lunedì 18 marzo 2019

Per non dimenticare: Iraq, 19 marzo 2003

Benché l'Italia ripudi la guerra (verdi Art.11 della nostra Costituzione) e
nonostante la mancanza di un’autorizzazione formale da parte del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, nel 2003:
  • l'aggressione a uno Stato Sovrano, l'Iraq...
  • il casus belli delle false prove di armi di distruzione di massa...
  • la partenza di militari USA della 173 Airborne Brigade dalla caserma Ederle di Vicenza, imbarcati ad Aviano e paracadutati al nord Iraq...
  • il servile accodarsi di troppi politicanti Italiani alla decisione anglo-americana / NATO: "Nel dibattito parlamentare svoltosi il 19 marzo 2003 e conclusosi con l’approvazione di una risoluzione di maggioranza sia alla Camera sia al Senato, il Presidente del Consiglio ha tuttavia sostenuto la piena legittimità, alla luce del diritto internazionale, dell’intervento militare angloamericano"...

Iraq, il Rapporto Chilcot e il ruolo dell'Italia nel 2003:
una riflessione (ancora assente)
Alla luce del rapporto Chilcot che ha condannato l'invasione anglo-americana dell'Iraq nel 2003 che ha destabilizzato la regione, creando un vuoto che è stato presto riempito da jihadisti iracheni e stranieri, occorrerebbe, da parte dell’Occidente, una seria riflessione sulla sua politica estera, costellata di interventi non risolutivi che spesso hanno peggiorato la situazione.
 
A distanza di 13 anni [nel 2016], l’Iraq è tutt’altro che pacificato. In molti hanno riconosciuto, a partire dallo stesso presidente Obama, a Putin all’ex Segretario Generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, che “l’ISIS è una emanazione diretta di Al Qaida in Iraq”, che è stata generata dall’invasione statunitense dell’Iraq nel 2003. Le sue radici affondano infatti nello smantellamento dello Stato iracheno e del suo esercito da parte dell’occupazione militare Usa
 
Nessuna operazione militare ha senso e può dirsi risolutiva – che siano gli americani in Iraq o gli europei in Libia - se non è accompagnata da una soluzione politica. Il caso della Libia è un esempio evidente.
 
Da parte italiana, invece, anche alla luce della recente adozione del decreto per rifinanziare le missioni all’estero che ci vede ancora impegnati in Iraq  a fronte di una spesa di 236 milioni per il 2016, occorrerebbe una indagine sulle dinamiche che hanno portato ad un nostro coinvolgimento in Iraq nel 2003. Sebbene l’Italia abbia optato per una posizione di “non belligeranza” nel secondo conflitto iracheno, in Iraq abbiamo perso dei connazionali e il Governo ha fornito il suo appoggio ai governi americano e britannico sulla erronea premessa della presenza di armi di distruzione di massa di tipo chimico, batteriologico e radioattivo nell’arsenale di Saddam Hussein.
 
“Saddam Hussein non è l'unico autocrate nel mondo a possedere armi di distruzione di massa di tipo chimico, batteriologico e radioattivo”, Silvio Berlusconi, 23 marzo 2003.
L’Iraq fu invaso nel 2003 da una “coalizione di volenterosi”, come la definì l’allora presidente degli Stati Uniti George W. Bush, formata per la maggior parte da Stati Uniti e Regno Unito, e con contingenti minori di altri Stati tra cui l’Australia, la Polonia, la Spagna e l’Italia. La decisione di Bush e Blair venne criticata molto dalla comunità internazionale. Nonostante la mancanza di un’autorizzazione formale da parte del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, 200.000 soldati vennero mandati in Iraq nel marzo del 2003.   
Dopo sette anni di studi, la Commissione indipendente voluta da Gordon Brown e guidata da Sir John Chilcot ha concluso che l'invasione anglo-americana dell'Iraq nel 2003 è stata effettuata prima che le altre opzioni pacifiche per il disarmo fossero esaurite e che, nonostante espliciti avvisi, le conseguenze dell'invasione sono state sottostimate e il piano dell'Iraq dopo Saddam Hussein è stato totalmente inadeguato.     
Presentando il rapporto, Sir John Chilcot ha confermato che la “minaccia dell'utilizzo delle armi di distruzione di massa, usata da Blair a supporto della necessità di deporre Saddam, non era giustificata”.

L’ITALIA IN IRAQ
Il governo italiano sceglie l’appoggio all’alleato americano senza la partecipazione diretta alle azioni militari.
 “L’Italia non prende parte al secondo conflitto iracheno. In un comunicato del Segretariato Generale della Presidenza della Repubblica viene dato conto degli esiti di una riunione del Consiglio supremo di difesa svoltasi il 19 marzo 2003,  nel corso della quale era stata compiutamente definita la posizione dell’Italia quale Stato non belligerante. La posizione illustrata dal Governo in quella sede, prima di sottoporla al Parlamento, esclude la partecipazione di militari italiani alle azioni di guerra, la fornitura e la messa a disposizione di armamenti e mezzi militari nonché la messa a disposizione di strutture militari quali basi di attacco diretto ad obiettivi iracheni. Vengono invece previsti il mantenimento dell’uso delle basi per esigenze di transito, di rifornimento e di manutenzione dei mezzi, nonché la concessione dell’autorizzazione al sorvolo dello spazio aereo.  
 
Nel dibattito parlamentare svoltosi il 19 marzo 2003 e conclusosi con l’approvazione di una risoluzione di maggioranza sia alla Camera sia al Senato, il Presidente del Consiglio ha tuttavia sostenuto la piena legittimità, alla luce del diritto internazionale, dell’intervento militare angloamericano.

Il 15 aprile 2003 le Camere, mediante l’approvazione di risoluzioni, hanno autorizzato il Governo ad effettuare una missione militare in Iraq (denominata Antica Babilonia) con scopi di carattere umanitario. L’autorizzazione parlamentare è intervenuta ancor prima dell’adozione della risoluzione 1483 e in una fase in cui non era ancora emersa con chiarezza la difficoltà di controllo del territorio da parte delle autorità occupanti e delle autorità irachene.
 
Tali profili, e la connessa necessità per le forze armate italiane di cimentarsi anche con i problemi di stabilizzazione dell’Iraq, sono invece apparsi evidenti in occasione delle comunicazioni del Ministro della difesa, Antonio Martino, alle Commissioni esteri e difesa delle due Camere, svoltesi presso il Senato il 14 maggio 2003, che hanno dato origine ad una discussione assai più problematica in merito alla natura ed ai compiti della missione.
 
L’operazione “Antica Babilonia” si inquadra nella Forza di stabilizzazione multinazionale costituita da più di venti Paesi dopo la conclusione del conflitto. La presenza italiana è diretta a garantire la cornice di sicurezza essenziale  per consentire l’arrivo degli aiuti e contribuire con capacità specifiche al ripristino delle infrastrutture e dei servizi essenziali. Il contingente opera nella provincia di Dhi Qar (area di Nassirya), nella regione meridionale dell’Iraq, posta, per quanto riguarda la forza multinazionale, sotto il comando britannico”, si legge sul sito della Camera.

L’invasione dell’Iraq ha creato il contesto per la nascita dell’ISIS
 
In molti hanno riconosciuto, a partire dallo stesso presidente Obama, a Putin all’ex Segretario Generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan che “l’ISIS è una emanazione diretta di Al Qaida in Iraq”, che è stata generata dall’invasione statunitense dell’Iraq nel 2003. Le sue radici affondano infatti nello smantellamento dello Stato iracheno e del suo esercito da parte dell’occupazione militare Usa. Ma ironia della storia, oggi, in Iraq, gli Usa bombardano molti degli stessi uomini contro i quali hanno già combattuto due volte. Quasi tutti i leader dello Stato Islamico sono ex ufficiali dell'esercito iracheno. Come riporta il Washington Post, l'attuale leader, Abu Bakr al-Baghdadi, ha rimodellato il gruppo un tempo affiliato con al-Qaeda reclutando ex ufficiali dell'esercito di Saddam Hussein. Anche con l'afflusso di migliaia di combattenti stranieri, quasi tutti i leader dello Stato Islamico sono ex ufficiali iracheni, compresi i membri delle sue commissioni militari e di sicurezza, e la maggior parte dei suoi emiri e principi.
 
Questi ex ufficiali hanno portato all'organizzazione consulenza militare e alcune delle agende degli ex baathisti, così come la conoscenza di reti di contrabbando sviluppate al fine di evitare le sanzioni nel 1990 e per facilitare oggi il traffico illecito di petrolio da parte dello Stato Islamico.
 
Lo scioglimento dell'esercito iracheno dopo l'invasione degli Usa nel 2003, la successiva insurrezione e l'emarginazione dei sunniti iracheni dal governo dominato dagli sciiti si intrecciano con l'ascesa dello Stato islamico
38 i caduti italiani in Iraq. In totale i militari morti durante la missione «Antica Babilonia» sono 31. Ammontano invece a sette i civili deceduti in Iraq: il regista Stefano Rolla e l'operatore della cooperazione internazionale Marco Beci, l'agente di sicurezza Fabrizio Quattrocchi, il giornalista free-lance Enzo Baldoni, l'imprenditore italo-iracheno Ayad Anwar Wali, Salvatore Santoro e il funzionario del Sismi Nicola Calipari, ucciso da una pattuglia americana mentre trasportava all'aeroporto di Bagdad la giornalista del 'Manifestò Giuliana Sgrena, appena liberata. 
Ma, se si considera che l'Isis nasce in Iraq e che le sue origini vanno cercate nell' invasione Usa nel 2003 e nell'incapacità di gestire il dopo Saddam, a queste vanno aggiunte le vittime italiane dell’ISIS,  Valeria Solesin, vittima italiana degli attentati di Parigi; e se, come sostiene il Ministro degli Affari Esteri Paolo Gentiloni, le rivendicazioni dell’ISIS della strage di Dacca sono credibili,  Cristian Rossi, Vincenzo D'Allestro, Maria Riboli; Nadia Benedetti, Simona Monti, Marco Tondat; Adele Puglisi, Claudio Cappello, Claudia D'Antona.
Notizia del: