lunedì 29 aprile 2019

Causa legale alla FBI per reticenza sui fatti dell'11 Settembre

dalla pagina https://www.ae911truth.org/fbi

Famiglie, avvocati e il movimento AE911Truth (Archietti e Ingegneri per la Verità sull'11 Settembre) fanno causa alla FBI per il "Rapporto della Commissione di indagine sull'11 Settembre"

Per la prima volta, membri delle famiglie dell'11 Settembre e avvocati hanno iniziato azioni legali contro la FBI con l'intento di costringere l'Agenzia a valutare e comunicare le evidenze note alla FBI riguardo la demolizione tramite esplosivi del World Trade Center (WTC) nonché altre evidenze mai riportate sull'11 Settembre. 

Nel 2014, il Congresso USA ha dato mandato alla FBI di costituire una commissione esterna per condurre "una valutazione di ogni nuova evidenza nota alla FBI che non fosse stata presa in considerazione dalla Commissione per l'11 Settembre, riguardante qualunque fattore che avesse contribuito in qualunque modo all'attacco terroristico dell'11 Settembre 2001". Un anno dopo, la FBI rese nota la relazione finale della Commissione, che non includeva una valutazione della prova relativa alla demolizione del WTC, né una valutazione di molte altre evidenze note alla FBI. 

Ora il Comitato degli Avvocati per l'Inchiesta sull'11 Settembre e AE911Truth hanno bisogno del tuo aiuto per portare avanti la nostra storica battaglia legale e portare alla luce le prove chiave.

visita la pagina https://www.ae911truth.org/fbi

martedì 16 aprile 2019

Killer robots, mini-droni...

dalla pagina https://ilmanifesto.it/piccoli-ma-letali-killer-robots-al-bando/

Campagna per fermare i robot assassini
Intelligenza artificiale e guerre. La Rete per il disarmo - vincitrice del premio Nobel per la pace 2017 come partner dell’Ican - ha lanciato la campagna “Stop killer robots” anche in Italia - dopo Francia, Germania e Usa - con un appello firmato da 110 gli scienziati italiani, ricercatori, dottorandi e professori universitari

Rachele Gonnelli - 19.03.2019

Piccolo come un giocattolino, un ragno meccanico appoggiato sul palmo di una mano quando è a riposo, ma capace di volare, schivare gli ostacoli, scartare di lato, velocissimo, di riconoscere una faccia attraverso i dati immagazzinati e i sensori, di individuarla come bersaglio e come una fulminea ape elettronica si tuffa per penetrarne l’osso frontale in mezzo agli occhi con una carica di tre grammi di esplosivo.
Ecco, questo delicato marchingegno kamikaze senza colpe né dubbi è un killer robots, un mini drone programmato per decidere autonomamente chi uccidere e chi no, il protagonista prescelto per le guerre «intelligenti» del futuro, un futuro non tanto lontano.
GIÀ DA UN PAIO D’ANNI negli Stati uniti si è sviluppato un dibattito sulla messa al bando preventiva di questi sistemi d’arma che, utilizzando robotica di precisione e tutte le tecnologie più innovative nel campo dell’intelligenza artificiale, sono chiamati ad agire militarmente, nuovi soldatini guidati da una complessa serie di algoritmi piuttosto che dalla imprecisa e tremolante mano umana.
Già 28 Paesi, tra cui la Cina, hanno chiesto la loro messa al bando; ci sono a Bruxelles tavoli di esperti che studiano la materia e riferiscono a governi europei estremamente preoccupati del possibile lancio di questa nuova gamma di micidiali prodotti, ordigni intelligenti ma non troppo, visto che possono scambiare uno scuolabus per uno struzzo e forse per un commando terrorista attraverso errori di progettazione e quelli che gli esperti chiamano «bias» o «bachi di sistema», in ogni caso capaci di rivoluzionare lo scenario di una conflittualità mondiale permanente come quando e molto di più fu esploso il primo fungo nucleare.
Pochi giorni fa la Rete italiana per il disarmo – vincitrice del premio Nobel per la pace 2017 come partner dell’Ican – ha lanciato la campagna «Stop killer robots» anche in Italia – dopo Francia, Germania e Usa – con un appello firmato da 110 scienziati italiani, ricercatori, dottorandi e professori universitari, quasi tutti informatici, ingegneri della conoscenza, esperti di robotica e di Ai, intelligenza artificiale, che chiede alla comunità internazionale di fermare l’elaborazione di sistemi d’arma a guida autonoma.
«In realtà ci può anche essere una autonomia totale dell’arma per quanto riguarda l’autodiagnosi, per vedere se c’è un malfunzionamento, o sulla mobilità ma non sul targeting e sul firing, cioè sulla scelta dell’obiettivo da colpire e sul far fuoco», spiega Diego Latella, segretario dell’Unione scienziati per il disarmo (Uspid) e informatico ricercatore del Cnr.
QUELLO CHE GLI SCIENZIATI chiedono anche nella petizione lanciata dall’associazione Life for Future (finanziata anche da Elon Musk di Tesla ndr) è la messa al bando delle armi completamente autonome quando i gradi di autonomia sono tre – spiega Latella – e si definiscono con la minimizzazione dell’intervento umano: «human in the loop» a totale controllo dell’uomo, «human on the loop», quando l’uomo interviene, «human out the loop», quando la presenza umana non è richiesta per niente.
«Non si tratta qui di dividerci tra apocalittici e integrati – dice Guglielmo Tamburrini, professore di filosofia della scienza alla Federico II di Napoli – ma di maturare una sensibilità morale ad ogni grande innovazione tecnologica e se è vero che l’intelligenza artificiale e la robotica hanno un grande impatto positivo applicate alla sanità o ai trasporti, persino ad attività di sorveglianza e di difesa, armi che vagano in uno spazio alla ricerca del nemico da colpire indipendentemente da qualsiasi controllo umano pongono l’umanità stessa a rischio».
SI PONGONO PROBLEMI ETICI e giuridici, visto che interrompendo la catena umana di comando, sarebbe impossibile definire la responsabilità dei crimini di guerra, mettendo in mora tutto il diritto internazionale e la convenzione di Ginevra. Piccoli e grandi Terminator poi non sono completamente prevedibili e si potrebbero verificare inarrestabili genocidi in una lotta tra uomo e macchina di cui abbiamo avuto un assaggio con il recente caso del jet etiope precipitato.
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I war games sono già iniziati: tossine biotech e sciami di droni-killer

Guerra fredda 2.0. L’allarme dell'ultimo rapporto Bio Plus X del Sipri: nuove minacce da un possibile mix bellico di AI, stampa3D con bioink e robotica 
Rachele Gonnelli - 10.04.2019
Piccoli e silenziosi, il nemico non deve sentirli arrivare: i mini droni interattivi sono la nuova ossessione degli alti papaveri degli eserciti. Per il momento fanno «volare» nuvole di soldi: 99 milioni di dollari per introdurli nel vecchio programma Shadow del Pentagono e 75 milioni di sterline per integrarli nella Royal Navy britannica – con o senza Brexit – solo per parlare degli ultimi stanziamenti di questo inizio aprile.
E intanto si sperimentano sempre più autonomi e precisi, nell’individuare mine e sottomarini, nel pattugliare territori di confine, deserti e giungle, nel riconoscere bersagli, nel trasportare munizioni e riparare armi tramite la tecnologia della «stampa3D». Ma soprattutto – per il momento – sono un fiore all’occhiello nei «giochi di guerra», cioè nelle esercitazioni tattiche che tanto piacciono ai militari e che fanno parte di questa epoca di «Fase-zero» (o Zero Phase) nella tassonomia della guerra.
È così che si chiama in gergo militare americano la nuova versione della guerra fredda, comprensiva del cyberspazio.
Un’epoca caratterizzata anche e soprattutto di spionaggio online, disinformazione di massa organizzata attraverso fake news e social media com’è stato durante la campagna elettorale di Donald Trump, cyber-attacchi per mandare in panne i sistemi informatici governativi com’è successo non più tardi di un mese fa in Spagna (è stato a metà marzo e il ministero della Difesa iberico ha attribuito la responsabilità a una non meglio identificata «potenza straniera»), diffusione di allarmi tipo l’antrace, o eliminazione di agenti segreti con cocktail, tisane e profumi infettati da radioisotopi di potenza letale .
Del resto torri robotiche di sorveglianza sono state studiate tra Stati uniti e Messico come «muro digitale» per un certo tempo preferito dal presidente Trump. Si trattava del progetto «Anduril» ideato – e realizzato in esperimento lungo la frontiera del Rio Grande – dal più celebre giovane supporter del presidente: il 26enne Palmer Luckey.
E del resto una barriera dello stesso genere sarebbe stata proposta, e poi scartata dalla Ue, anche tra Turchia e Siria, sempre in funzione «anti-invasione» di migranti, proprio come «anti-invasione» sono le torri realizzate dalla Samsung per monitorare la fascia di territorio tra le due Coree – unico esempio realizzato di Killer robots in funzione –, letali per qualsiasi essere umano si trovi ad attraversare la terra di nessuno tra le due barriere di confine.
Lo scenario successivo a questa «Fase-zero» è però molto, molto più inquietante. L’ultimo rapporto del Sipri (Stockholm International Peace Research Institute), autorevole organizzazione di analisi delle spese militari e politiche della sicurezza nel mondo, lancia un allarme sui possibili esiti bellici di alcuni recenti sviluppi tecnologici. Un allarme che comprende i Killer robots, sistemi d’arma integralmente automatici, capaci cioè di decidere quando e se colpire indipendentemente da qualsiasi decisione umana, ma va oltre.
Il rapporto, uscito a fine marzo – Bio Plus X: Arms control and the convergente of biology and emerging technologies – del Sipri, sostiene che i progressi della biotecnologia (la manipolazione genetica degli organismi, dai batteri ai tessuti umani) potrebbero essere messi a servizio della proliferazione di armi biologiche e avere un effetto disruptive esponenziale se unite alle altre tre tecnologie “emergenti”: l’intelligenza artificiale (in sigla Ai, comprensiva del machine learning), la robotica e la additive manufacturing (in sigla Am, più comunemente nota come stampa3D).
Attualmente la convergenza di queste tecnologie innovative in ambito bellico è non solo possibile ma difficilmente controllabile anche attraverso la diffusione delle informazioni e la creazione di laboratori-cloud, dove gli esperimenti possono essere compiuti anche in remoto, da piccoli gruppi disarticolati e informali di sviluppatori. Non si tratta certo di fermare i progressi scientifici, da cui dipendono gli straordinari avanzamenti in ambito civile e soprattutto sanitario sia diagnostico, sia per le cure personalizzate del cancro e delle malattie rare e persino sui modelli predittivi di nuove epidemie.
Per il Sipri però l’unico strumento di controllo esistente, la Convenzione contro la proliferazione delle armi biologiche e tossiche del 1972, si dimostra insufficiente e deve essere quanto meno riformato e adeguato alle nuove minacce biotecnologiche.
Sipri propone un comitato consultivo scientifico di monitoraggio permanente che affianchi le istituzioni di controllo legate al trattato del 1972, standard di sicurezza per i dati genomici e di privacy, codici di condotta per gli scienziati, corsi obbligatori sull’etica della ricerca e la biosicurezza negli istituti di ricerca e nelle università e altro ancora. Nel frattempo la commissione delle Nazioni unite sul monitoraggio delle nuove armi che si è riunita a Ginevra a fine marzo, non ha preso nessuna decisione.
Neanche per rispondere alle sollecitazioni della campagna Stop Killer robots che si sta diffondendo in oltre 28 Paesi. Francesco Vignarca, coordinatore della campagna in Italia e portavoce della Rete Disarmo, sostiene che per superare le resistenze russe, cinesi e statunitensi alla messa al bando delle armi interamente autonome dal controllo umano «adesso non si può che sensibilizzare l’opinione pubblica, i parlamenti e i governi, per attivare un percorso negoziato verso un nuovo trattato».
Già nelle prossime settimane è stata chiesta dalla campagna Stop Killer robots una audizione sia al Senato sia alla Camera e a maggio sarà organizzato un evento seminariale all’interno del Festival dei diritti umani.


sabato 13 aprile 2019

Riparte l’azione NO F-35: “Governo e Parlamento non spendano 10 miliardi per nuovi caccia da guerra”

dalla pagina https://www.disarmo.org/nof35/ 
Presentate a Roma le iniziative della società civile contro la partecipazione italiana al programma Joint Strike Fighter. 
Anche il Governo Conte ha sottoscritto contratti per la continuazione degli acquisti e nei prossimi mesi dovrà essere presa la decisione definitiva.
11 aprile 2019
Fonte: Rete Italiana Disarmo - Campagna Sbilanciamoci - Rete della Pace - 11 aprile 2019
Presentate a Roma le iniziative della società civile contro la partecipazione italiana al programma Joint Strike Fighter.
Anche il Governo Conte ha sottoscritto contratti per la continuazione degli acquisti e nei prossimi mesi dovrà essere presa la decisione definitiva. In gioco fin da subito 3,7 miliardi che potrebbero arrivare a 10 (per solo acquisto). Se non si cambierà rotta. Le alternative possibili: welfare, lavoro, istruzione, diritti, ambiente.
dieci anni di distanza dal voto in parlamento (dell’aprile 2009) che aveva sancito la partecipazione italiana al progetto JSF è stata rilanciata oggi, in una Conferenza Stampa presso la Camera dei Deputati, la mobilitazione della società civile italiana contro l’acquisto dei cacciabombardieri F-35. Ripresa congiuntamente da Rete italiana per il Disarmo, Sbilanciamoci! e Rete della Pace la nuova fase di mobilitazione (che nelle prossime settimane vedrà concretizzarsi diverse iniziative a livello nazionale e territoriale) ha come obiettivo la richiesta a Governo e Parlamento dello stop definitivo della partecipazione italiana al programma Joint Strike Fighter. Un impegno che, dopo i primi 4 miliardi già spesi e almeno 26 velivoli già acquisiti o in produzione, costerà se confermato almeno altri 10 miliardi di euro, destinati ad aerei d’attacco e con capacità nucleare costellati da problemi e ritardi.
“Oggi abbiamo fatto un appello ai Parlamentari di tutti gli schieramenti: dite basta a questa scelta insensata a problematica presentando e discutendo entro l’estate una Mozione per il blocco definitivo e completo del programma JSF” ha commentato Giulio Marcon coordinatore della campagna Sbilanciamoci! Le organizzazioni della società civile che oggi hanno rilanciato la “mobilitazione NOF35” chiedono invece di destinare tali fondi a necessità più urgenti per l’Italia: welfare, lavoro, istruzione, diritti, ambiente.
I soldi che si dovrebbero ancora spendere per gli F-35 (almeno 10 miliardi di euro secondo le stime della campagna, sempre precise, documentate e confermate in tutti questi anni di azione) nei prossimi 10 anni si potrebbero invece investire in: 100 elicotteri per l'elisoccorso in dotazione ai principali ospedali, 30 canadair per spegnere gli incendi durante l’estate, 5.000 scuole messe in sicurezza a partire da quelle delle zone sismiche e a rischio idrogeologico, 1.000 asili nido pubblici a favore di 30.000 bambini oltre a 10.000 posti di lavoro per assistenti familiari nel settore della non autosufficienza.
“Oggi rilanciamo la campagna contro l'acquisto dei cacciabombardieri F-35 perché è ora di dire basta a queste scelte che tolgono risorse allo sviluppo sostenibile ed ai reali bisogni del Paese, e non fanno altro che alimentare la corsa al riarmo, a nuove guerre, a nuove dittature. E' ora di costruire la pace con l'economia di pace e con la difesa civile e nonviolenta, con il rifiuto della guerra e con la messa al bando delle armi nucleari (tutto l’opposto di un investimento in un aereo capace di sganciare ordigni nucleare) - commenta Sergio Bassoli della segreteria di Rete della Pace - Dobbiamo garantire l'accesso ai diritti fondamentali ed universali a tutte le persone perciò il Parlamento deve ascoltare e scegliere da che parte stare: dalla parte dei bisogni del paese e della pace o dalla parte dei poteri forti e dell'industria della guerra?”.
Durante la conferenza stampa è stata illustrata la situazione attuale del programma JSF e gli impegni assunti dall’Italia, con le possibili prospettive legate alla decisione finale di acquisto: “Tra il 2019 e il 2020 anche il nostro Paese dovrà decidere se sottoscrivere un contratto di acquisto pluriennale, diverso dagli acquisti annuali flessibili che sono stati condotti finora - sottolinea Francesco Vignarca di Rete Disarmo - per cui siamo allo snodo fondamentale: dopo tale passaggio non sarà più possibile tornare indietro e risparmiare alcun euro, anzi il continuo lievitare dei costi ci costringerà ad aumentare anche i fondi attualmente stanziati. Facciamo dunque appello a chi ha sempre dichiarato la propria contrarietà agli F-35: abbiate coraggio di una decisione che porterà benefici veri al Paese”.
Le organizzazioni della società civile hanno inoltre evidenziato come nella seconda parte del 2018 siano stati almeno 6 i nuovi contratti sottoscritti dall’Italia in prosecuzione all’acquisto di lotti recenti di F-35. In combinazione con documenti della Difesa (come il DPP 2018) ciò conferma che anche il Governo Conte così come gli Esecutivi precedenti ha firmato contratti che configurano l’acquisto di nuovi aerei e la spesa di centinaia di milioni di denaro pubblico. Tutto questo, a meno di smentite o spiegazioni alternative che non sembrano plausibili, suggerisce dunque l’intenzione del Governo Conte di andare a completare quantomeno la Fase 1 di acquisizione relativa alla produzione annuale a basso rateo, per un fabbisogno complessivo di 7 miliardi di cui circa 3,7 previsti per i soli velivoli ordinati e prodotti dal 2018 al 2023.
Alternative agli F35

giovedì 11 aprile 2019

11 settembre 2001: i grattacieli NON cadono così

dalle pagine:


Dopo oltre 17 anni, grazie al Movimento Per La Verità Sull'11 Settembre e al Comitato Di Avvocati Per L'Inchiesta Sull'11 Settembre, Il Procuratore degli Stati Uniti d'America a Manhattan ha accolto la richiesta di presentare evidenze sulla demolizione del World Trade Center [Edifici 1 e 2 - Torri Gemelle - e 7] al Gran Giurì Federale.

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Numerosi studi sui dati sismici dell'11 settembre 2001 a New York confermano l'evidenza di esplosioni sia prima che durante il crollo di tutte e tre le torri del WTC, nonché di esplosioni anche prima degli impatti di velivoli contro le Torri Gemelle, in accordo con quanto dichiarato da vari testimoni (fra cui vigili del fuoco) e dimostrato da video...

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Oltre 600mila persone hanno visto l'articolo riassuntivo di AE911Truth.org [Architetti e Ingegneri per la Verità sull'11 Settembre] dal titolo "15 anni dopo: sulla fisica dei crolli dei grattacieli" pubblicato su EuroPhysics nel settembre 2016 che descrive l'insostenibilità della versione ufficiale relativa ai crolli delle Torri Gemelle (WTC 1 e 2) e dell'Editificio 7 (WTC 7) l'11 settembre 2001.

E’ importante ricordare che il fuoco non ha mai causato il crollo totale di edifici con struttura in acciaio, né prima né dopo l’11 settembre. Avremmo allora assistito ad uno stesso evento senza precedenti per ben tre volte l’11 settembre 2001? Le relazioni del NIST [Istituto Nazionale per gli Standard e la Tecnologia negli USA], che hanno tentato di sostenere quella improbabile conclusione, non riescono a persuadere un numero crescente di architetti, ingegneri e scienzati. Piuttosto, l’evidenza punta in modo preponderante alla conclusione che tutti e tre gli edifici siano stati distrutti da demolizioni controllate. Date le implicazioni di ampia portata, è eticamente imperativo che tale ipotesi diventi oggetto di una indagine veramente scientifica e imparziale da parte di autorità responsabili.

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Architetti e Ingegneri per la
Verità sull’ 11 settembre
AE911truth.org - verità sull' 11 settembre
AE911Truth.org
3130 Ingegneri e Architetti affermano 22848 cittadini di vari Paesi concordano che il crollo delle Torri Gemelle (WTC-1 e 2) dell’Edificio 7 (WTC-7) del World Trade Center fu il risultato di demolizioni controllate
   
L’ 11 settembre 2001 per la prima (e ad oggi ultima) volta nella storia dell’ingegneria civile, non 1, non 2 ma ben 3 grattacieli con strutture in acciaio e cemento sarebbero crollati – in modo simmetrico cioé su se stessi,  e praticamente in caduta libera – a seguito dell’impatto di un aereo di linea e conseguente incendio (Torri Gemelle) e, rispettivamente, per un incendio alimentato da attrezzatura e materiali da ufficio (nel caso dell’Edificio 7, WTC-7, di 47 piani) …
La demolizione controllata, che presuppone una lunga e accurata progettazione e l’impiego di potenti esplosivi, rimane l’unica ipotesi logica e plausibile e l’unico modello in grado di spiegare gli eventi dell’11 settembre al World Trade Center, mentre i modelli proposti dalle indagini ufficiali sull’ 11 settembre NON corrispondono alla realtà di come sono avvenuti i crolli:

  • i modelli “ufficiali” proposti [“Pancake collapse” e “Pile driver collapse”] sono di fatto  sbagliati
  • l’unico modello che fino ad ora corrisponde alla realtà dei crolli dei 3 edifici è quello di demolizione controllata, che richiede progettazione e cariche esplosive, come l’organizzazione Architetti e Ingegneri per la Verità sull’11 Settembre AE911Truth.org da anni afferma.

Un semplice ed efficace video è disponibile per illustrare le implicazioni dei vari modelli e la loro corrispondenza o meno ai dati reali: 9/11 Experiments: The Force Behind the Motion.

Il fisico David Chandler ha dimostrato (video) che l’Edificio 7 (WTC-7) è crollato in perfetta caduta libera per circa 2,5 sec (su un totale di 6,5 sec, contro i teorici 6,2 sec di una completa caduta libera); un edificio può crollare in caduta libera o quasi solo nel caso di demolizioni controllate, in cui cariche esplosive eliminano la resistenza offerta dalla struttura stessa dell’edificio (muri, architravi, colonne, …).


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Lo sapevi che una terza torre 
è caduta l’11 settembre 2001?

11 settembre: la terza torre WTC-7
Si tratta dell’Edificio 7 del World Trade Center crollato alle 5,20 del pomeriggio di quell’11 settembre … eppure non è stato colpito da un aereo, l’incendio che si era sviluppato non era sufficiente a farla crollare, è crollato su se stesso in 6,5 secondi, in caduta libera nei primi secondi, ricercatori indipendenti hanno trovato tracce evidenti di esplosivi molto potenti e ad elevata tecnologia, in uso solo in alcuni laboratori militari… 

Ma chi non cerca non può trovare… L’indagine ufficiale ha inizialmente ignorato completamente l’Edificio 7. Successivamente i ricercatori ufficiali hanno proposto dei modelli che però non corripondono al modo in cui gli edifici sono crollati e non hanno investigato l’eventuale uso di materiale esplosivo: non cercandolo non l’hanno trovato!

Anche i mezzi di comunicazione di massa ufficiali (mainstream mass media) hanno volutamente ignorato e superficialmente denigrato anche i tentativi onesti e razionali di ricerca della verità su quanto avvenuto a New York l’ 11 settembre 2001, come ad esempio il New York Times…


Quindi, secondo il NY Times, 2 aerei avrebbero fatto crollare 3 edifici: le Torri Gemelle la mattina e l’Edificio 7 nel pomeriggio…

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dalla pagina http://www.ae911truth.org/news/376-news-media-events-how-911-continues-to-kill.html

How 9/11 Continues to Kill


Le polveri dalle Torri del World Trade Center implose causano ancora cancro e altre malattie dopo anni


Articolo di Craig McKee

Le menzogne possono uccidere. E poche menzogne hanno ucciso più di quelle mascherate da "verità" su ciò che avvenne l'11 settembre 2001. 
Oggi, oltre 15 anni dopo il 9/11, esporre quelle menzogne è importante e necessario come sempre. La falsa narrazione ufficiale su ciò che causò il crollo degli edifici del WTC non solo continua a reclamare vittime nella "guerra al terrore" globale, ma le false dichiarazioni sulla qualità dell'aria a Ground Zero l'11 settembre e nelle settimane e mesi che seguirono stanno ancora uccidendo centinaia di persone e ancora facendo ammalare gravemente migliaia di altre.
 
Il numero di primi soccorritori, di chi ha lavorato per rimuovere le macerie e di residenti della parte sud di Manhattan che hanno subito e subiscono conseguenze non sta diminuendo ma aumentando bruscamente. Anche quelli esposti alla polvere tossica e all'aria contaminata a Ground Zero che non si sono ancora ammalati,  non hanno modo di sapere se quel giorno arriverà prima o poi...
articolo completo in inglese

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Se hai ancora dubbi e vuoi più informazioni...
guarda:

  • video di 30 sec sul crollo di WTC-7 da vari punti di vista 
  • video del crollo del WTC-7 confrontato con [altre] demolizioni controllate
  • l’intervista a Richard Gage, fondatore di AE911Truth.org, su C-Span, il canale pubblico della politica USA: guarda il video [doppiato in italiano]
  • i video di Massimo Mazzucco (luogocomune.net/site): 11 Settembre – La nuova Pearl Harbor (l’opera più esaustiva sull’11 settembre!!!) e Il Nuovo Secolo Americano per capire come è nata l’operazione false flag 9/11 (false flag = un attacco attribuito ad altri, nel caso specifico a Osama Bin Laden da un rifugio in Afghanistan…)
  • il film di Giulietto Chiesa, Zero
  • Behind The Smoke Curtain: What Happened at the Pentagon on 9/11, and What Didn’t, and Why it Matters di Barbara Honegger ha ampiamente dimostrato [video in italiano] che quello al Pentagono fu un inside job = auto-attentato e una operazione false flag
  • altri video nella nostra lista video http://presenzalongare.blogspot.it/p/video.html

leggi: 

mercoledì 10 aprile 2019

Nel nuovo conflitto il fallimento della Nato

da il manifesto del 9 aprile 2019
dalla pagina https://ilmanifesto.it/nel-nuovo-conflitto-il-fallimento-della-nato/

Caos libico. Le «Nato» sono tre: una originale, alquanto in ribasso, una «araba», corrispondente al maggiore mercato di armi americano e occidentale e una «operativa», a direzione israeliana, dotata di armi nucleari, un’aviazione sempre in attività per tenere a bada l’Iran in Siria e aiutare il generale egiziano Al Sisi in Sinai

di 

Settant’anni e li dimostra tutti. Nel caos libico e in quello siriano emergono i fallimenti occidentali e della Nato che ha appena celebrato la sua fondazione nel 1949, in piena guerra fredda. E quando una Nato comincia proprio a scricchiolare se ne fa un’altra, magari «araba».
Il generale Khalifa Haftar, oltre a essere cittadino americano, è sostenuto da Egitto, Arabia saudita ed Emirati, ovvero da quella «Nato araba» sorta con il viaggio del presidente americano Donald Trump in Medio Oriente nel maggio 2017.
In Siria Turchia e Stati Uniti, due Paesi dell’Alleanza, sono ai ferri corti sul destino dei curdi e Putin ha buon gioco a ricevere il presidente turco Erdogan a Mosca, come ha fatto ieri, per tagliare le fette della torta siriane. Dalla Siria gli Stati uniti di Donald Trump dovevano ritirarsi ma in realtà sono ancora sul campo perché non possono abbandonare al loro destino i principali alleati nella lotta all’Isis.
Inoltre Trump ha appena certificato l’annessione israeliana del Golan per dare una mano all’amico Benjamin Netanyahu, oggi alla prova delle urne, che è il vero guardiano degli americani sul fronte sud-orientale in quanto Erdogan, che ha stretto accordi con Russia e Iran, non è più affidabile.
Le «Nato» insomma sono tre: una originale, alquanto in ribasso, una «araba», corrispondente al maggiore mercato di armi americano e occidentale e una «operativa», a direzione israeliana, dotata di armi nucleari, un’aviazione sempre in attività per tenere a bada l’Iran in Siria e aiutare il generale egiziano Al Sisi in Sinai.
In Libia gli Stati Uniti ora se ne sono andati dalla periferia di Tripoli di soppiatto, contando sulla confusione innescata dall’offensiva del generale Khalifa Haftar, un altro dei loro alleati nella guerra al Califfato, sotto l’ala protettrice di Washington dagli anni’90, quando fu abbandonato da Gheddafi dopo la sconfitta in Chad.
Che strana storia questa degli americani in Libia. Hanno sempre detestato Gheddafi sin dai tempi dei raid – effettuati per ucciderlo – sulla Libia da parte di Ronald Reagan nell’86. E per coinvolgerci nell’attacco all’ex colonia mandarono in giro la fake news che aveva lanciato dei missili contro Lampedusa, versione avallata dal Colonnello, per altro salvato diverse volte dalla punizione americana con i buoni uffici di Andreotti e Craxi. «Per giorni cercammo i resti dei due missili libici, senza mai trovare nulla, neanche una sardina morta», ha testimoniato pubblicamente il generale Basilio Cottone, allora capo di Stato maggiore dell’Aeronautica militare italiana.
Nel 2011 gli Usa si unirono ai raid dei francesi e inglesi per farlo fuori, ma dopo un mese misero a terra gli aerei lasciando che a prendere il comando fosse la Nato.
Operazione abbracciata dall’Italia che forse avrebbe fatto bene a restare neutrale nell’ex colonia nonostante gli interessi petroliferi. Poi gli Usa hanno mandato marines e forze speciali a sostenere Haftar nella lotta al Califfato e si sono dislocati anche sul fronte opposto, alla periferia di Tripoli.
E che strana storia anche quella dei marines. In Libia arrivarono nel 1802 quando gli Usa cominciarono una guerra contro il pascià di Tripoli sul passaggio delle navi nel Mediterraneo. Un’impresa ricordata persino nel loro inno: From the halls of Montezuma, to the shores of Tripol / Dai saloni di Montezuma, alle spiagge di Tripoli.
L’altro giorno i marines si sono involati con un hovercraft senza cantare alcun inno e alla chetichella dalla spiaggia di Janzour, alla periferia di Tripoli. lasciandosi alla spalle il governo di Al Sarraj e le insidiose delizie del resort di lusso Palm City, una colata di cemento destinata a turisti che non sono mai arrivati. La Libia non è un posto di vacanze né di porti sicuri. La decisione di evacuare è stata presa dal generale dei marines e comandante di Africom Thomas Waldhauser.
Forse gli americani volevano evitare guai, memori dell’uccisione con la sua scorta dell’ambasciatore Usa Chris Steven nel consolato di Bengasi l’11 settembre del 2012. Oppure si preparano a cambiare politica, o a tornare, in forze visto che, – in sintonia con l’offensiva – hanno appena nominato un ambasciatore plenipotenziario in Libia, Richard Norland, già consigliere politico del Pentagono.In realtà prima o poi gli Stati uniti vorranno far funzionare anche la Nato «araba» con il generale Al Sisi, l’Arabia Saudita ed gli Emirati, tutti amiconi del generale Khalifa Haftar, nemici giurati dei Fratelli Musulmani e ottimi clienti delle armi Usa.
E, guarda caso, a sostenere il governo di Tripoli, insieme all’Italia, sono Qatar e Turchia, avversari delle monarchie del Golfo.
Gli Usa, che sembrano così restii a essere coinvolti in Libia, hanno un certo interesse a piazzare una base sulle sponde del Mediterraneo, il che farebbe perdere all’Italia ancora un po’ del suo peso strategico. Per ottenere questo obiettivo non è neppure così necessario avere un Libia riunificata: la Siria non lo è e non lo sarà mai più, con il Golan occupato dagli israeliani, l’Iraq è una nazione sempre in odore di disgregazione, all’Iran ci pensano Israele e le sanzioni. Un quadro perfetto, non è vero?

mercoledì 3 aprile 2019

Le 70 candeline (esplosive) della Nato

da il manifesto Edizione del 2 Aprile 2019
dalla pagina https://ilmanifesto.it/le-70-candeline-esplosive-della-nato/

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L'arte della guerra. Il 70° anniversario della Nato sarà celebrato dai 29 ministri degli Esteri dell’Alleanza, riuniti a Washington il 4 aprile

Il 70° anniversario della Nato sarà celebrato dai 29 ministri degli Esteri dell’Alleanza, riuniti a Washington il 4 aprile. Un Consiglio Nord Atlantico in tono minore rispetto a quello al massimo livello dei capi di stato e di governo. Lo ha voluto il presidente Trump, non tanto contento degli alleati soprattutto perché sono per la maggior parte in ritardo nell’adeguare la spesa militare a quanto richiesto da Washington.
Presiederà il meeting il Segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, al quale il Consiglio Nord Atlantico ha appena rinnovato il mandato di altri due anni per meriti acquisiti al servizio degli Stati uniti. Il calendario di Stoltenberg a Washington è stato organizzato in base a una attenta regia, per confermare chi comanda nell’Alleanza. Il 2 aprile il Segretario generale della Nato sarà ricevuto dal presidente Donald Trump alla Casa Bianca. Il 3 aprile, farà una relazione alle due Camere riunite del Congresso e sarà ricevuto dal segretario di stato Michael Pompeo.
Quindi, ricevute le ultime istruzioni, presiederà il Consiglio Nord Atlantico del 4 aprile. Lo stesso Consiglio Nord Atlantico ha appena approvato la nomina del generale Tod Wolters, della US Air Force, quale Comandante Supremo alleato in Europa al posto del generale Curtis Scaparrotti dello US Army. Come è «tradizione», da 70 anni il Comandante Supremo Alleato in Europa è sempre un generale statunitense, nominato dal presidente degli Stati uniti.
Poiché il generale che ha l’incarico di comandante supremo della Nato è allo stesso tempo comandante del Comando Europeo degli Stati uniti, la Nato è di fatto inserita nella catena di comando che fa capo al presidente degli Stati uniti. Non si sa ancora quali saranno le «priorità» del generale Wolters, ma di certo non differiranno da quelle del generale Scaparrotti: anzitutto «assicurare gli interessi degli Stati uniti e sostenere una Europa che sia intera e in pace», impegno quest’ultimo che suona tragicamente grottesco a vent’anni dalla guerra con cui la Nato sotto comando Usa demolì la Federazione Jugoslava.
Priorità odierna – dichiara il generale Scaparrotti – è quella che le infrastrutture europee siano potenziate e integrate per permettere alle forze Usa/Nato di essere rapidamente posizionate contro «l’aggressione russa». La Nato sotto comando Usa prosegue così da settant’anni di guerra in guerra. Dalla guerra fredda, quando gli Stati uniti mantenevano gli alleati sotto il loro dominio, usando l’Europa come prima linea nel confronto nucleare con l’Unione Sovietica, all’attuale confronto con la Russia provocato dagli Stati uniti fondamentalmente per gli stessi scopi.
Di tale scenario parleremo al Convegno internazionale «I 70 anni della Nato: quale bilancio storico? Uscire dal sistema di guerra, ora», domenica 7 aprile a Firenze (Cinema Teatro Odeon, ore 10:15-18). Temi delle tavole rotonde: «Jugoslavia: 20 anni fa la guerra fondante della nuova Nato. I due fronti della Nato ad Est e a Sud. L’Europa in prima linea nel confronto nucleare. Cultura di pace o cultura di guerra?». Intervengono: M. Chossudovsky, direttore di Global Research (Canada): V. Kozin, esperto politico-militare del Ministero degli Esteri (Russia); Ž. Jovanović, presidente del Forum di Belgrado (Serbia); P. Craig Roberts, editorialista (Usa).
Tra i relatori italiani: A. Zanotelli, F. Cardini, F. Mini, G. Chiesa, A. Negri, T. Di Francesco, M. Dinucci.
Per partecipare al Convegno (ad ingresso libero) comunicare nome e luogo di residenza a G. Padovano: Email giuseppepadovano.gp@gmail.com