Questo è il primo di due testi che don Maurizio Mazzetto ci ha letto la mattina del 9 agosto facendo Presenza a Longare...
Schiavi e liberi
Chi, sia pure sommariamente (come noi: tanto per mettere le mani avanti), conosce la storia dell’atomica, della bomba atomica, è in grado di fare questa semplice e penosa constatazione: che si comportarono liberamente, cioè da uomini liberi, gli scienziati che per condizioni oggettive non lo erano; e si comportarono da schiavi, e furono schiavi, coloro che invece godevano di una oggettiva condizione di libertà. Furono liberi coloro che non la fecero. Schiavi coloro che la fecero. E non per il fatto che rispettivamente non la fecero o la fecero – il che verrebbe a limitare la questione alle possibilità pratiche di farla che quelli non avevano e questi invece avevano – ma precipuamente perché gli schiavi ne ebbero preoccupazione, paura, angoscia; mentre i liberi senza alcuna remora, e persino con punte di allegria, la proposero, vi lavorarono, la misero a punto e, senza porre condizioni o chiedere impegni (la cui più che possibile inosservanza avrebbe almeno attenuato la loro responsabilità), la consegnarono ai politici e ai militari.
Chi, sia pure sommariamente (come noi: tanto per mettere le mani avanti), conosce la storia dell’atomica, della bomba atomica, è in grado di fare questa semplice e penosa constatazione: che si comportarono liberamente, cioè da uomini liberi, gli scienziati che per condizioni oggettive non lo erano; e si comportarono da schiavi, e furono schiavi, coloro che invece godevano di una oggettiva condizione di libertà. Furono liberi coloro che non la fecero. Schiavi coloro che la fecero. E non per il fatto che rispettivamente non la fecero o la fecero – il che verrebbe a limitare la questione alle possibilità pratiche di farla che quelli non avevano e questi invece avevano – ma precipuamente perché gli schiavi ne ebbero preoccupazione, paura, angoscia; mentre i liberi senza alcuna remora, e persino con punte di allegria, la proposero, vi lavorarono, la misero a punto e, senza porre condizioni o chiedere impegni (la cui più che possibile inosservanza avrebbe almeno attenuato la loro responsabilità), la consegnarono ai politici e ai militari.
E che gli schiavi l’avrebbero consegnata a Hitler, a un dittatore di fredda e atroce follia, mentre i liberi la consegnarono a Truman, uomo di «senso comune» che rappresentava il «senso comune» della democrazia americana, non fa differenza: dal momento che Hitler avrebbe deciso esattamente come Truman decise, e cioè di fare esplodere le bombe disponibili su città accuratamente, «scientificamente» scelte fra quelle raggiungibili di un paese nemico; città della cui totale distruzione si era potuto far calcolo (tra le «raccomandazioni» degli scienziati: che l’obiettivo fosse una zona del raggio di un miglio e di dense costruzioni; che ci fosse una percentuale alta di edifici in legno; che non avesse fino a quel momento subito bombardamenti, in modo da poter accertare con la massima precisione gli effetti di quello che sarebbe stato l’unico e il definitivo…).
La struttura organizzativa del «Manhattan Project» e il luogo in cui fu realizzato per noi si sfaccettano in immagini di segregazione e di schiavitù, in analogia ai campi di annientamento hitleriani. Quando si maneggia, anche se destinata ad altri, la morte – come la si maneggiava a Los Alamos – si è dalla parte della morte e nella morte. A Los Alamos si è insomma ricreato quello appunto che si credeva di combattere. Il rapporto tra il generale Groves, amministratore con pieni poteri del «Manhattan Project», e il fisico Oppenheimer, direttore dei laboratori atomici, è stato di fatto il rapporto che frequentemente si istituiva nei campi nazisti tra qualcuno dei prigionieri e i comandanti. Per questi prigionieri, il «collaborazionismo» era un modo diverso di esser vittime, rispetto alle altre vittime. Per gli aguzzini, un modo diverso di essere aguzzini. Oppenheimer è infatti uscito da Los Alamos annientato quanto un prigioniero «collaborazionista» dal campo di sterminio di Hitler.
Il suo dramma – che non ci commuove affatto, a cui soltanto riconosciamo un valore di parabola, di lezione, di ammonizione per gli altri uomini di scienza – è propriamente il dramma, vissuto a livello individuale, soggettivo, di un nefasto «collaborazionismo» che molte migliaia di persone hanno vissuto (nel senso che ne sono morte) oggettivamente, in quanto ne sono stati oggetto, bersaglio. E speriamo che altre e più vaste vendemmie di morte non vengano da questo, non ancora infranto, «collaborazionismo».
Leonardo Sciascia, La scomparsa di Majorana, Einaudi, 1975
Questo è il secondo di due testi che don Maurizio Mazzetto ci ha letto la mattina del 9 agosto facendo Presenza a Longare...
COMUNICATO DEL SINDACO DELLA CITTA' DI HIROSHIMA E SUA LETTERA AL PRESIDENTE DEGLI USA DOPO L'INIZIO DELLA GUERRA IN AFGHANISTAN
8 ottobre 2001
Ho avuto notizia che prima dell'alba dell'8 ottobre, ora del Giappone, gli USA e la Gran Bretagna hanno cominciato a bombardare degli obiettivi dei terroristi e dei Talebani.
8 ottobre 2001
Ho avuto notizia che prima dell'alba dell'8 ottobre, ora del Giappone, gli USA e la Gran Bretagna hanno cominciato a bombardare degli obiettivi dei terroristi e dei Talebani.
E' superfluo dire che gli attacchi terroristici di New York e
Washington sono di atti di violenza inumani e ingiustificabili. Tuttavia
la gente di Hiroshima crede, come abbiamo più volte ripetuto, che la
strada della riconciliazione e della realizzazione di una pace autentica
sia proprio nella rottura della catena dell'odio e della violenza.
Anche se la violenza dovesse essere usata come l'ultima delle soluzioni
possibili, ci si dovrebbe ricorrere solo all'interno di un contesto
legale internazionale. Perciò è profondamente riprovevole che gli
attacchi militari abbiano avuto inizio prima che adeguati sforzi fossero
stati effettuati per trovare una soluzione pacifica.
Ci rendiamo conto con preoccupazione che l'attuale azione militare
creerà una nuova catena di odio, inimicizia e violenza. Chiediamo di
nuovo che gli USA e la comunità internazionale mettano da parte i
sentimenti di rabbia e di dolore e si adoperino per spezzare la lunga
catena di odio e violenza che ha dominato la storia mondiale per così
tanti secoli.
Preghiamo affinché il popolo innocente dell'Afghanistan non venga
sacrificato a causa di questo attacco e chiediamo che la violenza cessi
immediatamente.
Tadatoshi Akiba, Sindaco di Hiroshima
Tadatoshi Akiba, Sindaco di Hiroshima