Afghanistan, il fallimento di una
missione da 1000 miliardi
Tanto è costata in 17 anni la spedizione Onu a Kabul, finita male
Maurizio Tortorella
Morire per l’Afghanistan? O ritirarsi dall’Afghanistan? Dalla fine di gennaio, la doppia opzione è un tema di cui si parla senza vergogna sulle due sponde dell’Atlantico, negli Stati Uniti e in Italia. E la seconda strada comincia a sembrare decisamente più larga. Il presidente americano Donald Trump vorrebbe andarsene da Kabul, anche perché ha capito che con i talebani non c’è nulla da fare. E nel governo italiano il ministro della Difesa Elisabetta Trenta ha chiesto al Comando operativo interforze di valutare «l’avvio di un ritiro del contingente italiano in un orizzonte temporale che potrebbe essere quello di 12 mesi».
È indubbio che la missione Nato, partita nel novembre 2001 come ritorsione americana per l’attacco alle torri gemelle di New York, dopo 17 anni è miseramente fallita: nessuno riesce a prendere le roccaforti talebane, asserragliate sui monti e difese da un territorio ostile come il Vietnam e aspro come la Luna. E anzi gli annunci dell’abbandono dell’Afghanistan prendono atto dell’impossibilità di reggere la pressione talebana, che cresce ogni giorno di più. Del resto, già tre alleati importanti (la Francia e la Spagna nel 2014, il Canada nel 2017) si sono ritirati da quel teatro di guerra. Proprio come, prima di loro, 40 anni fa avevano miseramente fatto i generali sovietici; e come nell’Ottocento era capitato per tre volte, ingloriosamente, anche agli strateghi inglesi.
Per ammantare di qualche impropria onorabilità la dura sconfitta, il negoziatore statunitense Zalmay Khalilzad ha da poco annunciato un «quasi accordo» con i guerriglieri: in cambio di una ritirata generale, questi s’impegnerebbero a non trasformare il Paese in un santuario del terrorismo e a riconoscere il legittimo governo afghano. Ma tutti sanno che l’intesa è nonsense, una finzione scenica: dichiarando oggi il loro futuro disimpegno, è del tutto improbabile che gli americani possano raggiungere anche il minimo accordo con i talebani, che a questo punto sanno in partenza di avere vinto il conflitto. Tanto più che, senza gli aiuti della Nato, il povero governo di Kabul e le sue forze armate non potranno certo reggere all’inarrestabile espansione dei muhjaiddin, padroni ormai di quasi metà del Paese.
Certo, c’è però un grosso problema, che è insieme politico e morale: se l’Occidente dovesse davvero decidere di lasciare l’Afghanistan, abbandonerebbe anche 35 milioni di civili in balia dei fondamentalisti islamici più crudeli della Terra, e si perderebbero così tutte le conquiste faticosamente raggiunte in termini di diritti civili e di modernità. Soprattutto questo vale per la popolazione femminile, la ritirata equivarrebbe a sprofondare nel cupo Medioevo misogino degli imam, gli stessi che vorrebbero vietare ai bambini di Kabul di giocare e di lanciare in cielo gli aquiloni.
Un bilancio astronomico
Ma purtroppo c’è un altro problema, che sull’altro piatto della bilancia afghana pesa sempre di più. E non sono tanto i morti, anche se la stima complessiva delle perdite della coalizione in Afghanistan disegna una mezza ecatombe, con 3.542 militari deceduti in questi 17 anni, 54 dei quali italiani. No, il vero problema è (oscenamente) economico. Nell’ottobre 2017 era stato stimato che i 14 Paesi che hanno partecipato alle tre successive operazioni Nato (Enduring freedom dal 2001 al 2006, Isaf fino al 2014, Resolute support dal 2015 a oggi) avevano speso 900 miliardi di dollari: questo lascia stimare che la cifra si sia molto avvicinata ai mille miliardi.
continua...