venerdì 8 maggio 2020

Caccia F-35, come prima, peggio di prima

dalle pagina https://ilmanifesto.it/caccia-f-35-come-prima-peggio-di-prima/



A Taranto non si fanno mancare nulla. Non solo c’è l’impresa Ilva che riproduce lavoro e inquinamento mortale. Nelle prime ore di giovedì scorso la mastodontica portaerei Cavour si è riposizionata con abili manovre per riguadagnare il suo posto d’ormeggio nella Nuova Stazione Mar Grande, per prepararsi a solcare l’oceano Atlantico e raggiungere così gli Stati uniti per caricare lì i cacciabombardieri F35 modello B.

Con gran vanto di Fincantieri, Arsenale Militare Marittimo e Ministero della Difesa, perché si è trattato per due anni di riadattare ponte di volo, hangar, locali tecnici, capacità di imbarco dell’avio-combustibile, strumentazione elettronica. Gran vanto, anche perché a questo punto la Marina Militare italiana, con la Us Navy e la Royal Navy britannico saranno le uniche Marine al mondo in grado di dispiegare portaerei che permettono decollo e atterraggio ai micidiali F35.

A questo punto dunque è chiaro che, per quel che riguarda l’«eccellenza italiana» della produzione di armi per le guerre – i trafficanti di morte che non smette di denunciare, inascoltato è dir poco, papa Francesco – e l’«innovazione degli F35», tanto cara al nuovo direttore de la Repubblica Maurizio Molinari, non solo non cambia nulla ma tutto continua come prima e anzi peggio di prima.

Intanto la portaerei stessa non è proprio un sistema di difesa conforme al dettato costituzionale, visto che trasporterà armi d’offesa in giro per i mari del mondo, ben oltre i confini nazionali.

Ma soprattutto i cacciabombardieri F35 sono un’arma d’offesa, progettati per il first strike, vale a dire per sparare per primi, con capacità perfino di montare ogive nucleari. Ma non eravamo nell’epoca degli interessi comuni e pubblici derivati dal disastro provocato dalla pandemia di Covid 19 che, tutt’altro che debellata, nel mondo sta mietendo centinaia di migliaia di vite umane? La domanda allora diventa spontanea: quanto ci costa quest’avventura?

Ecco la risposta: ogni F35 costa poco più di 100 milioni di euro (156 milioni era quello dei prototipi iniziali), tanto siamo costretti a pagare per il nuovo modello B, il più costoso perché permette il decollo corto e l’atterraggio verticale; ma è un costo approssimato perché si tratta di un «affare» che è un pozzo senza fondo. Una volta comprato deve continuamente essere aggiornato con nuovi sistemi d’arma e sistemi elettronici in mano al committente Usa. Un aggravio pesantissimo per un Paese atlantico come l’Italia la cui spesa militare complessiva ha superato ormai i 70 milioni di euro al giorno.

Ci si chiede: ma quanti reparti di terapia intensiva, quanti respiratori polmonari, quanti sistemi scolastici video-integrati potremmo comprare con la cifra destinata invece da questo governo, come dai governi precedenti, allo sventurato «affare» degli F35B? La Protezione civile, costretta alla sottoscrizione tra i cittadini volenterosi, può fare il calcolo, per favore?

Ora che la corsa folle della Fase 2 si avvia con dichiarazioni improbabili sulle garanzie di sicurezza, forse su questa vergogna una voce di sinistra – dentro, fuori e contro il governo – almeno dovrebbe levarsi. Insieme alla protesta.

Mentre è probabile che ci stiamo preparando solo ad uno sventolio di bandierine tricolori di un popolo festante magari munito dal Ministero della Difesa di mascherine con sopra l’effige d’«eccellenza» degli F35.

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dalla pagina https://ilmanifesto.it/gli-f35-hanno-la-loro-portaerei-la-cavour-modificata-per-latterraggio/

Gli F35 hanno la loro portaerei La Cavour modificata per l’atterraggio


Taranto. Prevista la partenza per gli Usa per una serie di test con i nuovi caccia

Mercoledì la portaerei Cavour, fiore all’occhiello della Marina militare italiana, ha lasciato la rada del mar Piccolo di Taranto dopo una lunga sosta di manutenzioni all’Arsenale Militare durata oltre un anno, per tornare al suo posto di ormeggio nella stazione navale Mar Grande.

Il passaggio nel canale navigabile, attraverso l’apertura del ponte girevole che collega la città vecchia di Taranto alla città nuova, è avvenuto all’alba onde evitare gli assembramenti che puntualmente si verificano quando avviene il transito di navi militari, che per molti tarantini è ancora oggi un appuntamento dal grande fascino. A dimostrazione che Taranto, prima ancora che essere la città dell’Ilva, è da oltre due secoli la base strategica della Marina Militare italiana nel Mediterraneo, oltre che una città avamposto della Nato.

Giunta nel dicembre del 2018, lo scorso novembre la Cavour è uscita dal bacino di carenaggio «Edgardo Ferrati» dell’Arsenale di Taranto, dopo aver ultimato i lavori di carenaggio iniziati lo scorso luglio. Sulla portaerei sono stati effettuati lavori di ammodernamento e ristrutturazione, tra cui il carenamento periodico oltre alla metallizzazione del ponte di volo per contenere gli impatti termodinamici degli F35B. I lavori allo scafo sono stati svolti attraverso l’applicazione di un ciclo di pitturazione all’avanguardia per tutelare il più possibile l’ambiente marino.

Il tutto per una commessa da 90 milioni di euro, che ha visto impegnato le principali industrie nazionali in ambito navale militare, Fincantieri e Leonardo, in collaborazione con Sican e Cnt, due consorzi pugliesi, oltre a ditte dell’indotto della piccola-media impresa tarantina ed alle maestranze arsenalizie.

Terminate le attività manutentive, la portaerei adesso affronterà un periodo di addestramento propedeutico alla successiva partenza per gli Stati uniti, dove condurrà alcuni test con gli F35B a bordo. Di fatto dunque, se da un lato questa commessa ha permesso di far lavorare molti lavoratori, dall’altro ha dotato la Cavour della possibilità di ospitare degli strumenti di guerra e di morte come i nuovi F35B. Con l’ingresso in linea dei nuovi velivoli infatti, la Marina Militare, la US Navy e la Royal Navy britannica saranno le uniche marine al mondo a disporre di portaerei in grado di operare con i velivoli F35. Che nei mesi scorsi hanno creato un incidente diplomatico tra l’Aeronautica che avrà in dotazione gli F35A e la stessa Marina, sul numero di aerei da possedere.

Ma l’investimento del ministero della Difesa non finisce qui. Oltre ai 14 miliardi di euro spesi per acquistare gli F35, nei mesi scorsi la Difesa ha appaltato per 91 milioni di euro all’impresa Matarrese spa di Bari, la ristrutturazione dell’aerobase di Ghedi in Lombardia, per accogliere gli aerei di nuova generazione, il cui arrivo è previsto pronto per luglio 2022. Secondo il report della Camera dello scorso gennaio, entro il 2022 l’Italia disporrà di 28 aerei F35, rispetto ai 90 acquistati lo scorso anno.


domenica 3 maggio 2020

Le armi nucleari in Italia: Aviano e Ghedi

In Italia le armi nucleari USA (B61) sono ad Aviano e Ghedi, dove, prima o poi, arriveranno le nuove B61-12.
Sarebbe interessante sapere se ci sono dei lavori di sistemazione di tali depositi in vista dell'arrivo delle nuove B61-12 ...
Se hai info, facci sapere. Grazie.

Aumentano le spese militari mentre i bilanci sanitari restano insufficienti

dalla pagina https://www.azionenonviolenta.it/aumentano-le-spese-militari-mentre-i-bilanci-sanitari-restano-insufficienti/

Le proposte della società civile internazionale per spostare risorse da costi armati (riducendo la spesa del 10%) a investimenti sociali. In Italia Rete Disarmo, Rete della Pace e Sbilanciamoci chiedono la moratoria di un anno sull’acquisto di nuovi armamenti.
Culminano oggi con iniziative e conferenze stampa in tutto il mondo (Seoul, Sydney, Berlino, Roma, Barcellona, Washington, Buenos Aires, Rosario, Montevideo alcune tra le città confermate) le “Giornate Globali di azione sulle spese militari” coordinate dalla Global Campaign on Military Spending (GCOMS). Una Campagna promossa dall’International Peace Bureau (IPB) e rilanciata nel nostro Paese da Rete Italiana per il Disarmo con Rete della Pace e Sbilanciamoci per ribadire quanto sia urgente spostare i fondi dai bilanci militari verso altri obiettivi, quali la lotta contro il Covid-19 e il rimedio ad altre crisi sociali e ambientali.
Una mobilitazione quest’anno caratterizzata da azioni di natura “virtuale” (campagna selfie, diffusione di dati e analisi, rilancio di proposte politiche) che chiede a nome delle popolazioni di tutto il mondo che si ponga fine alla pandemia delle spese militari.
Le armi e gli eserciti non ci garantiranno maggiore sicurezza. Anzi, renderanno sempre più catastrofiche le conseguenze dei conflitti attualmente in corso e quelli futuri. Dobbiamo invece dedicare le nostre energie a costruire dialogo, iniziative di diplomazia, politiche di sicurezza comune. E ciò è particolarmente evidente nella lotta contro il Covid-19, una minaccia non militare che potrà essere risolta solo con la cooperazione globale.
“Nel 2019 gli investimenti per armi ed eserciti sono cresciuti ancora a livello globale. IPB insieme ai propri partner nella GCOMS rilancia l’appello a ridurre queste spese almeno del 10% annuale – sottolinea Lisa Clark, co-presidente internazionale di IPB e vicepresidente di Beati i Costruttori di Pace – I fondi così risparmiati devono essere spostati verso la realizzazione degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile Agenda 2030 delle Nazioni Unite. E’ una esigenza ormai imprescindibile”.
In questi tempi di pandemia, con il Covid-19 che rischia di travolgere i sistemi sanitari di tutto il mondo, l’Istituto Internazionale di Ricerca per la Pace di Stoccolma SIPRI ha reso pubblici i dati aggiornati sulle spese militari riferiti al 2019 registrando un aumento del 3,6% rispetto al 2018 con una cifra record di 1.917 miliardi di dollari, e cioè 259 dollari per ogni abitante del pianeta (vedi scheda allegata per ulteriori dettagli).
Tale aumento mostra che il mondo è travolto da una corsa agli armamenti a beneficio di pochi, che rischia di condurci alla catastrofe globale. E’ indice inoltre dell’enorme potere delle industrie del settore difesa, in particolare in Europa, in America del nord, in Asia e Oceania. Il solo bilancio militare della NATO arriva a 1.035 miliardi di dollari, cioè il 54% della spesa militare globale. Nel Medio Oriente, l’unica regione in cui le spese militari siano diminuite, le conseguenze tragiche dei conflitti militarizzati sono evidentissime.
“Tutto questo avviene mentre l’Organizzazione Mondiale della Sanità, con tutti i suoi limiti l’unico tentativo globale e concertato di rispondere alle crisi di natura medico-sanitaria, ha un bilancio biennale di circa 4,5 miliardi di dollari per la maggior parte contributi volontari di Stati e privati”, sottolinea Giulio Marcon portavoce di Sbilanciamoci. “Stiamo parlando di una cifra che annualmente è solo lo 0,11% di quanto i Governi spendono globalmente per il settore militare”.
“Un altro paragone possibile è con l’investimento nell’Aiuto Pubblico allo Sviluppo (APS) dei Paesi industrializzati che è pari a 152,8 miliardi di dollari, equivalenti allo 0,30% del loro PIL e meno dell’8% della spesa militare – aggiunge Sergio Bassoli della segreteria di Rete della Pace – Un dato significativo che denuncia dove stia il vero interesse ed investimento da parte dei Governi (nell’industria militare e nelle guerre) in totale contraddizione con gli impegni sottoscritti per l’Agenda 2030”.
La situazione è del tutto simile anche in Italia, con una stima (elaborata dall’Osservatorio Mil€x, in allegato scheda con i dettagli) complessiva di spesa militare prevista per il 2020 in circa 26,3 miliardi di euro con crescita di oltre il 6% (quasi un miliardo e mezzo in più) rispetto al comparabile bilancio preventivo 2019. “E questi sono solo i numeri delle previsioni di partenza – sottolinea Francesco Vignarca coordinatore di Rete Disarmo – perché nei bilanci consuntivi si verifica una spesa effettiva decisamente superiore. Va sottolineato poi che nella previsione per il 2020 quasi 5,9 miliardi di euro sono destinati all’acquisto di nuovi sistemi d’arma”.
Questi dati e considerazioni spingono Rete Italiana per il Disarmo, Sbilanciamoci! e Rete della Pace ad una presa di posizione congiunta, con l’obiettivo di recuperare fondi utili per la fase di uscita dalla crisi provocata dalla pandemia di Covid-19 e per iniziare un vero processo di spostamento di risorse dalle spese militari a settori più utili per la società.
La proposta che intendiamo avanzare al Governo e al Parlamento è chiara e netta: una moratoria di un anno per il 2021 su tutti gli acquisti di natura militare per nuovi sistemi d’arma. Se non è forse ipotizzabile fermare i programmi che sono già stati finanziati e decisi con la Legge di Bilancio votata a fine 2019 è invece sicuramente possibile intervenire sulle prossime decisioni di budget dello Stato. Quello che chiediamo è dunque concretamente realizzabile: azzerare completamente per un anno i fondi per nuove armi allocati sia presso il Ministero della Difesa che presso il Ministero dello Sviluppo economico e non dare avvio alla cosiddetta “Legge Terrestre” richiesta dall’Esercito. Complessivamente si tratterebbe di più di 6 miliardi di euro risparmiati che potrebbero essere immediatamente riconvertiti e investiti per gli interventi di riorganizzazione scolastica post Covid-19 e per acquisto di strumentazione medica al fine di aumentare i posti letto, soprattutto quelli di terapia intensiva. Una scelta semplice e in un certo senso anche naturale, con fondi già previsti e per i quali ci sarebbe solo un cambio di destinazione da investimento negativo e non utile a investimenti fondamentali per il futuro dell’Italia.
Chiederemo a tutte le forze politiche, al Governo, al Parlamento di avere per una volta il coraggio di mettere le necessità reali dei cittadini italiani davanti agli interessi militari e dell’industria delle armi.

sabato 2 maggio 2020

Meno armi, più ospedali

dalla pagina https://sbilanciamoci.info/meno-armi-piu-ospedali/


29 Aprile 2020 Sezione: Campagna Sbilanciamoci!CommentiEditoriale
Nel 2019 sono stati spesi nel mondo quasi 2mila miliardi di dollari in armi, mentre il bilancio dell’Oms è di poco più di due. In Italia aumentano le spese militari e, nel pieno dell’emergenza Covid-19, si conferma il programma d’acquisto degli F-35 ed è in arrivo una legge da 6 miliardi di euro in armamenti.
Il nuovo Rapporto annuale del SIPRI, il prestigioso istituto svedese di ricerca sulla pace e il disarmo, ci dice che nel 2019 sono stati spesi 1.917 miliardi di dollari per le armi e la difesa. Nello stesso tempo il bilancio dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) è di poco superiore ai due miliardi di dollari, lo 0,11% di quanto si spende per le armi.
Si è paragonata – sbagliando – la pandemia del coronavirus a una guerra. Sta di fatto che per le guerre vere o inesistenti si spendono migliaia di miliardi di dollari e per difenderci a livello globale da una pandemia che sta causando centinaia di migliaia di morti si danno all’organismo globale che dovrebbe coordinarci e intervenire solo le briciole. Il bilancio dell’Oms è basato su contributi volontari e in parte sono privati: il secondo finanziatore dell’Organizzazione è la Fondazione Bill e Melinda Gates.
Intanto, che cosa fa il governo del nostro paese? Con il decreto Cura Italia sta mettendo un po’ di risorse sulla sanità, ma dal 2008 gli esecutivi che si sono succeduti in questi anni hanno definanziato il servizio sanitario nazionale. Lo certifica in queste ore l’Istat. Negli stessi anni sono aumentate le spese militari.
Nella conferenza stampa online tenutasi il 27 aprile scorso, Sbilanciamoci!, la Rete Disarmo e la Rete della Pace hanno chiesto al governo di bloccare l’imminente “legge terrestre” (6 miliardi di euro per carri armati, blindo, ecc.) e di fermare gli ulteriori investimenti per gli F-35. Il Movimento 5 Stelle ha ripreso la proposta e una cinquantina di parlamentari si sono attivati in questa direzione.
Il Ministro della Difesa Lorenzo Guerini e il PD hanno fatto muro, sbandierando “accordi internazionali vincolanti” (non è vero) e inesistenti “penali” se si dovesse fermare il programma dei cacciabombardieri. E nei provvedimenti di queste settimane – mentre gran parte delle aziende si sono dovute fermare – si è consentito alle aziende militari di continuare a produrre, senza che fossero produzioni essenziali o strategiche. Anche durante un’emergenza così grave le scelte del governo sono piegate agli interessi dell’industria bellica.
Non sarebbe ora di invertire le scelte? Come propone Sbilanciamoci!, da tempo possiamo recuperare almeno dieci miliardi di risorse dalla riduzione delle spese militari e dei nuovi sistemi d’arma. Come viene scritto nel documento-appello In salute, giusta, sostenibile. L’Italia che vogliamo, le spese per la difesa non devono superare l’1% del Pil.
Si deve bloccare il programma F-35, evitando di spendere altri 12 miliardi nei prossimi anni. Si deve fermare una legge che ci farebbe spendere 6 miliardi di euro in carri armati e mitragliatrici. Oggi le urgenze sono quelle di un servizio sanitario nazionale pubblico che funzioni, di un welfare che dia diritti a tutti, di una scuola che non cada a pezzi. Queste sono le vere priorità del paese.