venerdì 28 giugno 2019

L'EUROPA NELLA STRATEGIA NUCLEARE DEL PENTAGONO

dalla pagina https://www.change.org/p/la-campagna-per-l-uscita-dell-italia-dalla-nato-per-un-italia-neutrale/u/24762926

Comitato promotore della campagna
#NO GUERRA #NO NATO

28 GIU 2019 — 

Manlio Dinucci

I ministri della Difesa della Nato (per l’Italia Elisabetta Trenta, M5S) sono stati convocati a Bruxelles il 26 e 27 giugno per approvare le nuove misure di «deterrenza» contro la Russia, accusata senza alcuna prova di aver violato il Trattato Inf.
In sostanza si accoderanno agli Stati uniti che, ritirandosi definitivamente dal Trattato il 2 agosto, si preparano a schierare in Europa missili nucleari a gittata intermedia (tra 500 e 5500 km) con base a terra, analoghi a quelli degli anni Ottanta (i Pershing 2 e i Cruise) che furono eliminati (insieme agli SS-20 sovietici) dal Trattato firmato nel 1987 dai presidenti Gorbaciov e Reagan.
Le maggiori potenze europee, sempre più divise all’interno della Ue, si ricompattano nella Nato sotto comando Usa per sostenere i loro comuni interessi strategici.
La stessa Unione europea – di cui 21 dei 27 membri fanno parte della Nato (come ne fa parte la Gran Bretagna in uscita dalla Ue) – ha bocciato alle Nazioni Unite la proposta russa di mantenere il Trattato Inf.
Su una questione di tale importanza l’opinione pubblica europea è lasciata volutamente all’oscuro dai governi e dai grandi media. Non si avverte così il crescente pericolo che ci sovrasta: aumenta la possibilità che si arrivi un giorno all’uso di armi nucleari.
Lo conferma l’ultimo documento strategico delle Forze armate Usa, «Nuclear Operations» (11 giugno), redatto sotto la direzione del Presidente degli Stati maggiori riuniti.
Premesso che «le forze nucleari forniscono agli Usa la capacità di conseguire i propri obiettivi nazionali», il documento sottolinea che esse devono essere «diversificate, flessibili e adattabili» a «una vasta gamma di avversari, minacce e contesti».
Mentre la Russia avverte che anche l’uso di una singola arma nucleare di bassa potenza innescherebbe una reazione a catena che potrebbe portare a un conflitto nucleare su vasta scala, la dottrina statunitense si sta orientando in base a un pericoloso concetto di «flessibilità».
Il documento strategico afferma che «le forze nucleari Usa forniscono i mezzi per applicare la forza a una vasta gamma di bersagli nei tempi e nei modi scelti dal Presidente». Bersagli (chiarisce lo stesso documento) in realtà scelti dalle agenzie di intelligence, che ne valutano la vulnerabilità a un attacco nucleare, prevedendo anche gli effetti della ricaduta radioattiva.
L’uso di armi nucleari – sottolinea il documento – «può creare le condizioni per risultati decisivi: in specifico, l’uso di un’arma nucleare cambierà fondamentalmente il quadro di una battaglia creando le condizioni che permettono ai comandanti di prevalere nel conflitto».
Le armi nucleari permettono inoltre agli Usa di «assicurare gli alleati e i partner» che, fidando su di esse, «rinunciano al possesso di proprie armi nucleari, contribuendo agli scopi Usa di non-proliferazione».
Il documento chiarisce però che «gli Usa e alcuni alleati Nato selezionati mantengono aerei a duplice capacità in grado di trasportare armi nucleari o convenzionali».
Ammette così che quattro paesi europei ufficialmente non-nucleari  – Italia, Germania, Belgio, Olanda – e la Turchia, violando il Trattato di non-proliferazione, non solo ospitano armi nucleari Usa (le bombe B-61 che dal 2020 saranno sostituire dalle più micidiali B61-12), ma sono preparati a usarle in un attacco nucleare sotto comando del Pentagono.
Tutto questo tacciono governi e parlamenti, televisioni e giornali, con il complice silenzio della stragrande maggioranza dei politici e dei giornalisti, che invece ci ripetono quotidianamente quanto importante sia, per noi italiani ed europei, la «sicurezza».
La garantiscono  gli Stati uniti schierando in Europa altre armi nucleari.  
(il manifesto, 25 giugno 2019)

giovedì 27 giugno 2019

Gli apparati militari [fra l'altro] inquinano


"US military is a bigger polluter than as many as 140 countries - shrinking this war machine is a must"

"Il sistema militare statunitense inquina più di almeno 140 Paesi - ridurre questa macchina da guerra è un dovere"

Benjamin Neimark, Senior Lecturer, Lancaster Environment Centre, Lancaster University
Oliver Belcher, Assistant Professor of Geography, Durham University
Patrick Bigger, Lecturer of Human Geography, Lancaster Environment Centre, Lancaster University

[...] Se l’esercito USA fosse un Paese, il solo consumo di carburanti lo porterebbe al 47mo posto fra i maggiori produttori di gas serra al mondo [...]

The Conversation, 24 June 2019

domenica 23 giugno 2019

Site Pluto

Oggi, Domenica 23 giugno 2019
(come ogni Domenica dalle 10 alle 11)
davanti alla base USA Site Pluto
Longare, Vicenza, Italia, Europa



Come ogni Domenica, 3 minuti di silenzio
per ricordare le vittime di tutte le guerre,
degli attentati, del terrorismo e dei terrorismi di Stato

martedì 18 giugno 2019

CHI SONO GLI INCENDIARI DI PETROLIERE

dalla pagina https://www.change.org/p/la-campagna-per-l-uscita-dell-italia-dalla-nato-per-un-italia-neutrale/u/24716679


Comitato promotore della campagna
#NO GUERRA #NO NATO


18 GIU 2019 —
Manlio Dinucci


Mentre gli Stati uniti preparano una nuova escalation in Medio Oriente, accusando l’Iran di attaccare le petroliere nel Golfo di Oman, il vice-premier Matteo Salvini incontra a Washington il segretario di Stato Mike Pompeo, uno degli artefici di tale strategia, assicurandogli che «l'Italia vuole tornare a essere nel continente europeo il primo partner della più grande democrazia occidentale». Aggancia così l’Italia all’operazione lanciata da Washington.

L’«incidente del Golfo di Oman», casus belli contro l’Iran, ricalca «l’incidente del Golfo del Tonchino» del 4 agosto 1964, usato come casus belli per bombardare il Nord Vietnam, accusato di aver attaccato un cacciatorpediniere Usa (accusa risultata poi falsa).

Oggi, un video diffuso da Washington mostra l’equipaggio di una presunta motovedetta iraniana che, in pieno giorno, rimuove dalla fiancata di una petroliera una mina inesplosa per cancellare la sua provenienza (dato che la mina avrà avuto la scritta «made in Iran»).

Con queste «prove», che costituiscono un vero e proprio insulto all’intelligenza, Washington cerca di camuffare lo scopo dell’operazione. Essa rientra nella strategia per il controllo delle riserve mondiali di petrolio e gas naturale e dei relativi corridoi energetici.

Non a caso nel mirino degli Stati uniti vi sono l’Iran e l’Iraq, le cui riserve petrolifere complessive superano quelle dell’Arabia Saudita e sono cinque volte superiori a quelle Usa. Le riserve iraniane di gas naturale sono circa 2,5 volte quelle statunitensi. Per la stessa ragione è nel mirino Usa il Venezuela, il paese con le maggiori riserve petrolifere del mondo. 

Di primaria importanza è il controllo dei corridoi energetici. Accusando l’Iran di voler «interrompere il flusso di petrolio attraverso lo Stretto di Hormuz», Mike Pompeo annuncia che «gli Stati uniti difenderanno la libertà di navigazione». In altre parole, annuncia che gli Stati uniti vogliono controllare militarmente questa zona chiave per l’approvvigionamento energetico anche dell’Europa, impedendo anzitutto il transito del petrolio iraniano (a cui l’Italia e altri paesi europei non possono comunque accedere liberamente a causa del divieto Usa).

Dall’Iran avrebbe potuto arrivare in Europa anche gas naturale a basso prezzo per mezzo di un gasdotto attraverso Iraq e Siria, ma il progetto, varato nel 2011, è saltato in seguito all’operazione Usa/Nato per demolire lo Stato siriano.

Dalla Russia avrebbe potuto arrivare direttamente in Italia, e da qui essere smistato in altri paesi europei con notevoli vantaggi economici, gas naturale per mezzo del South Stream attraverso il Mar Nero, ma il gasdotto, già in fase avanzata, è stato bloccato nel 2014 sotto pressione degli Stati uniti e della stessa Unione europea con grossi danni per l’Italia. E’ invece andato avanti il raddoppio del Nord Stream, che fa della Germania il centro di smistamento del gas russo.

Successivamente, in base all’accordo di «cooperazione strategica Usa-Ue in campo energetico» stipulato nel luglio 2018, le esportazioni Usa di gas naturale liquefatto (Lng) nella Ue sono triplicate. Centro di smistamento è la Polonia, da dove il «gas della libertà» arriverà anche in Ucraina.

L’obiettivo di Washington è strategico: colpire la Russia sostituendo in Europa al gas russo quello statunitense. Non c’è però alcuna garanzia né sui prezzi, né sulla durata delle forniture Usa di gas, estratto dagli scisti bituminosi con la tecnica del fracking ambientalmente disastrosa.

Che cosa dice di tutto questo Matteo Salvini che, arrivato nella «più grande democrazia occidentale», ha orgogliosamente dichiarato «faccio parte di un governo che in Europa non si accontenta più delle briciole»?

(il manifesto, 18 giugno 2019)

domenica 16 giugno 2019

Iran

dalla pagina https://ilmanifesto.it/trump-prepara-la-guerra-liran-luscita-dal-jcpoa/

Trump prepara la guerra, l’Iran l’uscita dal Jcpoa

Golfo. Il presidente iraniano Rohani batte il pugno sul tavolo di fronte alle accuse americane all'Iran. Se il mondo non interverrà, lascia capire, l'uscita del suo paese dall'accordo sul nucleare sarà inevitabile.

Michele Giorgio

Alza la voce il presidente iraniano Hassan Rohani. Non può far altro di fronte alle sanzioni economiche americane e alle accuse, senza prove, di Donald Trump e del segretario di Stato Mike Pompeo all’Iran di aver compiuto per due volte, il mese scorso e qualche giorno fa, attacchi a petroliere mettendo a rischio una porzione significativa dei rifornimenti di petrolio. Rohani probabilmente si rende conto che andare al muro contro muro fa il gioco dei nemici del suo paese ma non può non avvicinarsi alle posizioni rigide della guida suprema Ali Khamenei e dei falchi che non hanno mai creduto all’utilità della firma nel 2015 con gli Stati uniti e l’Europa dell’accordo sul nucleare iraniano (Jcpoa) [Joint Comprehensive Plan of Action].
«Siamo tutti consapevoli del ruolo delle politiche dell’Amministrazione Usa nel destabilizzare i Paesi della regione», ha protestato ieri Rohani intervenendo alla “Conferenza sulle misure di interazione e rafforzamento della fiducia in Asia” (Cica) in corso a Dushanbe. «Per un livello accettabile di pace, stabilità e sviluppo – ha aggiunto – è necessario puntare sullo sviluppo della cooperazione regionale e del dialogo». Infine ha ribadito che l’Iran è «un attore chiave nella regione» e punta «sulla cooperazione, sull’individuazione di strategie per raggiungere obiettivi e benefici comuni». Parole indirizzate all’Europa. Tehran sa che alcuni paesi – Germania, Francia e Gran Bretagna – possono arginare l’aggressività dell’Amministrazione Trump e impedire una nuova guerra nel Golfo. In questi giorni, alternando toni duri ad altri più concilianti, Rohani non manca di ricordare che a luglio scadrà l’ultimatum lanciato dal suo paese per vedere in azione “Instex” [Instrument in support of trade exchanges], il sistema con cui l’Europa afferma di poter aggirare le sanzioni americane e di poter continuare ad avere relazioni economiche con l’Iran. Altrimenti il suo paese, poco alla volta, uscirà dal Jcpoa di cui gli Usa dal 2018 non sono più parte.
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venerdì 14 giugno 2019

Petroliere, Iran respinge accuse USA

dalla pagina http://parstoday.com/it/news/iran-i190888-petroliere_iran_respinge_accuse_usa


L'Iran respinge categoricamente le affermazioni degli Usa della responsabilità di Teheran per gli ultimi attacchi alle petroliere.

Lo ha comunicato la missione iraniana all'Onu sottolineando che condanna nei termini più forti tali affermazioni. La guerra economica degli Stati Uniti e il terrorismo contro il popolo iraniano, nonché la loro massiccia presenza militare nella regione sono stati e continuano ad essere le principali fonti di insicurezza e instabilità nel Golfo Persico, si legge nella dichiarazione. "Né le invenzioni e le campagne di disinformazione, né incolpare vergognosamente gli altri - ha dichiarato la missione iraniana all'Onu - possono cambiare la realtà". Teheran, inoltre, ha "espresso preoccupazione per gli incidenti alle petroliere", chiedendo poi "alla comunità internazionale di essere all'altezza delle sue responsabilità nel prevenire le politiche e le pratiche sconsiderate e pericolose degli Usa e dei suoi alleati che aumentano le tensioni nella regione". 

Altri articoli sull'argomento da PressTV (Iran) e RT (Russia Today):

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Oman, attacco alle petroliere. Per Pompeo è responsabile l'Iran. Imminente una nuova guerra degli USA?

Il Segretario di Stato americano Mike Pompeo ritiene che l'Iran sia dietro l'attacco a due petroliere giapponesi nel Golfo di Oman. Crede che Teheran voglia porre fine alla "campagna di massima pressione di successo" delle sanzioni di Washington. Siamo di fronte ad un nuovo pretesto per una nuova guerra da parte degli Stati Uniti?


Senza scomodare Esopo e la favola del lupo e dell'agnello, ormai è noto come gli USA oltre a cercarlo, quando non lo trovano, creano il pretesto di nuove guerre. Poche settimane fa il sabotaggio delle petroliere nei porti degli Emirati Arabi Uniti, oggi, l'attacco a due navi cargo giapponesi nel Golfo di Oman, proprio nel momento in cui Washington ha aumentato la sua presenza navale e aerea nella regione.

L'arrivo di cacciatorpediniere e bombardieri vari nella regione sembrano confermare l'intenzione degli USA quella di voler tutelare i suoi interessi nella regione dall'Iran ma essere allo stesso tempo difensore dei suoi alleati, Arabia Saudita in primis.

Ormai, come avvenuto per gli attacchi chimici in Siria, il passo è breve per scatenare un attacco che, in questo caso, avrebbe conseguenze devastanti in termini di vite umane, e anche dal punto di vista economico con il prezzo del petrolio che potrebbe salire alle stelle.

Nel momento in cui gli USA, attraverso i sedicenti 'caschi bianchi', stabilirono che l'esercito siriano aveva usato armi chimiche, senza alcuna verifica sul campo, fecero in pochi giorni partire l'attacco con decine di missili cruise contro la Siria, in collaborazione con Francia e Gran Bretagna.

Il Segretario di Stato americano Mike Pompeo poche ore fa ha dichiarato [CNN: Pompeo, without offering evidence, blames Iran for Gulf tanker attacksche, analizzando il tipo di armi usate e la sofisticazione degli attacchi, gli Stati Uniti sono giunti alla conclusione che l'Iran è responsabile degli attacchi a due petroliere nel Golfo di Oman.

Durante una conferenza a Washington, Pompeo ha spiegato che gli attacchi fanno parte di una "campagna" di "tensione crescente" da parte dell'Iran e una minaccia per la pace e la sicurezza internazionali.

Trump: "Né gli Stati Uniti né l'Iran sono pronti a raggiungere un accordo"

Da parte sua, il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha ritenuto che è "troppo presto per pensare" di raggiungere un accordo con l'Iran.

Ciò è stato espresso nel suo account Twitter in seguito ad un incontro tenutosi oggi a Teheran tra il primo ministro giapponese Shinzo Abe e il capo supremo del paese persiano, l'Ayatollah Ali Khamenei.

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2007: Brzezinski dichiara che un "False Flag Event" potrebbe far partire la guerra contro l'Iran

http://www.prisonplanet.com/articles/february2007/060207falseflag.htm

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Consigliamo anche un libro e un docu-film: 



mercoledì 12 giugno 2019

WikiLeaks ha avuto grandi e indubbi meriti nello svelare i segreti dei potenti

dalla pagina https://ilmanifesto.it/la-societa-della-trasparenza-non-e-sinonimo-di-liberta/ 

La società della trasparenza che scimmiotta la libertà


Verità anonime. WikiLeaks ha avuto grandi e indubbi meriti nello svelare i segreti dei potenti. L’ingenuità, però, sta nell’ignorare i rapporti di forza insiti nelle società

giovedì 6 giugno 2019

LE LUNGHE MANI DEL GRUPPO BILDERBERG

dalla pagina https://www.change.org/p/la-campagna-per-l-uscita-dell-italia-dalla-nato-per-un-italia-neutrale/u/24652801

Comitato promotore della campagna 
#NO GUERRA #NO NATO


(il manifesto, 4 giugno 2019)  
Manlio Dinucci


Tre italiani sono stati invitati quest’anno alla riunione del gruppo Bilderberg, svoltasi a Montreux in Svizzera dal 30 maggio al 2 giugno. Accanto a Lilli Gruber, la conduttrice televisiva de La7 ormai ospite fissa del Bilderberg, è stato invitato un altro giornalista: Stefano Feltri, vicedirettore del Fatto Quotidiano diretto da Marco Travaglio. Il «terzo uomo» scelto dal Bilderberg è Matteo Renzi, senatore del Partito Democratico, già presidente del Consiglio.
Il gruppo Bilderberg, costituitosi nel 1954 formalmente  per iniziativa di «eminenti cittadini» statunitensi ed europei, fu  in realtà  creato dalla Cia e dal servizio segreto britannico MI6 per sostenere la Nato contro l’Urss. Dopo la guerra fredda, ha mantenuto lo stesso ruolo a sostegno della strategia Usa/Nato.
Alle sue riunioni vengono invitati ogni anno, quasi esclusivamente da Europa occidentale e Stati uniti, circa 130 esponenti del mondo politico, economico e militare, dei grandi media e dei servizi segreti, che formalmente partecipano a titolo personale. Essi si riuniscono a porte chiuse, ogni anno in un paese diverso, in hotel di lusso blindati da ferrei sistemi militari di sicurezza.
Non è ammesso nessun giornalista od osservatore, né viene pubblicato alcun comunicato. I partecipanti sono vincolati alla regola del silenzio: non possono rivelare neppure l’identità dei relatori che hanno fornito loro determinate informazioni (alla faccia della declamata «trasparenza»).
Si sa solo che quest’anno hanno parlato soprattutto di Russia e Cina, di sistemi spaziali, di uno stabile ordine strategico, del futuro del capitalismo.
Le presenze più autorevoli sono state, come al solito, quelle statunitensi: Henry Kissinger, «figura storica» del gruppo a fianco del banchiere David Rockfeller (fondatore del Bilderberg e della Trilateral, morto nel 2017); Mike Pompeo, già capo della Cia e attuale segretario di stato; David Petraeus, generale già capo della Cia; Jared Kushner, consigliere (nonché genero) del presidente Trump per il Medio Oriente e intimo amico del premier israeliano Netanyahu. Al loro seguito Jens Stoltenberg, segretario generale della Nato, che ha ricevuto un secondo mandato per i suoi servigi agli Usa.
Per quattro giorni, in incontri segreti multilaterali e bilaterali, questi e altri rappresentanti dei grandi poteri (aperti e occulti) dell’Occidente hanno rafforzato e allargato la rete di contatti che permette loro di influire sulle politiche governative e sugli orientamenti dell’opinione pubblica.
I risultati si vedono. Sul Fatto Quotidiano Stefano Feltri difende a spada tratta il gruppo Bilderberg, spiegando che le sue riunioni si svolgono a porte chiuse «per creare un contesto di dibattito franco e aperto, proprio in quanto non istituzionale», e se la prende con «i tanti complottisti» che diffondono «leggende» sul gruppo Bilderberg e anche sulla Trilateral.
Non dice che, fra «i tanti complottisti», c’è il magistrato Ferdinando Imposimato, presidente onorario della Suprema Corte di Cassazione (deceduto nel 2018), che riassumeva così il risultato delle indagini effettuate: «Il gruppo Bilderberg è uno dei responsabili della strategia della tensione e quindi anche delle stragi» a partire da quella di Piazza Fontana, di concerto con la Cia e i servizi segreti italiani, con Gladio e i gruppi neofascisti, con la P2 e le logge massoniche Usa nelle basi Nato.
In questo prestigioso club è stato ammesso ora anche Matteo Renzi. Escludendo che lo abbiano invitato per le sue doti di analista, resta l’ipotesi che i potenti del Bilderberg stiano preparando in modo occulto qualche altra operazione  politica in Italia.
Ci scuserà Feltri se ci uniamo così ai «tanti complottisti».