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BREVE STORIA DELLA NATO DAL 1991 AD OGGI (PARTE 5)
Manlio Dinucci
AFGHANISTAN: LA PRIMA GUERRA DELLA NATO AL DI FUORI DELL’AREA EURO-ATLANTICA
Il
reale motivo dell’intervento Usa/Nato in Afghanistan non è la sua
liberazione dai taleban, che erano stati addestrati e armati in Pakistan
in una operazione diretta dalla Cia per conquistare il potere a Kabul,
ma l’occupazione di quest’area di primaria importanza strategica per gli
Stati Uniti.
L’Afghanistan è al crocevia tra Medio Oriente, Asia
centrale, meridionale e orientale. In quest’area (nel Golfo e nel
Caspio) si trovano le maggiori riserve petrolifere del mondo. Si trovano
tre grandi potenze – Cina, Russia e India – la cui forza sta crescendo e
influendo sugli assetti globali. Come aveva avvertito il Pentagono nel
rapporto del 30 settembre 2001, «esiste la possibilità che emerga in
Asia un rivale militare con una formidabile base di risorse».
La
decisione di dislocare forze in Afghanistan, quale primo passo per
estendere la presenza militare statunitense nell’Asia centrale, viene
presa a Washington non dopo l’11 settembre 2001, ma prima. Lo rivelano
attendibili fonti, secondo le quali «il presidente Bush, due giorni
prima dell’11 settembre, era in procinto di firmare un piano dettagliato
che prevedeva operazioni militari in Afghanistan» (NBC News, 16 maggio
2002): era già dunque sul tavolo del presidente, prima dell’attacco
terroristico che ufficialmente motiva la guerra in Afghanistan, «il
piano di guerra che la Casa Bianca, la Cia e il Pentagono hanno messo in
atto dopo l’11 settembre».
Nel periodo precedente l’11 settembre
2001, vi sono in Asia forti segnali di un riavvicinamento tra Cina e
Russia, che si concretizzano quando, il 17 luglio 2001, i presidenti
Jang Zemin e Vladimir Putin firmano a Mosca il «Trattato di buon
vicinato e amichevole cooperazione», definito una «pietra miliare» nelle
relazioni tra i due paesi. Pur senza dichiararlo, Washington considera
il riavvicinamento tra Cina e Russia una sfida agli interessi
statunitensi in Asia, nel momento critico in cui gli Stati Uniti cercano
di occupare, prima di altri, il vuoto che la digregazione dell’Urss ha
lasciato in Asia centrale. Una posizione geostrategica chiave per il
controllo di quest’area è quella dell’Afghanistan.
Con la
motivazione ufficiale di dare la caccia a Osama bin Laden, indicato come
mandante degli attacchi dell’11 settembre a New York e Washington, la
guerra inizia il 7 ottobre 2001 con il bombardamento dell’Afghanistan
effettuato dall’aviazione statunitense e britannica. Precedentemente
vengono infiltrate in territorio afghano forze speciali con il compito
di preparare l’attacco insieme all’Alleanza del nord e altre formazioni
anti-talebane. Sotto i massicci bombardamenti e l’offensiva terrestre
dell’Alleanza del nord, le forze talebane, cui si affiancano volontari
provenienti dal Pakistan e altri paesi, sono costrette ad abbandonare
Kabul il 13 novembre.
A questo punto il Consiglio di sicurezza
dell’Onu autorizza, con la risoluzione 1386 del 20 dicembre 2001, la
costituzione dell’Isaf (Forza internazionale di assistenza alla
sicurezza). Suo compito è quello di assistere l’autorità ad interim
afghana a Kabul e dintorni. Secondo l’art. VII della Carta delle Nazioni
unite, l'impiego delle forze armate messe a disposizione da membri
dell’Onu per tali missioni deve essere stabilito dal Consiglio di
sicurezza coadiuvato dal Comitato di stato maggiore, composto dai capi
di stato maggiore dei membri permanenti del Consiglio di sicurezza.
Anche se tale comitato non esiste, l’Isaf resta fino all’agosto 2003 una
missione Onu, la cui direzione viene affidata in successione a Gran
Bretagna, Turchia, Germania e Olanda.
Ma improvvisamente, l’11
agosto 2003, la Nato annuncia di aver «assunto il ruolo di leadership
dell’Isaf, forza con mandato Onu». E’ un vero e proprio colpo di mano:
nessuna risoluzione del Consiglio di sicurezza autorizza la Nato ad
assumere la leadership, ossia il comando, dell’Isaf. Solo a cose fatte,
nella risoluzione 1659 del 15 febbraio 2006, il Consiglio di sicurezza
«riconosce il continuo impegno della Nato nel dirigere l’Isaf».
A
guidare la missione, dall’11 agosto 2003, non è più l’Onu ma la Nato: il
quartier generale Isaf viene infatti inserito nella catena di comando
della Nato, che sceglie di volta in volta i generali da mettere a capo
dell’Isaf. Come sottolinea un comunicato ufficiale, «la Nato ha assunto
il comando e il coordinamento dell’Isaf nell’agosto 2003: questa è la
prima missione al di fuori dell’area euro-atlantica nella storia della
Nato». La missione Isaf viene quindi inserita nella catena di comando
del Pentagono. Nella stessa catena di comando sono inseriti i militari
italiani assegnati all’Isaf, insieme a elicotteri e aerei, compresi i
cacciabombardieri Tornado.
(5 – CONTINUA)
BREVE STORIA DELLA NATO DAL 1991 AD OGGI (PARTE 6)
Manlio Dinucci
LA GUERRA USA/NATO IN IRAQ
Il
piano statunitense di attaccare e occupare l’Iraq appare evidente
quando, dopo l’occupazione dell’Afghanistan nel novembre 2001, il
presidente Bush mette l'Iraq, nel 2002, al primo posto tra i paesi
facenti parte dell’«asse del male».
Dopo la prima guerra del
Golfo nel 1991, l’Iraq è stato sottoposto ad un ferreo embargo che ha
provocato in dieci anni circa un milione di morti, di cui circa mezzo
milione tra i bambini. Una strage provocata, oltre che dalla
denutrizione cronica e la mancanza di medicinali, dalla carenza di acqua
potabile e dalle conseguenti malattie infettive e parassitarie. Gli
Stati Uniti – dimostrano documenti venuti alla luce successivamente –
hanno attuato un preciso piano: prima bombardare gli impianti di
depurazione e gli acquedotti per provocare una crisi idrica, quindi
impedire con l’embargo che l’Iraq possa importare i sistemi di
depurazione. Le conseguenze sanitarie erano chiaramente previste sin
dall’inizio e programmate in modo da accelerare il collasso dell’Iraq.
Altre vittime vengono provocate, negli anni successivi alla prima
guerra, dai proiettili a uranio impoverito, massicciamente usati dalle
forze statunitensi e alleate sia nei bombardamenti aerei che in quelli
terrestri.
La seconda guerra contro l’Iraq si rivela però più
difficile a motivare di quella effettuata nel 1990-91. A differenza di
allora, l’Iraq di Saddam Hussein non compie alcuna aggressione e si
attiene alla Risoluzione 1441 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni
Unite, permettendo agli ispettori Onu di entrare in tutti i siti per
verificare l’eventuale esistenza di armi di distruzione di massa (che
non vengono trovate). Diviene di conseguenza più difficile per gli Stati
Uniti creare la motivazione «legale» per la guerra e, su questa base,
ottenere un imprimatur internazionale analogo a quello del 1991.
L’amministrazione
Bush è però decisa ad andare fino in fondo. Fabbrica una serie di
«prove», che successivamente risulteranno false, sulla presunta
esistenza di un grosso arsenale di armi chimiche e batteriologiche, che
sarebbe in possesso dell’Iraq, e su una sua presunta capacità di
costruire in breve tempo armi nucleari. E, poiché il Consiglio di
sicurezza dell’Onu si rifiuta di autorizzare la guerra,
l’amministrazione Bush semplicemente lo scavalca.
La guerra
inizia il 20 marzo 2003 con il bombardamento aereo di Baghdad e altri
centri da parte dell’aviazione statunitense e britannica e con l’attacco
terrestre effettuato dai marines entrati in Iraq dal Kuwait. Il 9
aprile truppe Usa occupano Baghdad. L’operazione, denominata «Iraqi
Freedom», viene presentata come «guerra preventiva» ed «esportazione
della democrazia». Viene in tal modo attuato il principio enunciato dal
Pentagono (Quadrennial Defense Review Report, 30 settembre 2001): «Le
forze armate statunitensi devono mantenere la capacità, sotto la
direzione del Presidente, di imporre la volontà degli Stati Uniti a
qualsiasi avversario, inclusi stati ed entità non-statali, cambiare il
regime di uno stato avversario od occupare un territorio straniero
finché gli obiettivi strategici statunitensi non siano realizzati».
Ma,
oltre alla «volontà degli Stati Uniti», c’è la volontà dei popoli di
resistere. E’ ciò che avviene in Iraq, dove le forze di occupazione
statunitensi e alleate – comprese quelle italiane impegnate
nell’operazione «Antica Babilonia» – cui si uniscono i mercenari di
compagnie private, incontrano una resistenza che non si aspettavano di
trovare, nonostante la durissima repressione che provoca nella fase
iniziale della guerra (solo per effetto delle azioni militari) decine di
migliaia di morti tra la popolazione.
Poiché la resistenza
irachena inceppa la macchina bellica statunitense e alleata, Washington
ricorre all’antica ma sempre efficace politica del «divide et impera»,
facendo delle concessioni ad alcuni raggruppamenti sciiti e curdi così
da isolare i sunniti. Nel caso che l’operazione non riesca, Washington
ha pronto il piano di riserva: disgregare l’Iraq (come già fatto con la
Federazione Jugoslava) in modo da poter controllare le zone petrolifere e
altre aree di interesse strategico, attraverso accordi con gruppi di
potere locali.
È a questo scopo che interviene ufficialmente la
Nato, la quale ha fino a quel momento partecipato alla guerra di fatto
con proprie strutture e forze. Nel 2004 viene istituita la «Missione
Nato di addestramento», al fine dichiarato di «aiutare l’Iraq a creare
efficienti forze armate». Dal 2004 al 2011 vengono addestrati, in 2000
corsi speciali tenuti in paesi dell’Alleanza, migliaia di militari e
poliziotti iracheni che vengono anche dotati di armi donate dagli stessi
paesi.
Contemporaneamente la Nato invia in Iraq istruttori e
consiglieri, compresi quelli italiani, per «aiutare il paese a creare un
proprio settore della sicurezza a guida democratica e durevole» e per
«stabilire una partnership a lungo termine della Nato con l’Iraq».
(6 – CONTINUA)
BREVE STORIA DELLA NATO DAL 1991 AD OGGI (PARTE 7)
Manlio Dinucci
LA SEMPRE PIU’ STRETTA COOPERAZIONE MILITARE NATO-ISRAELE
Nell’aprile
2001 Israele firma al quartier generale della Nato a Bruxelles
l’«accordo di sicurezza», impegnandosi a proteggere le «informazioni
classificate» che riceverà nel quadro della cooperazione militare.
Nel
giugno 2003 il governo italiano stipula con quello israeliano un
memorandum d’intesa per la cooperazione nel settore militare e della
difesa, che prevede tra l’altro lo sviluppo congiunto di un nuovo
sistema di guerra elettronica.
Nel gennaio 2004 un aereo radar Awacs
della Nato atterra per la prima volta a Tel Aviv e il personale
israeliano viene addestrato all’uso delle sue tecnologie.
Nel
dicembre 2004 viene data notizia che la Germania fornirà a Israele altri
due sottomarini Dolphin, che si aggiungeranno ai tre (di cui due
regalati) consegnati negli anni Novanta. Israele può così potenziare la
sua flotta di sottomarini da attacco nucleare, tenuti costantemente in
navigazione nel Mediterraneo, Mar Rosso e Golfo Persico.
Nel
febbraio 2005 il segretario generale della Nato compie la prima visita
ufficiale a Tel Aviv, dove incontra le massime autorità militari
israeliane per «espandere la cooperazione militare».
Nel marzo 2005
si svolge nel Mar Rosso la prima esercitazione navale congiunta
Israele-Nato: il comando del gruppo navale della «Forza di risposta
Nato» è affidato alla marina italiana che vi partecipa con la fregata
Bersagliere.
Nel maggio 2005, dopo essere stato ratificato al senato e
alla camera, il memorandum d’intesa italo-israeliano diviene legge:
viene così istituzionalizzata la cooperazione tra i ministeri della
difesa e le forze armate dei due paesi riguardo l’«importazione,
esportazione e transito di materiali militari», l’«organizzazione delle
forze armate», la «formazione/addestramento».
Nel maggio 2005 Israele viene ammesso quale membro dell’Assemblea parlamentare della Nato.
Nel giugno 2005 la marina israeliana partecipa a una esercitazione Nato nel Golfo di Taranto.
Nel luglio 2005 truppe israeliane partecipano per la prima volta a una esercitazione Nato, che si svolge in Ucraina.
Nel
giugno 2006 una nave da guerra israeliana partecipa a una esercitazione
Nato nel Mar Nero allo scopo di «creare una migliore interoperabilità
tra la marina israeliana e le forze navali Nato».
Nell’ottobre 2006,
Nato e Israele concludono un accordo che stabilisce una più stretta
cooperazione israeliana al programma Nato «Dialogo mediterraneo», il cui
scopo è «contribuire alla sicurezza e stabilità della regione». In tale
quadro, «Nato e Israele si accordano sulle modalità del contributo
israeliano all’operazione marittima della Nato Active Endeavour»
(Nato/Israel Cooperation, 16 ottobre 2006).
Israele viene così
premiato dalla Nato per l’attacco e l’invasione del Libano. Le forze
navali israeliane, che insieme a quelle aeree e terrestri hanno appena
martellato il Libano con migliaia di tonnellate di bombe facendo strage
di civili, vengono integrate nella operazione Nato che dovrebbe
«combattere il terrorismo nel Mediterraneo». Le stesse forze navali che,
bombardando la centrale elettrica di Jiyyeh sulle coste libanesi, hanno
provocato una enorme marea nera diffusasi nel Mediterraneo (la cui
bonifica verrà a costare centinaia di milioni di dollari), collaborano
ora con la Nato per «contribuire alla sicurezza della regione».
Il 2
dicembre 2008, circa tre settimane prima dell’attacco israeliano a Gaza,
la Nato ratifica il «Programma di cooperazione individuale» con
Israele. Esso comprende una vasta gamma di campi in cui «Nato e Israele
coopereranno pienamente»: controterrorismo, tra cui scambio di
informazioni tra i servizi di intelligence; connessione di Israele al
sistema elettronico Nato; cooperazione nel settore degli armamenti;
aumento delle esercitazioni militari congiunte Nato-Israele;
allargamento della cooperazione nella lotta contro la proliferazione
nucleare (ignorando che Israele, unica potenza nucleare della regione,
ha rifiutato di firmare il Trattato di non-proliferazione).
LA NATO «A CACCIA DI PIRATI» NELL’OCEANO INDIANO
Nell’ottobre
2008, un gruppo navale della Nato, lo Standing Nato Maritime Group 2
(Snmg2), attraversa il Canale di Suez, entrando nell’Oceano Indiano. Ne
fanno parte navi da guerra di Italia, Stati uniti, Germania, Gran
Bretagna, Grecia e Turchia. Questo gruppo navale (il cui comando è
assunto a rotazione dai paesi membri) fa parte di una delle tre
componenti dello Allied Joint Force Command Naples, il cui comando è
permanentemente attribuito a un ammiraglio statunitense, lo stesso che
comanda le Forze navali Usa in Europa. L’area in cui opera lo Snmg2 non
ha ormai più confini, in quanto esso costituisce una delle unità della
«Forza di risposta della Nato», pronta a essere proiettata «per
qualsiasi missione in qualsiasi parte del mondo».
Scopo ufficiale
della missione dello Snmg2 nell’Oceano Indiano è condurre «operazioni
anti-pirateria» lungo le coste della Somalia, scortando i mercantili che
trasportano gli aiuti alimentari del World Food Program delle Nazioni
Unite. In questo «sforzo umanitario», la Nato «continua a coordinare la
sua assistenza con l’operazione Enduring Freedom a guida Usa». Dietro
questa missione Nato, vi è quindi ben altro. In quel momento, in
Somalia, la politica statunitense sta subendo un nuovo scacco: le truppe
etiopiche, qui inviate nel 2006 dopo il fallimento del tentativo della
Cia di rovesciare le Corti islamiche sostenendo una coalizione
«anti-terrorismo» dei signori della guerra, sono state costrette a
ritirarsi dalla resistenza somala.
Washington prepara quindi altre
operazioni militari per estendere il proprio controllo alla Somalia,
provocando altre disastrose conseguenze sociali. Esse sono alla base
dello stesso fenomeno della pirateria, nato in seguito alla pesca
illegale da parte di flotte straniere e allo scarico di sostanze
tossiche nelle acque somale, che hanno rovinato i piccoli pescatori,
diversi dei quali sono ricorsi alla pirateria.
Nella strategia
Usa/Nato, la Somalia è importante per la sua stessa posizione geografica
sulle coste dell’Oceano Indiano. Per controllare quest’area è stata
stazionata a Gibuti, all’imboccatura del Mar Rosso, una task force
statunitense. L’intervento militare, diretto e indiretto, in questa e
altre aree si intensifica ora con la nascita del Comando Africa degli
Stati uniti. E’ nella sua «area di responsabilità» che viene inviato il
gruppo navale Nato.
Esso ha anche un’altra missione ufficiale:
visitare alcuni paesi del Golfo persico (Kuwait, Bahrain, Qatar ed
Emirati Arabi Uniti), partner Nato nel quadro dell’Iniziativa di
cooperazione di Istanbul. Le navi da guerra della Nato vanno così ad
aggiungersi alle portaerei e molte altre unità che gli Usa hanno
dislocato nel Golfo e nell’Oceano Indiano, in funzione anti-Iran e per
condurre, anche con l’aviazione navale, la guerra aerea in Afghanistan.
(7 – continua)
BREVE STORIA DELLA NATO DAL 1991 AD OGGI (PARTE 1 e 2)