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BREVE STORIA DELLA NATO DAL 1991 AD OGGI (PARTE 3)
Manlio Dinucci
IL SUPERAMENTO DELL’ARTICOLO 5 E LA CONFERMA DELLA LEADERSHIP USA
Mentre
è in corso la guerra contro la Jugoslavia, viene convocato a
Washington, il 23-25 aprile 1999, il vertice che ufficializza la
trasformazione della Nato in «una nuova Alleanza più grande, più
flessibile, capace di intraprendere nuove missioni, incluse le
operazioni di risposta alle crisi».
Da alleanza che, in base
all’articolo 5 del Trattato del 4 aprile 1949, impegna i paesi membri ad
assistere anche con la forza armata il paese membro che sia attaccato
nell’area nord-atlantica, essa viene trasformata in alleanza che, in
base al «nuovo concetto strategico», impegna i paesi membri anche a
«condurre operazioni di risposta alle crisi non previste dall’articolo
5, al di fuori del territorio dell’Alleanza».
A scanso di equivoci,
il presidente democratico Clinton spiega in una conferenza stampa che
gli alleati nord-atlantici «riaffermano la loro prontezza ad affrontare
conflitti regionali al di là del territorio della Nato». Alla domanda di
quale sia l’area geografica in cui la Nato è pronta a intervenire, «il
Presidente si rifiuta di specificare a quale distanza la Nato intende
proiettare la propria forza, dicendo che non è questione di geografia».
In altre parole, la Nato intende proiettare la propria forza militare al
di fuori dei propri confini non solo in Europa, ma anche in altre
regioni.
Ciò che non cambia, nella mutazione della Nato, è la
gerarchia all’interno dell’Alleanza. La Casa Bianca dice a chiare
lettere che «noi manterremo in Europa circa 100 mila militari per
contribuire alla stabilità regionale, sostenere i nostri vitali legami
transatlantici e conservare la leadership degli Stati Uniti nella Nato».
Ed è sempre il Presidente degli Stati Uniti a nominare il
Comandante Supremo Alleato in Europa, che è sempre un generale o
ammiraglio statunitense, e non gli alleati che si limitano a ratificare
la scelta. Lo stesso avviene per gli altri comandi chiave dell’Alleanza.
LA SUBORDINAZIONE DELL’UNIONE EUROPEA ALLA NATO
Il
documento che impegna i paesi membri a operare al di fuori del
territorio dell’Alleanza, sottoscritto dai leader europei il 24 aprile
1999 a Washington, ribadisce che la Nato «sostiene pienamente lo
sviluppo dell’identità europea della difesa, all’interno dell’Alleanza».
Il concetto è chiaro: l’Europa occidentale può avere una sua «identità
della difesa», ma essa deve restare all’interno dell’Alleanza, ossia
sotto comando Usa.
Viene così confermata e consolidata la
subordinazione dell’Unione europea alla Nato. Il Trattato di Maastricht
del 1992 stabilisce, all’articolo 42, che «l’Unione rispetta gli
obblighi di alcuni Stati membri, i quali ritengono che la loro difesa
comune si realizzi tramite la Nato, nell’ambito del Trattato del Nord
Atlantico». Questo stabilisce, all’art. 8, che ciascuno Stato membro
«si obbliga a non sottoscrivere alcun impegno internazionale in
contrasto con questo Trattato».
E a ulteriore conferma di quale sia
il rapporto Nato-Ue, il protocollo n. 10 sulla cooperazione istituita
dall’art. 42 sottolinea che la Nato «resta il fondamento della difesa»
dell’Unione europea.
L’ADOZIONE DA PARTE DELL’ITALIA DI UN «NUOVO MODELLO DI DIFESA» CHE VIOLA L’ARTICOLO 11 DELLA COSTITUZIONE
Partecipando
con le sue basi e le sue forze armate alla guerra contro la Jugoslavia,
paese che non aveva compiuto alcuna azione aggressiva né contro
l’Italia né contro altri membri della Nato, e impegnandosi a condurre
operazioni non previste dall’articolo 5 al di fuori del territorio
dell’Alleanza, l’Italia conferma di aver adottato una nuova politica
militare e, contestualmente, una nuova politica estera. Questa, usando
come strumento la forza militare, viola il principio costituzionale,
affermato dall’Articolo 11, che «l'Italia ripudia la guerra come
strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di
risoluzione delle controversie internazionali».
È il cosiddetto
«nuovo modello di difesa» adottato dall’Italia, sulla scia del
riorientamento strategico Usa, quando con il sesto governo Andreotti
essa partecipa alla guerra del Golfo: i Tornado dell’aeronautica
italiana effettuano 226 sortite per complessive 589 ore di volo,
bombardando gli obiettivi indicati dal comando statunitense. E’ la prima
guerra a cui partecipa la Repubblica italiana, violando l’articolo 11,
uno dei principi fondamentali della propria Costituzione.
Subito dopo
la guerra del Golfo, durante il settimo governo Andreotti, il Ministero
della difesa pubblica, nell'ottobre 1991, il rapporto Modello di Difesa
/ Lineamenti di sviluppo delle FF.AA. negli anni '90. Il documento
riconfigura la collocazione geostrategica dell'Italia, definendola
«elemento centrale dell'area geostrategica che si estende unitariamente
dallo Stretto di Gibilterra fino al Mar Nero, collegandosi, attraverso
Suez, col Mar Rosso, il Corno d'Africa e il Golfo Persico». Considerata
la «significativa vulnerabilità strategica dell'Italia» soprattutto per
l'approvvigionamento petrolifero, «gli obiettivi permanenti della
politica di sicurezza italiana si configurano nella tutela degli
interessi nazionali, nell'accezione più vasta di tali termini, ovunque
sia necessario», in particolare di quegli interessi che «direttamente
incidono sul sistema economico e sullo sviluppo del sistema produttivo,
in quanto condizione indispensabile per la conservazione e il progresso
dell'attuale assetto politico e sociale della nazione».
Nel 1993 –
mentre l’Italia sta partecipando all’operazione militare lanciata dagli
Usa in Somalia, e al governo Amato subentra quello Ciampi – lo Stato
maggiore della difesa dichiara che «occorre essere pronti a proiettarsi a
lungo raggio» per difendere ovunque gli «interessi vitali», al fine di
«garantire il progresso e il benessere nazionale mantenendo la
disponibilità delle fonti e vie di rifornimento dei prodotti energetici e
strategici».
Nel 1995, durante il governo Dini, lo stato maggiore
della difesa fa un ulteriore passo avanti, affermando che «la funzione
delle forze armate trascende lo stretto ambito militare per assurgere
anche a misura dello status e del ruolo del paese nel contesto
internazionale».
Nel 1996, durante il governo Prodi, tale concetto
viene ulteriormente sviluppato nella 47a sessione del Centro alti studi
della difesa. «La politica della difesa – afferma il generale Angioni –
diventa uno strumento della politica della sicurezza e, quindi, della
politica estera».
Questa politica anticostituzionale, introdotta
attraverso decisioni apparentemente tecniche, viene di fatto
istituzionalizzata passando sulla testa di un parlamento che, in
stragrande maggioranza, se ne disinteressa o non sa neppure che cosa
precisamente stia avvenendo.
BREVE STORIA DELLA NATO DAL 1991 AD OGGI (PARTE 4)
Manlio Dinucci
L’ESPANSIONE DELLA NATO AD EST VERSO LA RUSSIA
Nello
stesso anno – il 1999 – in cui lancia la guerra contro la Jugoslavia e
annuncia di voler «condurre operazioni di risposta alle crisi, non
previste dall’articolo 5, al di fuori del territorio dell’Alleanza», la
Nato inizia la sua espnasione ad Est. Essa ingloba i primi tre paesi
dell’ex Patto di Varsavia: Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria.
Quindi,
nel 2004, si estende ad altri sette: Estonia, Lettonia, Lituania (già
parte dell’Urss); Bulgaria, Romania, Slovacchia (già parte del Patto di
Varsavia); Slovenia (già parte della Federazione Jugoslava). Al vertice
di Bucarest, nell’aprile 2008, viene deciso l’ingresso per l’anno
seguente di Albania (un tempo membro del Patto di Varsavia) e Croazia
(già parte della Federazione Jugoslava).
Facendoli entrare nella
Nato, Washington lega questi paesi non tanto all’Alleanza, quanto
direttamente agli Usa. Romania e Bulgaria mettono subito a disposizione
degli Stati Uniti le importanti basi militari di Costanza e Burgas sul
Mar Nero.
La Repubblica Ceca garantisce la disponibilità del suo
territorio per la dislocazione di rampe missilistiche dello «scudo
antimissili» Usa.
La Lituania, ancor prima di entrare nella Nato,
comincia ad acquistare armamenti statunitensi, a partire da 60 missili
Stinger per un valore di oltre 30 milioni di dollari.
La Polonia
acquista nel 2002 48 caccia F-16 della statunitense Lockeed Martin e,
per pagarli, usa un prestito statunitense di quasi 5 miliardi di
dollari (con interessi non solo finanziari ma politici).
La
Bulgaria procede, su direttiva di Washington, a una drastica epurazione
delle forze armate, espellendo migliaia di ufficiali (ritenuti non del
tutto affidabili) per sostituirli con oltre 2 mila giovani e fidati
ufficiali, formati da istruttori statunitensi e in grado di parlare un
ottimo inglese, anzi americano.
In tal modo gli Stati Uniti
rafforzano ulteriormente la loro influenza in Europa. Sui dieci paesi
dell’Europa centro-orientale che entrano nella Nato tra il 1999 e il
2004, sette entrano nell’Unione europea tra il 2004 e il 2007:
all’Unione europea che si allarga a Est, gli Stati Uniti sovrappongono
la Nato che si allarga a Est sull’Europa. Quale sia il reale scopo
dell’operazione lo rivelano funzionari del Pentagono: i dieci paesi
dell’Europa centro-orientale entrati nella Nato – essi dichiarano nel
febbraio 2003 – «stanno prendendo rilevanti posizioni filo-Usa,
riducendo efficacemente l’influenza delle potenze della vecchia Europa,
come la Germania e la Francia».
Si rivela così, chiaramente, il
disegno strategico di Washington: far leva sui nuovi membri dell’Est,
per stabilire nella Nato rapporti di forza ancora più favorevoli agli
Stati Uniti, così da isolare la «vecchia Europa» che potrebbe un giorno
rendersi autonoma.
L’espansione a Est della Nato ha, oltre a queste,
altre implicazioni. Inglobando non solo i paesi dell’ex Patto di
Varsavia ma anche le tre repubbliche baltiche un tempo facenti parte
dell’Urss, la Nato arriva fino ai confini della Federazione Russa.
Nonostante le assicurazioni di Washington sulle intenzioni pacifiche
della Nato, ciò costituisce una minaccia, anche nucleare, verso la
Russia.
Per tranquillizzare la Russia, la Nato afferma di «non
avere intenzione, né piani, di schierare armi nucleari sul territorio
dei nuovi membri» dell’Europa centro-orientale. Quanto valga tale
impegno, lo dimostra il fatto che la Nato, dopo aver promesso
solennemente di non mantenere unità da combattimento sul territorio dei
paesi dell’Europa centro-orientale in procinto di entrare o entrati
nell’Alleanza, subito dopo usa la base aerea ungherese di Taszar quale
principale centro logistico delle forze statunitensi operanti nei
Balcani.
L’impegno a non schierare armi nucleari nei paesi
dell’Europa centro-orientale viene smentito dal fatto che, tra le armi
nucleari mantenute dagli Stati Uniti in Europa nel quadro della Nato, vi
sono «bombe nucleari per aerei a duplice capacità». Poiché aerei di
questo tipo, come gli F-16 della U.S. Air Force e i 48 acquistati dalla
Polonia, operano nei paesi dell’Europa centro-orientale entrati nella
Nato, la loro presenza in queste basi avanzate costituisce una
potenziale minaccia nucleare nei confronti della Russia.
(4 – CONTINUA)