di Giulietto Chiesa
In sintesi: staccare
la Russia dalla Cina, metterle l’una contro l’altra. E convincere quella
delle due che ci starà a diventare un partner privilegiato degli USA.
Facile
a dirsi, ma difficile da farsi. Eppure bisogna farlo, altrimenti
l'alternativa che si para davanti agli Stati Uniti sarà secca e
inevitabile: o perdere il proprio ruolo dominante nel mondo, o andare
incontro a un "mutuo suicidio assicurato", cioè allo scontro strategico
(nucleare e di altro tipo) con uno dei due antagonisti, o con entrambi.
Vecchio ma mai domo, Zbignew Brzezinski affronta di petto la situazione
"catastrofica" in cui si trovano gli Stati Uniti d'America in un
articolo che — come altri della sua carriera — è destinato a lunga fama.
Pubblicato su "The American Interest", il saggio
ha tutta l'aria di essere un consiglio per la signora Hillary Clinton,
presidente americana prossima ventura. Ed è, come il solito, una
brillante rassegna di crude verità, accompagnate da una totale
improntitudine verso il resto del mondo.
Il "polacco" rimane convinto che l'America può fare quello che vuole,
basta che decida. Certo, la situazione non è brillante: il problema è
quello di individuare la giusta direzione. Ed essa si chiama "Verso un
riallineamento globale" (Toward a Global Realignment"). Il titolo non
lascia equivoci: riallineamento del mondo dietro gli Stati Uniti, che si
potrà fare ponendo fine alla stagione del "Risveglio politico globale"
("Global Political Awakening").
Brzezinski cita il "se stesso" del 2008, che pubblicò sul New York Times
un articolo altrettanto epocale, il cui scopo evidente era di "dare la
linea" al presidente Barack Obama (NYT 2008, 12,16). Il quale la fece
propria, con gli effetti davvero catastrofici che ora il mondo intero,
insieme all'America, sta sperimentando. Il trucco che Brzezinski propose
a Obama non era poi molto diverso da quello che egli propose di usare
contro l'Unione Sovietica dei tempi dell'invasione dell'Afghanistan.
L'America cominciava a barcollare? Il nemico diventava arrogante?
Ebbene: diamogli il suo bel Vietnam e vediamo come se la cava. Per fare
l'operazione era stato necessario inventare Al Quaeda e scatenare i
fondamentalisti islamici allevati dall'Arabia Saudita. Funzionò alla
perfezione.
E funzionò perfettamente anche con l'11 settembre 2001, quando gli ex
mujaheddin si trasformarono in comodi strumenti di copertura del "colpo
di stato mondiale" che i neocon organizzarono per cementare l'intero
Occidente attorno alla guida americana. Serviva a distrarre l'attenzione
del mondo intero dal fatto — sempre più evidente — che la crisi non
derivava dal nemico rosso (che ormai non c'era più), ed era tutta
interna al meccanismo del cosiddetto Mercato occidentale. E dunque
occorreva, al contempo, creare un altro "nemico mortale", l'"Islam".
Seguirono l'Afghanistan, l'Irak, (più tardi la Libia, la Siria). Fu
quello il "riallineamento" dell'epoca. Ma durò solo sette anni. Dopo i
quali arrivò il crollo di Lehman Brothers, la crisi dei subprime, il
fallimento di Wall Street e dell'immensa montagna di derivati di carta
che l'America aveva disseminato in tutte le direzioni.
Con il "Global Political Awakening", Brzezinski (e il suo allievo Obama)
prepararono un altro bel Vietman: questa volta all'Europa (e, di nuovo,
alla Russia). Questa volta furono le "rivoluzioni colorate", dovunque
possibile; furono le "primavere arabe"; furono i colpi di stato
insufflati (incluso quello di Kiev del 2014, fino a quello di Ankara del
2016); fu (ed è) il terrorismo diffuso, capillare, organizzato (con
l'apporto dei servizi segreti, a loro volta tutti controllati da quelli
americani e dal Mossad, sempre in prima linea) e più o meno spontaneo;
furono (e sono) le migrazioni di massa che si sono riversate
sull'Europa, e che saranno intensificate; furono le massicce campagne di
manipolazione dell'opinione pubblica, attraverso diffusione di notizie
false; fu l'uso massiccio dei "metadata" accompagnato e integrato da
quello dei social network, tutti monopolisticamente in mano agli Stati
Uniti. Il "Global Political Awakening" fu, in sostanza, l'applicazione
della teoria del Caos. Applicazione dedicata all'Europa.
Ma tutto questo — e bisogna dare atto a Brzezinski che sull'Europa ha
funzionato — ha contagiato anche l'America. Il caos non è solo quello
artificiale, prodotto verso l'esterno. E' anche il frutto velenoso del
meccanismo impazzito che sono gli Stati Uniti stessi. Soprattutto non è
riuscito a intaccare i nemici esterni. Russia e Cina sono ancora lì. E
più passa il tempo, più appaiono in condizione di "creare
improvvisamente le condizioni di rendere l'America militarmente
inferiore".
Ed ecco riapparire Brzezinski con la sua nuova ricetta: il
"riallineamento". Come detto sopra, qui non si parla dell'Europa.
L'Europa è già dominata (o viene ritenuta tale). Obbedirà, con le buone o
con le cattive. La pratica del caos organizzato, e ormai anche
spontaneo, verrà, se necessario, intensificata. Il problema non è
l'Europa: il problema è la Russia, che non si arrende. E la Cina, che
continua la sua marcia imperterrita, nemmeno sfiorata dalla crisi
dell'Occidente. Quale delle due scegliere come partner tattico? Qui
Brzezinski perde la sua lucidità e oscilla incerto. La leadership
americana, scrive, deve "contenere" entrambi, ma puntare a eliminare uno
dei due. E il più probabile candidato "al momento è la Russia".
Solo che costringere alla resa la Russia non pare facile. Altrettanto
non facile è trasformare la Cina in un partner affidabile. Che, nel
presente momento, è come se un giovincello a bordo di una bicicletta si
ponesse il compito di trascinare un elefante. E poi c'è il fattore
tempo: "in prospettiva — scrive Brzezinski — potrebbe essere la Cina a
divenire intrattabile". Che guaio!
Hillary Clinton, questa volta, viene lasciata nel dubbio. La ricetta
di Brzezinski non è una ricetta. Ma sarà applicata: intensificazione del
caos globale e concentrazione dell'offensiva contro la Russia.