Comitato promotore della campagna
#NO GUERRA #NO NATO
18 GIU 2019 —
Manlio Dinucci
Mentre gli Stati uniti preparano una nuova escalation in
Medio Oriente, accusando l’Iran di attaccare le petroliere nel Golfo di Oman,
il vice-premier Matteo Salvini incontra a Washington il segretario di Stato
Mike Pompeo, uno degli artefici di tale strategia, assicurandogli che «l'Italia
vuole tornare a essere nel continente europeo il primo partner della più grande
democrazia occidentale». Aggancia così l’Italia all’operazione lanciata da
Washington.
L’«incidente del Golfo di Oman», casus belli contro l’Iran,
ricalca «l’incidente del Golfo del Tonchino» del 4 agosto 1964, usato come
casus belli per bombardare il Nord Vietnam, accusato di aver attaccato un
cacciatorpediniere Usa (accusa risultata poi falsa).
Oggi, un video diffuso da Washington mostra l’equipaggio di
una presunta motovedetta iraniana che, in pieno giorno, rimuove dalla fiancata
di una petroliera una mina inesplosa per cancellare la sua provenienza (dato
che la mina avrà avuto la scritta «made in Iran»).
Con queste «prove», che costituiscono un vero e proprio
insulto all’intelligenza, Washington cerca di camuffare lo scopo
dell’operazione. Essa rientra nella strategia per il controllo delle riserve
mondiali di petrolio e gas naturale e dei relativi corridoi energetici.
Non a caso nel mirino degli Stati uniti vi sono l’Iran e
l’Iraq, le cui riserve petrolifere complessive superano quelle dell’Arabia
Saudita e sono cinque volte superiori a quelle Usa. Le riserve iraniane di gas
naturale sono circa 2,5 volte quelle statunitensi. Per la stessa ragione è nel
mirino Usa il Venezuela, il paese con le maggiori riserve petrolifere del
mondo.
Di primaria importanza è il controllo dei corridoi
energetici. Accusando l’Iran di voler «interrompere il flusso di petrolio
attraverso lo Stretto di Hormuz», Mike Pompeo annuncia che «gli Stati uniti
difenderanno la libertà di navigazione». In altre parole, annuncia che gli
Stati uniti vogliono controllare militarmente questa zona chiave per
l’approvvigionamento energetico anche dell’Europa, impedendo anzitutto il
transito del petrolio iraniano (a cui l’Italia e altri paesi europei non
possono comunque accedere liberamente a causa del divieto Usa).
Dall’Iran avrebbe potuto arrivare in Europa anche gas
naturale a basso prezzo per mezzo di un gasdotto attraverso Iraq e Siria, ma il
progetto, varato nel 2011, è saltato in seguito all’operazione Usa/Nato per
demolire lo Stato siriano.
Dalla Russia avrebbe potuto arrivare direttamente in Italia,
e da qui essere smistato in altri paesi europei con notevoli vantaggi
economici, gas naturale per mezzo del South Stream attraverso il Mar Nero, ma
il gasdotto, già in fase avanzata, è stato bloccato nel 2014 sotto pressione
degli Stati uniti e della stessa Unione europea con grossi danni per l’Italia.
E’ invece andato avanti il raddoppio del Nord Stream, che fa della Germania il
centro di smistamento del gas russo.
Successivamente, in base all’accordo di «cooperazione
strategica Usa-Ue in campo energetico» stipulato nel luglio 2018, le
esportazioni Usa di gas naturale liquefatto (Lng) nella Ue sono triplicate.
Centro di smistamento è la Polonia, da dove il «gas della libertà» arriverà
anche in Ucraina.
L’obiettivo di Washington è strategico: colpire la Russia
sostituendo in Europa al gas russo quello statunitense. Non c’è però alcuna
garanzia né sui prezzi, né sulla durata delle forniture Usa di gas, estratto
dagli scisti bituminosi con la tecnica del fracking ambientalmente disastrosa.
Che cosa dice di tutto questo Matteo Salvini che, arrivato
nella «più grande democrazia occidentale», ha orgogliosamente dichiarato
«faccio parte di un governo che in Europa non si accontenta più delle
briciole»?
(il manifesto, 18 giugno 2019)