Per vincere bisogna che qualcuno combatta. Ma nessuno sta combattendo contro l'Isis. USA e Arabia Saudita sperano che i jihadisti abbattano il loro nemico Assad. E lasciano fare.
Non è vero che l’Isis sta
vincendo. Anzi: guardiamoci da coloro che lo dicono. Perché si vince
contro qualcuno o qualcosa. Mentre nessuno si batte per sconfiggere l’Isis.
Nata in Iraq (il nome del suo capo, Al Baghdadi, vuol dire appunto “di
Baghdad”) nel periodo in cui gli sciiti iracheni erano bersagliati dagli
attentati, cresciuta in Siria nella lotta contro il regime sciita degli
Assad, la milizia è stata aiutata in ogni modo da Paesi come Arabia
Saudita, Turchia, Kuwait, Qatar e USA.
L’autorevole Brookings Institution ha calcolato che la sola amministrazione Obama ha investito un miliardo di dollari nei gruppi anti-Assad e partecipato all’addestramento di circa 10 mila combattenti. Nemmeno quando l’Isis ha occupato un terzo dell’Iraq ci si è davvero mobilitati per sconfiggerlo: si è solo costruita una barriera (fatta di di soldati iracheni e curdi e di milizie, più le incursioni aeree) per impedirgli di arrivare alle regioni irachene ricche di petrolio, lasciandolo però libero di devastare la Siria in nome della lotta contro Assad, oltre a consentirgli di occupare la parte dell'Iraq più popolata di cristiani.
Ben altro impegno era possibile. Gli stessi Paesi, quando hanno voluto darsi da fare sul serio, cioè contro i ribelli sciiti dello Yemen, hanno messo in campo in poche ore 100 mila soldati, 100 aerei da combattimento e sono scesi in campo.
L’autorevole Brookings Institution ha calcolato che la sola amministrazione Obama ha investito un miliardo di dollari nei gruppi anti-Assad e partecipato all’addestramento di circa 10 mila combattenti. Nemmeno quando l’Isis ha occupato un terzo dell’Iraq ci si è davvero mobilitati per sconfiggerlo: si è solo costruita una barriera (fatta di di soldati iracheni e curdi e di milizie, più le incursioni aeree) per impedirgli di arrivare alle regioni irachene ricche di petrolio, lasciandolo però libero di devastare la Siria in nome della lotta contro Assad, oltre a consentirgli di occupare la parte dell'Iraq più popolata di cristiani.
Ben altro impegno era possibile. Gli stessi Paesi, quando hanno voluto darsi da fare sul serio, cioè contro i ribelli sciiti dello Yemen, hanno messo in campo in poche ore 100 mila soldati, 100 aerei da combattimento e sono scesi in campo.
L’attentato nella moschea
del Kuwait era rivolto contro gli sciiti, proprio come l’analoga strage
del 22 maggio in Arabia Saudita. Se davvero volessimo eliminare
l’Isis dovremmo allearci ai Paesi sciiti (Iran, Siria, Libano, Iraq) e
combattere. Ma non vogliamo, perché Arabia Saudita e Usa sperano che i
miliziani facciano crollare Assad e magari anche il Libano. In altre
parole: sauditi e americani sperano che l'Isis li aiuti a sconfiggere i
loro tradizionali nemici.
Una scommessa cinica e azzardata, perché non c'è solo l'Isis in giro. Nel frattempo abbiamo abbandonato la Somalia e trasformato la Libia nel regno del caos con la guerra del 2011, regalando così all’estremismo altro terreno e altri guadagni: petrolio, migranti (i soli jihadisti libici pare ricavino dal traffico quasi 400 milioni di dollari l’anno), sequestri e ricatti. Gli altri scommettono con le loro strategie. A noi europei, come sempre incapaci di una strategia degna di tal nome, restano le stragi, i barconi dei disperati e i gesti dei folli esaltati dall’esempio di Al Baghdadi.
Una scommessa cinica e azzardata, perché non c'è solo l'Isis in giro. Nel frattempo abbiamo abbandonato la Somalia e trasformato la Libia nel regno del caos con la guerra del 2011, regalando così all’estremismo altro terreno e altri guadagni: petrolio, migranti (i soli jihadisti libici pare ricavino dal traffico quasi 400 milioni di dollari l’anno), sequestri e ricatti. Gli altri scommettono con le loro strategie. A noi europei, come sempre incapaci di una strategia degna di tal nome, restano le stragi, i barconi dei disperati e i gesti dei folli esaltati dall’esempio di Al Baghdadi.