dalla pagina http://parstoday.com/it/news/middle_east-i128141-stati_uniti_e_arabia_armano_le_mani_dell'isis
Assemblate nell'Europa Centrale e dell'Est, le armi, leggere e pesanti,
vengono vendute da intermediari americani e sauditi a molti Paesi
mediorientali.
E poi finiscono per equipaggiare perfino i terroristi del sedicente
Stato islamico, oltre che di Al Qaeda. Secondo la Camera di commercio
bosniaca, nel 2016 i produttori di armi nel paese hanno aumentato i loro
profitti del 20% rispetto all’anno precedente, per un totale di 1,2
miliardi di euro. Nello studio vengono documentati diversi casi: per
esempio lanciarazzi e missili anti-carro prodotti in Bulgaria, esportati
negli Stati Uniti il 12 dicembre 2015 e trovati nelle mani dei
miliziani dell’Isis solo 59 giorni dopo, il 9 febbraio 2016
In un recente studio pubblicato dal Think Tank “Conflict Armament
Research” (“Weapons of the Islamic State: A three year investigation in
Syria and Iraq” ) viene dichiarato che oltre un terzo delle armi finite
nelle mani dei tagliagole dell’Isis sono state assemblate nei Balcani
per poi essere smistate nei teatri di guerra, in particolare in Siria e
Yemen, grazie soprattutto a intermediari come Stati Uniti e Arabia
Saudita Dal 2012, anno dell’inasprimento delle “primavere arabe”, ad
oggi, ai paesi dei Balcani (primeggia la Bosnia) sono state comprate
armi per un valore di 1.2 miliardi di euro da Arabia Saudita, Giordania,
Emirati Arabi Uniti e Turchia, molte delle quali smistate per poi
essere usate nel conflitto siriano e in quello yemenita. Secondo la
Camera di commercio bosniaca, nel 2016 i produttori di armi nel paese
hanno aumentato i loro profitti del 20% rispetto all’anno precedente. I
dati della Camera mostrano che nel 2016 l’export di armi abbia raggiunto
il valore di 87.4 milioni di euro, mentre nel 2015 l’introito
complessivo ammontava a 70 milioni di euro. Le maggiori compagnie
produttrici di armamenti hanno esportato i loro prodotti soprattutto in
Egitto durante l’ultimo anno, ma subito dopo il più grande acquirente
dell’equipaggiamento militare Made in Bosnia rimane l’Arabia Saudita,
che si è guadagnata (comprata) di diritto il posto tra i migliori
partner commerciali nel settore almeno dal 2014. Nel 2016 l’export
militare della Bosnia ha raggiunto un valore che si aggira intorno ai
22.8 milioni di euro con l’Egitto, ai 17.2 milioni di euro con l’Arabia
Saudita, mentre le esportazioni dirette verso gli Stati Uniti ammontano a
12.8 milioni di euro. Gli altri maggiori importatori di prodotti
militari bosniaci – Serbia, Afghanistan, Turchia, Pakistan, Bulgaria,
Svizzera e Malesia – hanno acquistato armi e munizioni per cifre che
oscillano intorno ai 5 milioni di euro. Sono stati rinvenuti molti dei
prodotti provenienti dall’Est Europa e dall’Europa centrale nei
territori di guerra tra Siria e Yemen e sono disponibili immagini che
mostrano le armi assemblate nei paesi dei Balcani in mano a praticamente
tutti gli schieramenti presenti sul territorio: ci sono prove che siano
in mano all’Esercito di Liberazione Siriano dei cosiddetti “ribelli
moderati” che tutt’altro che moderati si sono rivelati, al gruppo
terroristico Ansar al-Sham, al ramo siriano di Al Qaeda, Jabhat
al-Nusra, alle milizie dello Stato Islamico, alle fazioni pro-Assad che
combattono per sostenere il presidente siriano e alle milizie sunnite in
Yemen. La frequenza dei voli cargo dall’aeroporto serbo Nikola Tesla
verso le basi in Medio Oriente (ma soprattutto verso Gedda, seconda
città dell’Arabia Saudita per estensione dopo la capitale Riad), secondo
le stime del BIRN , in numeri si traduce in 68 spedizioni aeree
all’anno; gli aerei usati per il trasporto sono Ilyushin II-76 e possono
trasportare 50 tonnellate di carico per viaggio. Per avere un’idea di
cosa si stia parlando, il peso corrisponde a 16mila Ak-47 o a tre
milioni di munizioni. Non viene tralasciato neanche il trasporto via
mare: secondo le medesime fonti infatti, dal 2015 navi militari
statunitensi hanno trasportato, dal Mar Nero fino al Mar Rosso e
particolarmente in Turchia, ben 4.700 tonnellate di armi e munizioni. I
leader europei hanno tentato di tamponare il flusso di migranti che
tentavano e tentano tuttora di passare per i Paesi balcanici sperando di
mettere piede in qualche paese dell’Europa, settentrionale se
possibile. Per riuscirci sono dovuti scendere a patti con Erdogan, il
leader turco attualmente in preda ai suoi sogni neo-ottomani. Non si
sono però preoccupati di mobilitarsi per fermare il commercio di armi
che segue la medesima rotta balcanica che percorrono i migranti (con
l’unica differenza che viene percorsa nella direzione opposta). È il
solito remare controcorrente tipico dell’atteggiamento quantomeno poco
chiaro e contraddittorio della macchina europea. Perché l’equazione è
chiara: finché si esporteranno armi a sud, si importeranno migranti a
nord. Oltretutto i leader dell’Unione dovrebbero essere a conoscenza
dell’elevato numero di armi nei paesi balcanici e forse prendere qualche
contromisura. Il 19 gennaio del 2015 gli attentatori della redazione di
Charlie Hebdo erano in possesso di due pistole semi-automatiche di
fabbricazione slovacca risalente al 1951-1964. Mentre, durante gli
attacchi del 13 novembre 2015, sempre a Parigi, sono stati usati tre
kalashnikov di assalto provenienti da Cina, Bulgaria e Serbia. Damien
Spleeters , a capo delle ricerche del CAR, insiste che non sia possibile
spiegare con i soli saccheggi la velocità con la quale i miliziani
dello Stato islamico siano riusciti a ottenere il notevole numero di
armi in loro possesso fino all’annientamento dell’Isis annunciato dal
presidente russo Vladimir Putin qualche giorno fa. Nello studio vengono
documentati diversi casi: per esempio lanciarazzi e missili anti-carro
prodotti in Bulgaria, esportati negli Stati Uniti il 12 dicembre 2015 e
trovati nelle mani dei miliziani dell’Isis solo 59 giorni dopo, il 9
febbraio 2016. Che bisogno c’è di far attraversare l’Oceano a un cargo
di armi se il suo approdo finale è poco più a sud rispetto a dove sono
state assemblate? Secondo chi ha condotto lo studio “Weapons of the
Islamic State: A three year investigation in Syria and Iraq” una delle
motivazioni è mascherare proprio la loro destinazione finale: per gli
acquirenti di armamenti è necessario mostrare le cosiddette
certificazioni di uso finale (“End-user certificate”) che devono (o
dovrebbero) dimostrare attraverso una serie di documentazioni dove
vengono utilizzati i “beni” acquistati; e questo, sempre secondo
Spleeters, sarebbe un modo per evitare di informare i venditori sulla
reale destinazione delle loro armi.