ed agli eserciti, strumenti che l’alimentano e la rendono possibile. La Marcia, come scriveva Aldo Capitini, non può essere “fine a se stessa”; la Marcia è un mezzo nonviolento di azione: tra i requisiti fondamentali vi è quello di dover proporre obiettivi politici specifici e chiari, “onde che vanno lontano”, che impegnino responsabilmente ciascuno dei marciatori.
Ad esempio noi pensiamo che la Campagna “Un’altra difesa è possibile”, con la proposta dell’approvazione di una Legge che riconosca e renda istituzionalmente operativa la difesa civile non armata e nonviolenta, avrebbe potuto essere un obiettivo politico importante e qualificante della Marcia, sui cui le associazioni e i singoli marciatori avrebbero potuto essere chiamati ad impegnarsi. Ma così non è stato.
Dopo più di 50 anni, sarebbe il momento di fare una valutazione collettiva ed anche ripensare ai modi di comunicazione e di espressione del più vasto movimento. Marciare in corteo da Perugia ad Assisi nel 1961 era un fatto assolutamente innovativo e rivoluzionario; continuando a farlo ogni due anni si corre il rischio della ripetitività ed assuefazione. Così come nelle forme organizzative anche nelle modalità comunicative ci vuole un adeguamento al rapporto mezzi – fini.

Conclusioni
Per queste ragioni e per queste mancanze il Movimento Nonviolento ha ritenuto che non vi siano le condizioni per poter aderire alla Perugia-Assisi del 2016.
Tuttavia, essere alla Marcia è un momento importante per chi vi partecipa. Dal giorno dopo la Marcia chi vorrà continuare un impegno serio, consapevole e quotidiano per la costruzione della pace attraverso la nonviolenza, potrà trovarci nelle decine di Centri territoriali del Movimento Nonviolento in tutta Italia: c’è bisogno ogni giorno del lavoro di tutti.
Ciò che abbiamo voluto evidenziare con questo documento, rivolgendoci soprattutto alle Reti con le quali convocammo l’Arena di Pace e Disarmo e con le quali conduciamo la comune Campagna “Un’altra difesa è possibile”, è che l’unità del movimento la si costruisce quotidianamente impegnandosi a fondo sui contenuti: il Movimento Nonviolento non fa mai mancare la propria aggiunta nonviolenta a chi sinceramente opera per la pace.


Movimento Nonviolento
www.nonviolenti.org www.azionenonviolenta.it
19 settembre 2016