venerdì 27 gennaio 2017

Gli USA devono smettere di supportare il terrorismo, afferma la parlamentare statunitense Tulsi Gabbard dopo un incontro segreto con Assad

dalla pagina http://www.presstv.ir/Detail/2017/01/26/507797/US-must-stop-support-for-Saudi-terrorism-Lawmaker 

Tulsi Gabbard (Photo by AFP)
Giovedì 26 gennaio 2017

Gli Stati Uniti devono interrompere il supporto al terrorismo sia attraverso la Turchia e l'Arabia Saudita sia finanziando direttamente Daesh, afferma la parlamentare statunitense di ritorno da un incontro segreto con il presidente siriano Bashar al-Assad.

Tulsi Gabbard, una democratica nella USA House of Representative (Parlamento USA) controllata dai repubblicani, ha fatto queste osservazioni in una dichiarazione rilasciata mercoledì.
La dichiarazione è seguita ad un viaggio di quattro giorni in Siria dove si è incontrata con rifugiati, con famiglie di combattenti sui due fronti e anche con Assad.
L'Occidente insiste che la crisi che ha colpito la Siria dal 2011 potrebbe finire solamente con la rimozione del presidente dalla carica. Questo avviene mentre le forze dell'esercito siriano stanno combattendo contro i terroristi takfire del Daesh (ISIS), che sono considerati nemici anche dall'Occidente.
"All'inizio non avevo alcuna intenzione di incontrarmi con Assad, ma quando ne ho avuto l'opportunità, ho pensato fosse importante non perderla", e ha poi aggiunto "penso che dovremmo essere pronti a incontrare chiunque se c'è una possibilità che possa aiutare a porre fine a questa guerra, che sta causando molta sofferenza al popolo siriano".

Una pace possibile
Gabbard suggerisce anche che Assad sia essenziale nel portare la pace in Siria, un'idea questa rifiutata dai politici più importanti nell'Occidente.
Bernie Sanders e Tulsi Gabbard (Photo by AFP)
"Qualunque cosa una pensi del presidente Assad, resta il fatto che è il presidente della Siria. Affinché qualunque tentativo di un possibile accordo di pace avvenga, deve esserci un dialogo con lui" ha dichiarato alla CNN.
Trentacinque anni, membro della Guardia Nazionale delle Hawaii, e come tale è stata in Iraq, ha incontrato il leader siriano due settimane dopo la vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali l'8 novembre 2016, facendo scattare congetture che a Gabbard venga offerta una posizione dalla nuova amministrazione per gestire la situazione in Siria.
"Noi dobbiamo fermare il supporto diritto e indiretto ai terroristi – direttamente fornendo armi, addestramento e supporto logistico a gruppi di ribelli affiliati con al Qaeda e ISIS (Daesh); e indirittamente attraverso Arabia Saudita, gli stati del Golfo Persico e la Turchia, che a loro volta supportano questi gruppi terroristi".
Damasco da tempo lamenta il fatto che Arabia Saudita, Turchia e Qatar sono tra i principali sostenitori dei militanti takfiri che commettono crimini di guerra in Siria.
Nel settembre 2014, gli USA e alcuni dei suoi alleati hanno iniziato a condurre attacchi aerei in Siria contro terroristi del Daesh, molti dei quali furono inizialmente addestrati dalla CIA in Giordania nel 2012 per combattere con il governo siriano.
Secondo gli osservatori, gli attacchi hanno causato lievi danni ai terroristici e invece era mirati a indebolire le infrastrutture del Paese. 

leggi anche:

"Dobbiamo smetterla di armare i terroristi"

giovedì 26 gennaio 2017

La falsa accusa di Trump a Obama


Comitato promotore della campagna #NO GUERRA #NO NATO
Italia
25 gen 2017 — Manlio Dinucci
Di fronte all’accusa del neoeletto presidente Trump all’amministrazione Obama, perché avrebbe ottenuto poco o niente dagli alleati in cambio della «difesa» che gli Stati uniti assicurano loro, è sceso in campo il New York Times. Ha pubblicato il 16 gennaio una documentazione, basata su dati ufficiali, per dimostrare quanto abbia fatto l’amministrazione Obama per «difendere gli interessi Usa all’estero».

Sono stati stipulati con oltre 30 paesi trattati che «contribuiscono a portare stabilità nelle regioni economicamente e politicamente più importanti per gli Stati uniti». A tal fine gli Usa hanno permanentemente dislocati oltremare più di 210 mila militari, soprattutto in zone di «conflitto attivo».

In Europa mantengono circa 80 mila militari, più la Sesta Flotta di stanza in Italia, per «difendere gli alleati Nato» e quale «deterrente contro la Russia». In cambio hanno ottenuto l’impegno degli alleati Nato di «difendere gli Stati uniti» e la possibilità di mantenere proprie basi militari vicine a Russia, Medioriente e Africa, il cui costo è coperto per il 34% dagli alleati. Ciò permette agli Usa di avere la Ue quale maggiore partner commerciale.

In Medioriente, gli Stati uniti mantengono 28 mila militari nelle monarchie del Golfo, più la Quinta Flotta di stanza nel Bahrain, per «difendere il libero flusso di petrolio e gas e, allo stesso tempo, gli alleati contro l’Iran». In cambio hanno ottenuto l’accesso al 34% delle esportazioni mondiali di petrolio e al 16% di quelle di gas naturale, e la possibilità di mantenere proprie basi militari contro l’Iran, il cui costo è coperto per il 60% dalle monarchie del Golfo.

In Asia orientale, gli Stati uniti mantengono oltre 28 mila militari nella Corea del Sud e 45 mila in Giappone, più la Settima Flotta di stanza a Yokosuka, per «contrastare l’influenza della Cina e sostenere gli alleati contro la Corea del Nord» In cambio hanno ottenuto la possibilità di mantenere proprie «basi militari vicino alla Cina e alla Corea del Nord», il cui costo è coperto dagli alleati nella misura del 40% in Corea del Sud e del 75% in Giappone. Ciò permette agli Usa di avere il Giappone e la Corea del Sud quali importanti partner commerciali.

In Asia sud-orientale, gli Stati uniti mantengono un numero variabile di militari, nell’ordine di diverse migliaia, per sostenere Thailandia e Filippine unitamente all’Australia nel Pacifico. In tale quadro rientrano «le esercitazioni militari per la libertà di navigazione nel Mar Cinese Meridionale», da cui passa il 30% del commercio marittimo mondiale. In cambio gli Stati uniti hanno ottenuto la possibilità di «proteggere» un commercio marittimo del valore di oltre 5 mila miliardi di dollari annui. Allo stesso tempo hanno ottenuto «una regione più amica degli Stati uniti e più in grado di unirsi contro la Cina».

Viene dimenticato in questo elenco il fatto che il Pentagono, durante l’amministrazione Obama, ha cominciato a schierare contro la Cina, a bordo di navi da guerra, il sistema Aegis analogo a quello già schierato in Europa contro la Russia, in grado di lanciare non solo missili anti-missile, ma anche missili da crociera armabili con testate nucleari.

È dunque infondata la critica di Trump a Obama, il quale ha dimostrato con i fatti ciò che afferma nel suo ultimo messaggio sullo Stato dell’Unione: «L’America è la più forte nazione sulla Terra. Spendiamo per il militare più di quanto spendono le successive otto nazioni combinate. Le nostre truppe costituiscono la migliore forza combattente nella storia del mondo».

Questa è l’eredità lasciata dal presidente «buono». Che cosa farà ora quello «cattivo»?

(il manifesto, 24 gennaio 2017)

martedì 24 gennaio 2017

Corpi Civili di Pace: la nostra difesa

dalla pagina http://www.azionenonviolenta.it/bando-la-selezione-n-106-volontari-impiegare-progetti-corpi-civili-pace-italia-allestero/

Bando per la selezione di n. 106 volontari da impiegare in progetti per i Corpi Civili di Pace in Italia e all’estero

formazione e sperimentazione della presenza di giovani da impegnare in azioni di pace non governative nelle aree di conflitto o di emergenza ambientale.

Con decreto del Capo Dipartimento del 2 gennaio 2017 è stato sostituito l’Allegato 1 a seguito della rinuncia dell’ente proponente ASSOCIAZIONE COMUNITA’ PAPA GIOVANNI XXIII – progetto “Operazione Colomba in Colombia”, per l’impiego di 4 volontari all’estero; il numero complessivo dei volontari da impiegare in progetti per i Corpi Civili di Pace in Italia e all’estero previsti nel predetto bando è rettificato da 106 a 102, di cui 78 all’estero e 24 in Italia.

 

giovedì 19 gennaio 2017

Comunicato sulle manifestazioni del 21 gennaio / Articolo: Carri armati USA in Polonia

dalla pagina https://www.change.org/p/la-pace-ha-bisogno-di-te-sostieni-la-campagna-per-l-uscita-dell-italia-dalla-nato-per-un-italia-neutrale/u/19087169

Comitato promotore della campagna #NO GUERRA #NO NATO
Italia
18 gen 2017 — COMUNICATO DEL COORDINAMENTO NAZIONALE DEL COMITATO NO GUERRA NO NATO
Firenze, 14 gennaio 2017

Il CNGNN ritiene che manifestare in Europa, il 21 gennaio, contro il neoeletto presidente degli Stati Uniti Donald Trump significhi di fatto dare una mano all’amministrazione Obama che ha trasformato l’Europa in prima linea del confronto, anche nucleare, della Nato contro la Russia.

Trump viene accusato di aver usurpato il posto destinato a Hillary Clinton, grazie a una operazione ordinata dal presidente russo Putin. Le «prove» sono fornite dalla Cia, la più esperta in materia di infiltrazioni e colpi di stato.

Gli strateghi neocon, artefici della campagna, cercano in tal modo di impedire un possibile cambio di rotta nelle relazioni degli Stati uniti con la Russia, che l’amministrazione Obama ha riportato a livello di guerra fredda.

L’allentamento della tensione con la Russia viene temuto anzitutto dai vertici Nato, cresciuti d’importanza con la nuova guerra fredda, e dai gruppi di potere dei paesi dell’Est – in particolare Polonia, Ucraina e paesi baltici – che puntano sull’ostilità alla Russia per avere un crescente appoggio militare ed economico da parte della Nato e della Ue.

Lo conferma il fatto che, su decisione dell’amministrazione Obama, è arrivata in Polonia il 12 gennaio la brigata corazzata statunitense che potenzia lo schieramento di forze Nato sotto comando Usa, comprese quelle italiane, nell’Europa orientale in una sempre più pericolosa escalation militare contro la Russia.

In tale quadro, le manifestazioni anti-Trump del 21 gennaio divengono di fatto funzionali a questa strategia di guerra.

Dobbiamo invece mobilitarci ancor più per liberare i nostri paesi dalla sudditanza verso gli Stati uniti, indipendentemente da chi ne sia presidente; per uscire dalla Nato, per rimuovere le armi nucleari Usa dai nostri territori nazionali.


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CARRI ARMATI USA SCHIERATI IN POLONIA

Manlio Dinucci

Il 12 gennaio, due giorni dopo il suo discorso di addio, il presidente Obama ha dato il via al più grande schieramento di forze terrestri nell’Europa orientale dalla fine della guerra fredda: un lungo convoglio di carrarmati e altri veicoli corazzati statunitensi, proveniente dalla Germania, è entrato in Polonia.

È la 3a Brigata corazzata, trasferita in Europa da Fort Carson in Colorado: composta da circa 4000 uomini, 87 carrarmati, 18 obici semoventi, 144 veicoli da combattimento Bradley e centinaia di Humvees. L’intero armamento viene trasportato in Polonia sia su strada, sia con 900 carri ferroviari.

Alla cerimonia di benvenuto svoltasi nella città polacca di Zagan, l’ambasciatore Usa Jones ha detto che «man mano che cresce la minaccia, cresce lo spiegamento militare Usa in Europa». Quale sia la «minaccia» lo ha chiarito il generale Curtis Scaparrotti, capo del Comando europeo degli Stati uniti e allo stesso tempo Comandante supremo alleato in Europa: «Le nostre forze sono pronte e posizionate nel caso ce ne fosse bisogno per contrastare l’aggressione russa».

La 3a Brigata corazzata resterà in una base presso Zagan per nove mesi, fino a quando sarà rimpiazzata da un’altra unità trasferita dagli Usa. Attraverso tale rotazione, forze corazzate statunitensi saranno permanentemente dislocate in territorio polacco. Da qui, loro reparti saranno trasferiti, per addestramento ed esercitazioni, in altri paesi dell’Est, soprattutto Estonia, Lettonia, Lituania, Bulgaria, Romania e probabilmente anche Ucraina, ossia saranno continuamente dislocati a ridosso della Russia.

Un secondo contingente Usa sarà posizionato il prossimo aprile nella Polonia orientale, nel cosiddetto «Suwalki Gap», un tratto di terreno piatto lungo un centinaio di chilometri che, avverte la Nato, «sarebbe un varco perfetto per i carrarmati russi». Viene così riesumato l’armamentario propagandistico Usa/Nato della vecchia guerra fredda: quello dei carrarmati russi pronti a invadere l’Europa. Agitando lo spettro di una inesistente minaccia da Est, in Europa arrivano invece i carrarmati statunitensi.

La 3a Brigata corazzata si aggiunge alle forze aeree e navali già schierate dagli Usa in Europa nell’operazione «Atlantic Resolve», per «rassicurare gli alleati Nato e i partner di fronte all’aggressione russa». Operazione che Washington ha lanciato nel 2014, dopo aver volutamente provocato col putsch di Piazza Maidan un nuovo confronto con la Russia. Strategia di cui Hillary Clinton è stata principale artefice nell’amministrazione Obama, mirante a spezzare i rapporti economici e politici della Russia con l’Unione europea dannosi per gli interessi statunitensi.

Nella escalation anti-Russia, la Polonia svolge un ruolo centrale. Per questo essa riceverà tra breve dagli Usa missili da crociera a lungo raggio, con capacità penetranti anti-bunker, armabili anche di testate nucleari.. Ed è già in costruzione in Polonia una installazione terrestre del sistema missilistico Aegis degli Stati uniti, analoga a quella già entrata in funzione a Deveselu in Romania. Anch’essa dotata del sistema Mk 41 della Lockheed Martin, in grado di lanciare non solo missili anti-missile, ma anche missili da crociera armabili con testate nucleari.

A Varsavia e nelle altre capitali dell’Est – scrive il New York Times – vi è però «forte preoccupazione» circa un possibile accordo del repubblicano Trump con Mosca che «minerebbe l’intero sforzo». Un incubo tormenta i governanti dell’Est che basano le loro fortune sull’ostilità alla Russia: quello che se ne tornino a casa i carrarmati inviati dal democratico Obama.

(il manifesto, 17 gennaio 2017)

mercoledì 18 gennaio 2017

F-35, nuova relazione: "riscontrate 276 carenze, il velivolo non è assolutamente pronto per una missione reale"

dalla pagina http://www.difesaonline.it/mondo-militare/f-35-nuova-relazione-riscontrate-276-carenze-il-velivolo-non-%C3%A8-assolutamente-pronto


(di Franco Iacch)

13/01/17


Sull’F-35 si riscontrano 276 carenze nelle prestazioni di combattimento. È quanto si apprende dall’ultima relazione, pubblicata poche ore fa, a firma di Michael Gilmore, direttore dei test operativi e responsabile della valutazione dei sistemi d’arma per il Dipartimento della Difesa.
Nel rapporto si sottolineano anche i progressi, come nella risoluzione dei problemi riguardanti il seggiolino eiettabile, tuttavia Gilmore delinea un quadro preoccupante in vista della produzione seriale e della Capacità Operativa Iniziale per l’Air Force.
Nonostante le ultime implementazioni, sono stati identificate 276 carenze nelle prestazioni combattimento. Il nuovo software 3FR6 risolverà meno della metà delle carenze”.
Il Block 3FR6 è il più recenti tra i software rilasciati per eseguire i test. Nella relazione si rileva che “sono state riscontrate significative mancanze ben documentate con conseguente prestazioni operative complessive inefficaci. Centinaia di mancanze non saranno adeguatamente affrontate con correzioni e rettifiche verificate con prove di volo all'interno del sistema di sviluppo e dimostrazione”.
Nonostante la conclusione dell’attuale fase di sviluppo e dimostrazione sia fissata al 2017, non vi è abbastanza tempo per correggere queste carenze fondamentali, né il tempo per verificare le correzioni in voli di prova”.
Gilmore teme che a causa dei ritardi accumulati dal programma, le correzioni potrebbero essere effettuate soltanto in laboratorio e non testate in voli reali. Questo – afferma Gilmore – è un enorme problema alla sicurezza poiché i laboratori hanno dimostrato di non rappresentare in un contesto reale i problemi di stabilità del velivolo.
Tra le 276 carenze, Gilmore pone particolare attenzione al cannone da 25 millimetri ed al software di diagnostica Alis.

Mentre le prove a terra sono state completate per tutte le versione dell’F-35, soltanto la variante A ha completato la fase iniziale dei test. Questi ultimi hanno rivelato problemi di visualizzazione per il pilota dovuti all’integrazione con i sensori del casco. Vi è una elevata probabilità di scoprire ulteriori carenze nei prossimi test con le altre versioni del sistema principale, causando ulteriori ritardi”.
ALIS o Autonomic Logistics Information System, continua a preoccupare il direttore dei test operativi e responsabile della valutazione dei sistemi d’arma per il Dipartimento della Difesa. ALIS è il centro nevralgico del sistema F-35: consente ai piloti così come alla forza a terra di supporto di intraprendere azioni proattive per garantire l’efficienza del caccia in qualsiasi teatro operativo. Fin dal suo sviluppo, ALIS è stata definita la spina dorsale della flotta F-35. È sostanzialmente un hub utilizzato per pianificare le missioni, tenere traccia dello stato dei velivoli, ordinare i pezzi di ricambio. A differenza di tutti gli altri aerei, ALIS gestisce quotidianamente queste operazioni, in un unico hub nel mondo. Tutti i server ALIS si collegano attraverso le reti militari terrestri o via satellite. Ovviamente non utilizza internet. Esiste un solo server globale chiamato Autonomic Logistics Operating Unit (ALOU). Ogni nazione avrà un proprio server, chiamato Central Point of Entry (CPE). A loro volta, gli squadroni utilizzano a livello locale un server chiamato Standard Operating Unit (SOU).
ALIS funziona in questo modo: l’F-35 di un paese X si collega al SOU che si interfaccia al CPE. Quest’ultimo memorizza i dati e trasmette le informazioni all’Autonomic Logistics Operating Unit. È essenziale, quindi, un'ottimale connessione. Ogni velivolo può perdere la connessione con il proprio server nazionale per un massimo di 30 giorni. Dopo tale termine, il caccia dovrà essere messo a terra. Una volta stabilita la connessione, il SOU carica i dati nel CPE. Esisteranno quindi tanti server quanti saranno i paesi che acquisteranno l’F-35, ma un solo hub principale nel mondo. ALIS non è mai stato progettato con un sistema di back-up. I timori quindi nascono (oltre all’attuale instabilità del sistema) per particolari contesti in cui potrebbero verificarsi perdite di energia. Ciò, potrebbe limitare le operazioni della flotta a 30 giorni dall’ultima connessione.

Sebbene progettato in forma esclusivamente primaria, ALIS dovrebbe garantire maggiore ridondanza all’infrastruttura (tra qualche anno). Ad ogni modo, nell’eventualità in cui ALIS dovesse essere offline, gli F-35 potranno volare per non oltre i 30 giorni. ALIS non limita le operazioni di volo, ma non comunica alle squadre a terra il reale stato del velivolo. Se offline, le squadre a terra non dovrebbero fare altro che procedere fisicamente, gestendo l’intera catena di rifornimento del caccia, così come la configurazione, la diagnostica degli errori, la pianificazione di missione ed il debriefing. Per ALIS vengono continuamente sviluppati e rilasciati dei service pack, tuttavia non ancora in grado di garantire la stabilità prevista con “un alto tasso di falsi allarmi e scarsa accuratezza”.
Gilmore (foto) conclude affermando che “non è realistica l’attuale tempistica per la conclusione della fase di sviluppo. L'approccio del Pentagono è quello di tentare una prematura cessazione di test sui sistemi di missione, che aumenterà il rischio di fallimenti durante gli intensi test di combattimento ed in un’operazione reale”.
Secondo le ultime proiezioni di Gilmore, i test per valutare le prestazioni in combattimento non si dovrebbero concludere prime del 2020. L’Air Force, invece, vuole dichiarare la Capacità Operativa Iniziale per il prossimo mese di agosto.
Il programma avrebbe bisogno di un supplemento di 550 milioni di dollari nell’anno fiscale 2018 per completare lo sviluppo necessario previsto e realizzare le versioni software aggiuntive per correggere e verificare le importanti carenze note e documentate. Ulteriori 425 milioni di dollari nell’anno fiscale 2019 e 150 milioni di dollari per il 2020. Queste stime si aggiungono ad un ulteriore 1,125 miliardi necessari per completare la fase SDD (System Development and Demonstration)”.

(foto: U.S. Air Force / U.S. DoD)

martedì 17 gennaio 2017

La CIA vuole assicurarsi che nessuno comprenda cosa successe l'11 settembre



Le informazioni che il governo USA e la CIA hanno fornito riguardo gli attacchi dell'11 settembre finora sono state una "assoluta e pura bugia" e il clamore sulla desecretazione delle 28 pagine del rapporto su quegli eventi serve "ad assicurarsi che nessuno capisca" niente di ciò che successe in quel giorno nefasto del 2001: così afferma un attivista che si trova a Città del Messico.

Jeff Berwick, editore capo del Dollar Vigilante, ha rilasciato queste osservazioni durante una intervista con Press TV, commentando precedenti affermazioni del capo della CIA John Brennan sull'11 settembre.

Il Governo USA ha [inizialmente] rifiutato di rendere pubbliche le pagine segrete perché come molti affermano potrebbero implicare il ruolo del governo saudita negli attacchi.

In una intervista a NBC News, Brennan ha detto "non c'è alcuna evidenza che il governo saudita come istituzione nè singoli individui o funzionari sauditi abbiano fornito sostegno finanziario ad al Qaeda".

Secondo Berwick, le pagine secretate non necessariamente contengono informazioni "veritiere" e servono per "mantenere confuse le cose" riguardo gli attacchi.

Piuttosto, l'analista fa riferimento ai motivi reali degli attacchi, organizzati con lo scopo di occupare Paesi del Medio Oriente (Iraq, Afghanistan, Siria...) e Libia.

"Credo anche che sia parte di un progetto più ampio. Penso che l'11 settembre sia stato pianificato per mettere in atto una occupazione massiccia del Medio Oriente".

Egli suppone che le pagine secretate includano "informazioni false per favorire il raggiungimento del progetto di conquista, occupare e controllare l'intero Medio Oriente".

Le 28 pagine furono secretate dalla relazione di 838 pagine della commissione congiunta del congresso nel 2003 per ordine del presidente di allora, George W. Bush.


dalla pagina http://www.agoravox.it/11-settembre-e-Arabia-Saudita-le.html

11 settembre e Arabia Saudita: le 28 pagine desecretate sul 9/11 in italiano

Le 28 pagine desegretate del rapporto dell’Inchiesta Congiunta del Congresso sulle Attività della Comunità dei Servizi d’Informazione prima e dopo gli Attacchi Terroristici dell’11 settembre, si possono leggere nel formato PDF pubblicato in origine accedendo al link della fonte in calce.
Di seguito [nell'articolo originale] è trascritta la traduzione completa delle 28 pagine per chi trovi più comodo leggere o lavorare con il presente formato. Le serie di asterischi rappresentano obliterazioni e non riflettono con precisione la lunghezza delle cancellazioni o il numero delle parole o dei caratteri di esse.
continua

venerdì 13 gennaio 2017

Il Presidente «BUONO» e quello «CATTIVO»

dalla pagina https://www.change.org/p/la-pace-ha-bisogno-di-te-sostieni-la-campagna-per-l-uscita-dell-italia-dalla-nato-per-un-italia-neutrale/u/19040036

Comitato promotore della campagna #NO GUERRA #NO NATO
Italia
13 gen 2017 — Manlio Dinucci

Barack Obama fu «santo subito»: appena entrato alla Casa Bianca fu insignito preventivamente nel 2009 del Premio Nobel per la pace grazie ai «suoi straordinari sforzi per rafforzare la diplomazia internazionale e la cooperazione tra i popoli». Mentre la sua amministrazione già preparava segretamente, tramite la segretaria di stato Hillary Clinton, la guerra che due anni dopo avrebbe demolito lo stato libico, estendendosi poi alla Siria e all’Iraq tramite gruppi terroristici funzionali alla strategia Usa/Nato.

Donald Trump è invece «demone subito», ancor prima di entrare alla Casa Bianca. Viene accusato di aver usurpato il posto destinato a Hillary Clinton, grazie a una malefica operazione ordinata dal presidente russo Putin.

Le «prove» sono fornite dalla Cia, la più esperta in materia di infiltrazioni e colpi di stato. Basti ricordare le sue operazioni per provocare e condurre le guerre contro Vietnam, Cambogia, Libano, Somalia, Iraq, Jugoslavia, Afghanistan, Libia, Siria; i suoi colpi di stato in Indonesia, El Salvador, Brasile, Cile, Argentina, Grecia. Milioni di persone imprigionate, torturate e uccise; milioni sradicate dalle loro terre, trasformate in profughi oggetto di una vera e propria tratta degli schiavi. Soprattutto bambine e giovani donne, schiavizzate, violentate, costrette a prostituirsi.

Tutto questo dovrebbe essere ricordato da chi, negli Usa e in Europa, organizza il 21 gennaio la Marcia delle donne per difendere giustamente quella parità di genere conquistata con dure lotte, continuamente messa in discussione da posizioni sessiste come quelle espresse da Trump.

Non è però questa la ragione per cui Trump è messo sotto accusa in una campagna che costituisce un fatto nuovo nella procedura di avvicendamento alla Casa Bianca: questa volta la parte perdente non riconosce la legittimità del presidente neoeletto, ma tenta un impeachment preventivo. Trump viene presentato come una sorta di «Manchurian Candidate» che, infiltrato alla Casa Bianca, verrebbe controllato da Putin, nemico degli Stati uniti.

Gli strateghi neocon, artefici della campagna, cercano in tal modo di impedire un cambio di rotta nelle relazioni degli Stati uniti con la Russia, che l’amministrazione Obama ha riportato a livello di guerra fredda.

Trump è un «trader» che, continuando a basare la politica statunitense sulla forza militare, intende aprire un negoziato con la Russia, possibilmente anche per indebolire l’alleanza di Mosca con Pechino.

In Europa temono un allentamento della tensione con la Russia anzitutto i vertici Nato, cresciuti d’importanza con l’escalation militare della nuova guerra fredda, e i gruppi di potere dei paesi dell’Est – in particolare Ucraina, Polonia e paesi baltici – che puntano sull’ostilità alla Russia per avere un crescente appoggio militare ed economico da parte della Nato e della Ue.

In tale quadro, non possono essere taciute nelle manifestazioni del 21 gennaio le responsabilità di quanti hanno trasformato l’Europa in prima linea del confronto, anche nucleare, con la Russia.

Dovremmo manifestare non come sudditi statunitensi che non vogliono un presidente «cattivo» e ne chiedono uno «buono», ma per liberarci dalla sudditanza verso gli Stati uniti che, indipendetemente da chi ne sia presidente, esercitano la loro influenza in Europa tramite la Nato; per uscire da questa alleanza di guerra, per pretendere la rimozione delle armi nucleari Usa dai nostri paesi.

Dovremmo manifestare per avere voce, come cittadine e cittadini, nelle scelte di politica estera che, indissolubilmente legate a quelle economiche e politiche interne, determinano le nostre condizioni di vita e il nostro futuro.

(il manifesto, 10 gennaio 2017)

giovedì 12 gennaio 2017

Vicenza, 14.01: Conferenza globale internazionale No War

14.01 International Global Conference No War

Sabato 14 Gennaio al Presidio Permanente ci sarà una grande conference mondiale alla quale parteciperanno tutte le realtà del pianeta che stanno lottando come noi, contro la presenza delle servitù militari nel loro territorio e contro la guerra.

Inizio lavori ore 15.30
Interventi dal vivo e in web conference:
David Vine (USA), David Swanson (USA), Toby Blomè (USA), Corazon Fabros (Filippine), Selay Ghaffar (Afghanistan), Loohan Paik (Haway), Michel Bevacqua (Guam), Amy Holmes (Egitto), Sabrina Jean (Inghilterra), Antonio Mazzeo (Sicilia), Attivisti No Muos (Sicilia), Attivisti Sardi contro le servitù Militari (Sardegna), Attivisti No dal Molin (Vicenza). Roberto Cotti Senatore membro della IV Commissione Difesa.


programma in aggiornamento

info tecniche e logistiche: 
www.globalproject.info
www.nodalmolin.it

Dagli USA
 

David Vine (Washington),
è professore associato di Antropologia presso l’American University di Washington, DC. E’ l’autore di Isola della vergogna: La storia segreta della base militare degli Stati Uniti su Diego Garcia e di Base Nation: How U.S. Military Bases Abroad Harm America and the World (American Empire Project) /react-text
react-text: 133 Suoi articoli sono apparsi sul New York Times, il Washington Post, il Guardian, Mother Jones, l’Huffington Post, il Chronicle of Higher Education, tra gli altri.


David Swanson (Virginia),
è un attivista, blogger e scrittore (suoi libri: Daybreak: Undoing the Imperial Presidency and Forming a More Perfect Union; War Is a Lie, When the World Outlawed War e War No More: The Case for Abolition. Fa parte del movimento World beyond War. Da studente con uno scambio culturale è venuto a studiare a Bassano, e da lì ha seguito il NoDalMolin.


Toby Blomè (S. Francisco),
è attivista di Code Pink ed è fra gli organizzatori delle proteste mensili davanti alla base della air force di Beale e una o due volte all’anno davanti alla base di Creech nel Nevada (basi da cui partono i droni).


Selay Ghaffar (Kabul),
è una delle icone del movimento democratico e femminista in Afghanistan, direttrice e fondatrice di Hawca – Humanitarian Assistence for Women and Children of Afghanistan( /react-text www.hawca.org react-text: 151 ), ha rappresentato la societa’ civile afghana in tutti gli incontri organizzati dall’ONU. Insignita nel 2011 della menzione speciale del Premio per la Pace della Regione Lombardia, Selay Ghaffar, paragonata da molti alla birmana Aung San Suu Kyi, è anche stata una delle due rappresentanti della società civile selezionate per intervenire alla conferenza di Bonn del dicembre 2011 che ha visto riunita la diplomazia internazionale per parlare di Afghanistan. Oggi fa parte di Hambastagi unico partito laico, democratico, interetnico e indipendente esistente in Afghanistan.


Koohan Paik (Hawai),
è cresciuta in Corea e Guam, è coordinatrice del programma Asia-Pacifico presso l’International Forum sulla Globalization. E’ anche giornalista, insegnante, e regista pluripremiata . Alcuni suoi articoli recenti che si occupano delle tematiche del Pacifico sono apparsi su The Progressive, e The Nation. E’ co-autore del Superferry Chronicles: Hawaii in rivolta contro il militarismo, la commercializzazione e la profanazione della Terra (2008), con Jerry Mander


Amy Holmes (Cairo),
è un assistente professore di sociologia presso l’Università Americana del Cairo. Dr. Holmes sta attualmente ultimando un manoscritto intitolato Contentious Allies: Social Unrest and the American Military Presence in Turkey and Germany 1945-2005. Questo manoscritto rappresenta la prima storia sociale della presenza militare degli Stati Uniti in Turchia e Germania. Lo scopo della sua ricerca è stato quello di capire le cause e le conseguenze di opposizione alla presenza militare americana all’estero attraverso approfonditi studi di caso di contesa anti-base in due importanti alleati della NATO.


Corazon Fabros (Filippine),
è un’attivista di lunga data del movimento Stop the War Coalition e Anti-Treaty Movement


Antonio Mazzeo,
Peace-researcher e giornalista impegnato nei temi della pace, della militarizzazione, dell’ambiente, dei diritti umani, della lotta alle criminalità mafiose. Ha pubblicato alcuni saggi sui conflitti nell’area mediterranea, sulla violazione dei diritti umani e più recentemente un volume sugli interessi criminali per la realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina ("I Padrini del Ponte. Affari di mafia sullo stretto di Messina", Edizioni Alegre, Roma). Ha ricevuto il "Premio G. Bassani - Italia Nostra 2010" per il giornalismo.


Sabrina Jean (Inghilterra)
è la presidente e rappresentante dei rifugiati di Diego Garcia in U.K.


Convocazione dell’evento.
L’inferno vissuto ad Aleppo a dicembre, punta dell’escalation di violenza della guerra in Siria, è ancora sotti gli occhi di tutti. Non solo in Siria, ma anche in moltissimi altri paesi una guerra guerreggiata o a bassa intensità, a causa delle permanenti occupazioni militari, sta producendo vittime e servitù militari. Afghanistan, Egitto, Guam, Hawaii, le Filippine, la Turchia sono solo alcuni dei nomi in cui l’azione bellica ha provocato vittime e distruzione, oppure in cui ha sottomesso intere comunità forzando l’accoglienza di basi militari e industrie belliche, i cui prodotti sono tutti orientati alla guerra da fare all’esterno dei paesi delle potenze mondiali. Gli interessi economici e politici delle oligarchie al potere sono ben rappresentati dalle strategie geopolitiche degli attori potenti del mondo, tra vecchi e nuovi attori, dagli Usa e Russia fino alla Cina e all’Iran, passando per l’Europa. Dal Presidio No Dal Molin vogliamo parlare di tutto questo, perché solo se si comprende come viene portata avanti la guerra possiamo trovare i mezzi giusti per contrastarla e costruire l’alternativa di pace. Ma per farlo abbiamo bisogno di condividere pratiche e ragionamenti con tutte le realtà che combattono da anni contro la guerra e le servitù militari in ogni angolo del globo. Come dice Terzani, “se vogliamo capire il mondo in cui siamo, lo dobbiamo vedere nel suo insieme e non solo dal nostro punto di vista”. Ecco, partiamo dal nostro punto di vista per metterlo accanto agli altri e trovare le parole giuste, valide per tutti, che possano finalmente contrastare le politiche di morte e di distruzione.

Presidio No Dal Molin



mercoledì 11 gennaio 2017

11 settembre 2001: I grattacieli non cadono così


250000 persone hanno visto l'articolo riassuntivo di AE911Truth.org [Architetti e Ingegneri per la Verità sull'11 Settembre] dal titolo "15 anni dopo: sulla fisica dei crolli dei grattacieli" pubblicato su EuroPhysics che descrive l'insostenibilità della versione ufficiale relativa ai crolli delle Torri Gemelle (WTC 1 e 2) e dell'Editificio 7 (WTC 7) l'11 settembre 2001.


E’ importante ricordare che il fuoco non ha mai causato il crollo totale di edifici con struttura in acciaio, né prima né dopo l’11 settembre. Avremmo allora assistito ad uno stesso evento senza precedenti per ben tre volte l’11 settembre 2001? Le relazioni del NIST [Istituto Nazionale per gli Standard e la Tecnologia negli USA], che hanno tentato di sostenere quella improbabile conclusione, non riescono a persuadere un numero crescente di architetti, ingegneri e scienzati. Piuttosto, l’evidenza punta in modo preponderante alla conclusione che tutti e tre gli edifici siano stati distrutti da demolizioni controllate. Date le implicazioni di ampia portata, è eticamente imperativo che tale ipotesi diventi oggetto di una indagine veramente scientifica e imparziale da parte di autorità responsabili.

Architetti e Ingegneri per la Verità sull’ 11 settembre
AE911truth.org - verità sull' 11 settembre
AE911Truth.org
2767 Ingegneri e Architetti affermano che il crollo delle Torri Gemelle (WTC-1 e 2) dell’Edificio 7 (WTC-7) del World Trade Center fu il risultato di demolizioni controllate
   
L’ 11 settembre 2001 per la prima (e ad oggi ultima) volta nella storia dell’ingegneria civile, non 1, non 2 ma ben 3 grattacieli con strutture in acciaio e cemento sarebbero crollati – in modo simmetrico cioé su se stessi,  e praticamente in caduta libera – a seguito dell’impatto di un aereo di linea e conseguente incendio (Torri Gemelle) e, rispettivamente, per un incendio alimentato da attrezzatura e materiali da ufficio (nel caso dell’Edificio 7, WTC-7, di 47 piani) …
La demolizione controllata, che presuppone una lunga e accurata progettazione e l’impiego di potenti esplosivi, rimane l’unica ipotesi logica e plausibile e l’unico modello in grado di spiegare gli eventi dell’11 settembre al World Trade Center, mentre i modelli proposti dalle indagini ufficiali sull’ 11 settembre NON corrispondono alla realtà di come sono avvenuti i crolli:

  • i modelli “ufficiali” proposti [“Pancake collapse” e “Pile driver collapse”] sono di fatto  sbagliati
  • l’unico modello che fino ad ora corrisponde alla realtà dei crolli dei 3 edifici è quello di demolizione controllata, che richiede progettazione e cariche esplosive, come l’organizzazione Architetti e Ingegneri per la Verità sull’11 Settembre AE911Truth.org da anni afferma.

Un semplice ed efficace video è disponibile per illustrare le implicazioni dei vari modelli e la loro corrispondenza o meno ai dati reali: 9/11 Experiments: The Force Behind the Motion.

Il fisico David Chandler ha dimostrato (video) che l’Edificio 7 (WTC-7) è crollato in perfetta caduta libera per circa 2,5 sec (su un totale di 6,5 sec, contro i teorici 6,2 sec di una completa caduta libera); un edificio può crollare in caduta libera o quasi solo nel caso di demolizioni controllate, in cui cariche esplosive eliminano la resistenza offerta dalla struttura stessa dell’edificio (muri, architravi, colonne, …).

"Ri-Pensa l’11 settembre 
 L’evidenza potrebbe sorprenderti"
 
ReThink911.orgReThink911è la campagna internazionale promossa dagli Architetti e Ingegneri USA di ae911truth.org   

La petizione “ReThink911” proposta da AE911Truth.org chiede la costituzione di una commissione di inchiesta, autorevole e indipendente, per indagare sugli eventi dell’ 11 settembre 2001. Finora è stata sottoscritta da 22705 persone.


Lo sapevi che una terza torre è caduta l’11 settembre 2001?

11 settembre: la terza torre WTC-7
Si tratta dell’Edificio 7 del World Trade Center crollato alle 5,20 del pomeriggio di quell’11 settembre … eppure non è stato colpito da un aereo, l’incendio che si era sviluppato non era sufficiente a farla crollare, è crollato su se stesso in 6,5 secondi, in caduta libera nei primi secondi, ricercatori indipendenti hanno trovato tracce evidenti di esplosivi molto potenti e ad elevata tecnologia, in uso solo in alcuni laboratori militari…

Ma chi non cerca non può trovare… L’indagine ufficiale ha inizialmente ignorato completamente l’Edificio 7. Successivamente i ricercatori ufficiali hanno proposto dei modelli che però non corripondono al modo in cui gli edifici sono crollati e non hanno investigato l’eventuale uso di materiale esplosivo: non cercandolo non l’hanno trovato!

Anche i mezzi di comunicazione di massa ufficiali (mainstream mass media) hanno volutamente ignorato e superficialmente denigrato anche i tentativi onesti e razionali di ricerca della verità su quanto avvenuto a New York l’ 11 settembre 2001, come ad esempio il New York Times…


Quindi, secondo il NY Times, 2 aerei avrebbero fatto crollare 3 edifici: le Torri Gemelle la mattina e l’Edificio 7 nel pomeriggio…

Se hai ancora dubbi e vuoi più informazioni...
guarda:

  • video di 30 sec sul crollo di WTC-7 da vari punti di vista 
  • video del crollo del WTC-7 confrontato con [altre] demolizioni controllate
  • l’intervista a Richard Gage, fondatore di AE911Truth.org, su C-Span, il canale pubblico della politica USA: guarda il video [doppiato in italiano]
  • i video di Massimo Mazzucco (luogocomune.net/site): 11 Settembre – La nuova Pearl Harbor (l’opera più esaustiva sull’11 settembre!!!) e Il Nuovo Secolo Americano per capire come è nata l’operazione false flag 9/11 (false flag = un attacco attribuito ad altri, nel caso specifico a Osama Bin Laden da un rifugio in Afghanistan…)
  • il film di Giulietto Chiesa, Zero
  • Behind The Smoke Curtain: What Happened at the Pentagon on 9/11, and What Didn’t, and Why it Matters di Barbara Honegger ha ampiamente dimostrato [video in italiano] che quello al Pentagono fu un inside job = auto-attentato e una operazione false flag
  • altri video nella nostra lista video http://presenzalongare.blogspot.it/p/video.html

leggi: 

lunedì 2 gennaio 2017

Bruno Matteo: dal 1986, trent'anni di Presenza a Longare

guarda / scarica il video

Dopo le manifestazioni a Comiso negli anni '80, domenica 21 dicembre 1986 BrunoMatteo Bonato e Francesco Scalzotto e pochissimi altri, iniziarono a "fare presenza" davanti alla Base USA Pluto (Longare, Vicenza), tutte le domeniche dalle 10 alle 11 e ogni anno, a partire dal 1987, dal 6 al 9 agosto per far memoria di Hiroshima e Nagasaki ... Così è nata la "Presenza a Longare". Poi è "arrivato" il caso "Dal Molin" e "Presenza a Longare" da subito è diventata parte dell'ampio movimento contrario alla costruzione di un'altra base nella già militarizzata Vicenza... E poi le memorabili giornate che hanno portato alla consultazione autogestita del 5 ottobre 2008...
La "Presenza a Longare” continua ogni domenica, dalle 10 alle 11, davanti alla Base Pluto, a Longare...