martedì 31 marzo 2020

Manovre strategiche dietro la crisi del coronavirus

dalla paginhttps://ilmanifesto.it/manovre-strategiche-dietro-la-crisi-del-coronavirus/

L'arte della guerra. I paesi europei della Nato avvertiti da Washington: devono continuare ad aumentare i loro bilanci militari per «mantenere la capacità di difendersi». L’Italia dovrebbe quindi aumentare la propria spesa militare, già salita a oltre 26 miliardi di euro l’anno

Soldati statunitensi nella Nato


Mentre la crisi del Coronavirus paralizza intere società, potenti forze si muovono per trarre il massimo vantaggio dalla situazione. Il 27 marzo la Nato sotto comando Usa si è allargata da 29 a 30 membri, inglobando la Macedonia del Nord.
Il giorno dopo – mentre proseguiva l’esercitazione Usa «Difensore dell’Europa 2020», con meno soldati ma più bombardieri nucleari – è iniziata in Scozia l’esercitazione aeronavale Nato Joint Warrior con forze Usa, britanniche, tedesche e altre, che durerà fino al 10 aprile anche con operazioni terrestri.
Intanto i paesi europei della Nato vengono avvertiti da Washington che, nonostante le perdite economiche provocate dal Coronavirus, devono continuare ad aumentare i loro bilanci militari per «mantenere la capacità di difendersi», ovviamente dalla «aggressione russa».
Alla Conferenza di Monaco, il 15 febbraio, il segretario di stato Mike Pompeo ha annunciato che gli Stati uniti hanno sollecitato gli alleati a stanziare altri 400 miliardi di dollari per accrescere la spesa militare della Nato, che già supera ampiamente i 1.000 miliardi annui.
L’Italia deve quindi aumentare la propria spesa militare, già salita a oltre 26 miliardi di euro all’anno, ossia più di quanto il Parlamento abbia autorizzato a stanziare una tantum per l’emergenza Coronavirus (25 miliardi). La Nato guadagna così terreno in una Europa largamente paralizzata dal virus, dove gli Usa, oggi più che mai, possono fare ciò che vogliono.
Alla Conferenza di Monaco Mike Pompeo ha attaccato violentemente non solo la Russia ma anche la Cina, accusandola di usare la Huawei e altre sue compagnie quale «cavallo di Troia dell’intelligence», ossia quali strumenti di spionaggio. In tal modo gli Stati uniti accrescono la loro pressione sui paesi europei perché rompano anche gli accordi economici con Russia e Cina e rafforzino le sanzioni contro la Russia.
Che cosa dovrebbe fare l’Italia, se avesse un governo che volesse difendere i nostri reali interessi nazionali? Dovrebbe anzitutto rifiutare di accrescere la nostra spesa militare, artificiosamente gonfiata con la fake news della «aggressione russa», e sottoporla a una radicale revisione per ridurre lo spreco di denaro pubblico in sistemi d’arma come il caccia Usa F-35.
Dovrebbe togliere immediatamente le sanzioni alla Russia, sviluppando al massimo l’interscambio. Dovrebbe aderire alla richiesta – presentata il 26 marzo all’Onu da Cina, Russia, Iran, Siria, Venezuela, Nicaragua, Cuba e Nord Corea – che le Nazioni Unite premano su Washington perché abolisca tutte le sanzioni, particolarmente dannose nel momento in cui i paesi che le subiscono sono colpiti dal Coronavirus.
Dall’abolizione delle sanzioni all’Iran ne deriverebbero anche vantaggi economici per l’Italia, il cui interscambio con questo paese è stato praticamente bloccato dalle sanzioni degli Stati uniti.
Queste e altre misure darebbero ossigeno soprattutto alle piccole e medie imprese soffocate dalla forzata chiusura, renderebbero disponibili fondi da stanziare per l’emergenza, a favore soprattutto degli strati più disagiati, senza per questo indebitarsi. Il maggiore rischio è quello di uscire dalla crisi con al collo il nodo scorsoio di un debito estero che potrebbe ridurre l’Italia alle condizioni della Grecia.
Più potenti delle forze militari, quelle che hanno in mano le leve decisionali anche nel complesso militare-industriale, sono le forze della grande finanza internazionale, che stanno usando la crisi del Coronavirus per una offensiva su scala globale con le più sofisticate armi della speculazione.
Sono loro che possono portare alla rovina milioni di piccoli risparmiatori, che possono usare il debito per impadronirsi di interi settori economici. Decisivo in tale situazione è l’esercizio della sovranità nazionale, non quella della retorica politica ma quella reale che, sancisce la nostra Costituzione, appartiene al popolo.

sabato 28 marzo 2020

Emergenza coronavirus: il Governo concede all’industria delle armi di “auto-regolamentarsi” mentre stringe le maglie di economia e spostamenti personali

dalla pagina https://www.azionenonviolenta.it/emergenza-coronavirus-il-governo-concede-allindustria-delle-armi-di/

Comunicato di Campagna Sbilanciamoci! – 
Rete Italiana per il Disarmo – Rete della Pace
Nonostante gli accordi presi con le parti sociali la sera del 25 marzo, e le dichiarazioni successive agli incontri con i sindacati in cui veniva sottolineato come il Ministro della Difesa si fosse “impegnato a diminuire la produzione nel settore militare, salvaguardando solo le attività indispensabili” oggi scopriamo invece che il Governo continua a concedere uno status privilegiato all’industria della difesa e delle produzioni militari. Infatti mentre comprensibilmente, vista l’emergenza, vengono rafforzate le decisioni di limitazione agli spostamenti personali e vengono ulteriormente ridotte le categorie economiche e produttive che possono rimanere attive, il Governo concede ai produttori di armamenti di decidere autonomamente quali produzioni tenere aperte e quali no. Lo si legge nella comunicazione inviata alla “Federazione delle Aziende Italiane per l’Aerospazio, la Difesa e la Sicurezza” (AIAD) a firma del Ministro della Difesa On. Lorenzo Guerini e del Ministro dello Sviluppo Economico On. Stefano Patuanelli.
Non viene quindi presa una decisione formale e obbligatoria da parte dell’Esecutivo ma le aziende a produzione militare, per tramite di AIAD, vengono invitate “in uno spirito di collaborazione e leale cooperazione” a considerare “l’opportunità che le società e le aziende federate all’interno di AIAD, nel proseguire la propria attività, possano concentrare l’operatività sulle linee produttive ritenute maggiormente essenziali e strategiche e, di contro, rallentare per quanto possibile l’attività produttiva e commerciale con riferimento a tutto ciò che non sia ritenuto, del pari, analogamente essenziale”.
Tutto questo andando a sottolineare come premessa che da parte del Governo Conte “sia stata ancora una volta riconosciuta la strategicità e, più in generale, l’apicale importanza, per il nostro Paese, delle imprese operanti nei suddetti settori industriali, imprese la cui attività produttiva, anche in un momento altamente critico e quello che stiamo affrontando, si è comunque deciso di tutelare appieno”. Una decisa e precisa scelta di campo, che ci pare tradisca anche lo spirito dell’accordo sottoscritto con le parti sociali.
In questo senso va sottolineato come, diversamente da quanto trapelato inizialmente, queste decisioni sull’apertura o meno dei siti produttivi non dovranno essere concordate con i sindacati né a livello nazionale né a quello territoriale. Il Governo si limita infatti ad esprimere “l’auspicio che  su tali decisioni e scelte possano essere debitamente coinvolte anche le diverse rappresentanze sindacali aziendali”.
La Rete italiana per il Disarmo, la Rete della Pace e la Campagna Sbilanciamoci! esplicitano il loro pieno disaccordo con questa linea di condotta e ribadiscono che in questo momento di emergenza non è possibile che all’industria militare venga – ancora una volta – riservato un trattamento speciale. Produrre armamenti non è certo strategico in questo momento e nemmeno necessario, perché sono altri i settori dell’economia che davvero garantiscono cura e servizi essenziali per il nostro Paese. Ribadiamo ancora una volta la nostra posizione che chiede l’immediato blocco in tutte le fabbriche che producono sistemi d’arma ed auspica con forza non solo lo spostamento di risorse dalla spesa militare a quella per sanità e welfare, ma anche una decisa iniziativa di riconversione dell’industria a produzione bellica verso aree produttive più utili per la vita, la salute, la sicurezza di tutti gli italiani.
Di nuovo sottolineiamo come risulti incomprensibile che sia considerato “strategico” e necessario continuare a far montare un’ala ad un cacciabombardiere o un cingolo ad un carro armato, con il rischio di far  contagiare i lavoratori addetti a queste attività. Riteniamo inaccettabile chiedere ai lavoratori un sacrificio così alto per una produzione che, oggi, non ha nulla di strategico ed impellente e costituisce solamente un favore all’industria bellica e al business del commercio di armamenti.
(vignetta di Mauro Biani)

venerdì 27 marzo 2020

Il virus della guerra

dalla pagina https://comune-info.net/il-virus-della-guerra/

Sergio Segio
26 Marzo 2020

Il sistema della guerra e la catena di enormi interessi che lo sorregge è concausa tra le principali di quella complessiva devastazione del Pianeta che, a sua volta, è corresponsabile anche della terribile pandemia da Coronavirus. Scrive Sergio Segio: “Tutto ciò ci sollecita a sperare che – e agire affinché – la pandemia in corso, oltre alle migliaia di morti e al disastro economico globale, almeno residui un soprassalto di consapevolezza su quello che va radicalmente cambiato nel nostro modo di vivere… Mai come in questi giorni è facile comprendere quanto i problemi siano inevitabilmente globali, a onta dei muri e delle fortezze, e come di conseguenza debbano esserlo le risposte”

Ph by U.S. Navy photo by Chief Mass Communication Specialist Michael B. Watkins / Public domain
La furia del coronavirus mostra la follia della guerra. Ecco perché oggi chiedo un cessate il fuoco globale e immediato in tutti gli angoli del mondo. È tempo di bloccare i conflitti armati e concentrarsi sulla vera lotta delle nostre vite. Alle parti in guerra dico: ritiratevi dalle ostilità». Non è Gino Strada che parla: la follia criminale della guerra, lui la denuncia e combatte da decenni; in questo caso, l’esortazione è stata invece lanciata con forza dal segretario generale dell’ONU, Antonio Guterres.
Il sistema della guerra e la catena di enormi interessi che lo sorregge è concausa tra le principali di quella complessiva devastazione del Pianeta che, a sua volta, è corresponsabile anche della terribile pandemia da Coronavirus in corso. La catastrofe ecologica, prodotta dall’attività umana, dalle scelte politiche e dai crimini di sistema, si evidenzia in varie forme, tutte più distruttive. Come scrive il WWF in un recente report, molte delle malattie emergenti sono conseguenza indiretta dell’impatto sugli ecosistemi naturali.

La piovra militar-industriale

Il warfare è un sistema tentacolare e multiforme. Per comprenderne natura, estensione e attualità è utile risalire al secolo scorso, in particolare al secondo dopoguerra. Paradossalmente, la prima e più autorevole denuncia, rimasta nella storia, della sua articolazione e potere è venuta dal presidente di una delle nazioni che maggiormente alimentano e beneficiano di tale sistema: «Dobbiamo vigilare contro l’acquisizione di un’ingiustificata influenza da parte del complesso militare-industriale, sia palese che occulta. Non dobbiamo mai permettere che il peso di questa combinazione di poteri metta in pericolo le nostre libertà e processi democratici»: così Dwight D. Eisenhower nel suo Discorso di addio alla nazione del 17 gennaio 1961. Essendo stato, prima che presidente degli Stati Uniti, anche generale, sapeva esattamente ciò di cui parlava e i pericoli che quel «complesso» rappresentava. E rappresenta.
Vi sono infatti due aspetti che lo rendono oggi assai più pericoloso rispetto a quell’epoca per le sorti della democrazia e della stessa umanità. Il primo è la sostanziale assenza, o meglio la debolezza del pensiero e della pratica di movimenti e di forze politiche organizzate pacifiste e antibelliche, invece ben più attivi e incisivi nel secolo scorso. Con eccezioni, lodevoli ma purtroppo episodiche e limitate manifestazioni: si pensi, da ultimo, al blocco nei porti delle navi utilizzate per trasportare armamenti in Arabia Saudita o le contestazioni alla produzione di bombe in Sardegna, destinate sempre all’Arabia Saudita che le impiega nella guerra contro lo Yemen. Un conflitto, cominciato esattamente cinque anni fa, il 25 marzo 2015 e definito dalle Nazioni Unite come uno dei peggiori disastri umanitari, di cui anche l’Italia ne è complice: si vedano qui i dati della produzione ed export bellico e le cifre delle vittime. Il lavoro, considerato o meno necessario, può talvolta essere anche un crimine.
Una seconda, e determinante, differenza è l’enorme sviluppo delle tecnologie da allora a oggi. Applicate al settore bellico, hanno moltiplicato a dismisura il potere, i profitti e le potenzialità distruttive di quel sistema.

La fantascienza è superata dalla realtà

Anche da questo punto di vista, oltre che da quello del controllo sociale totale, che vediamo in atto e che subiamo in questi giorni, la fantascienza è attualizzata e addirittura superata; il futuro (ma in parte già il presente) delle guerre è già stato immaginato, preparato, costruito. Somiglia terribilmente a quello visto in tanti film e perfino ne supera gli scenari. Basti pensare ai “robot assassini”, i Lethal Autonomous Weapons Systems, ovvero sistemi d’arma in grado di individuare e colpire bersagli, anche umani, in modo indipendente e senza l’autorizzazione da parte di una persona. L’intervento umano si limiterà, infatti, alla sola loro attivazione iniziale: dopo, sarà il sistema d’arma a selezionare e colpire in modo appunto autonomo gli obiettivi. Si configurerebbero così, oltre tutto, enormi e inediti problemi morali e giuridici.
Si tratta di armi che possono essere considerate l’evoluzione dei droni comandati a distanza. Ovvero di quegli strumenti che stanno venendo ora utilizzati per monitorare – in modo da poter eventualmente sanzionare i trasgressori – il rispetto delle regole di comportamento individuale fissate, e quasi giornalmente irrigidite, dai ripetuti decreti del presidente del Consiglio sulle misure di contrasto al Coronavirus. Ma, oltre che per controllo, ad esempio dei confini nella repressione dei migranti in fuga, i droni sono da tempo usati in diversi teatri di guerra, in particolar modo da parte degli Stati Uniti (e significativamente gestiti direttamente dalla CIA), che da parecchi anni mietono vittime, spesso civili, nei conflitti in corso in Africa e in Medio Oriente, attraverso il comando da remoto. Vengono usati, peraltro, anche nella vicina Libia, con partenza da territorio italiano, dalla base Nato di Sigonella. Secondo insistenti voci, naturalmente smentite dal ministero della Difesa, da lì sarebbe partito pure il drone Usa che, il 3 gennaio scorso, ha assassinato Qassem Soleimani, il comandante iraniano delle Guardie della Rivoluzione Islamica, rischiando di fare degenerare ulteriormente e irrimediabilmente il quadro internazionale.

La guerra batteriologica

Sempre fantascientifiche, ma solo in apparenza, essendo anche queste da tempo studiate e dunque potenzialmente preparate, sono le guerre batteriologiche. Non servivano certo il maldestro tentativo di strumentalizzazione politica da parte di Salvini del video di Tg Leonardo del 2015 o complottismi e idiotismi di varia natura per svelare una realtà, che, seppure non direttamente legata all’attuale pandemia, dovrebbe preoccupare tutti. Le ricerche su virus e batteri hanno possibili risvolti e utilizzi anche in campo bellico. Tanto più che la ricerca scientifica e quella militare hanno numerosi punti di contatto e sovrapposizione, con il fatto che la seconda ha possibilità di maggiori dotazioni finanziarie ed è favorita dalla maggiore segretezza.
Per fare solo uno dei tanti possibili esempi, l’autorevole rivista Science ha pubblicato uno studio su di un progetto di ricerca avanzata (finanziata con 45 milioni di dollari) gestita dall’agenzia del Pentagono Darpa (Defense Advanced Research Projects Agency) denominata Insects Allies, Insetti alleati. Il direttore, Blake Bextine, ha dichiarato che si tratta di una misura pensata per proteggere l’agricoltura statunitense. Secondo Science potrebbe invece rivelarsi un’arma adatta a usi militari, in violazione della Convenzione internazionale sulle armi biologiche. Il programma, infatti, mira a disperdere virus infettivi geneticamente modificati progettati per alterare i cromosomi delle colture, utilizzando gli insetti per diffondere i virus alle piante, potenzialmente in grado dunque di distruggere la produzione alimentare di un Paese (Robert Guy Reeves, Silja Voeneky, Derek Caetano-Anollés, Reldon F. Beck, Christophe Boëte, Agricultural research, or a new bioweapon system?, “Science”, Vol. 362, Issue 6410, pp. 35-37, 5 ottobre 2018).
Sono scenari che erroneamente si potrebbero pensare avveniristici e futuribili; è invece già la realtà delle armi biologiche, di quelle genetiche e di quelle basate sull’intelligenza artificiale, cui si dedicano numerose agenzie di paesi e potenze diverse, sostenute da ingentissimi finanziamenti, protette dal segreto militare. Solo la Darpa è impegnata in circa 250 programmi.

Cambiare il sistema, dal basso

Tutto ciò ci sollecita a sperare che – e agire affinché – la pandemia in corso, oltre alle migliaia di morti e al disastro economico globale, almeno residui un soprassalto di consapevolezza su quello che va radicalmente cambiato nel nostro modo di vivere, nelle priorità che ci si danno e, soprattutto, nel modello sociale ed economico che determina la vita collettiva e le sorti comuni: mai come in questi giorni è facile comprendere quanto i problemi siano inevitabilmente globali, a onta dei muri e delle fortezze, e come di conseguenza debbano esserlo le risposte.
Non vi è certo da essere ottimisti. Rimanendo all’Italia, basti vedere che, almeno inizialmente, nel decreto sui lavori necessari sono stati inserite anche produzioni legate al bellico. Se il “complesso militar-industriale” (e finanziario, va ora aggiunto) è più potente che mai, se i governi ne sono espressione o ne sono succubi, occorre allora che l’alternativa venga pensata e costruita al basso. Perché è lì che si pagano da sempre, e pure oggi con la pandemia e la crisi globale, i maggiori prezzi.
Reagire, ribellarsi, costruire un modello e un futuro diverso, pacifico, rispettoso di diritti umani ed ecosistemi, è allora questione di autodifesa, assai concreta e vitale, non ideologica. È la sfida e scommessa di domani che bisogna cominciare a pensare oggi, pur dal chiuso delle nostre case o nei luoghi della costrizione al lavoro voluto necessario per decreto, quando invece è il reddito semmai a esserlo. E anche questo oggi dovrebbe essere più evidente a tutti.
Nel pensare e preparare quel futuro nuovo, ora, intanto, usciamo sui balconi a esigere la fine di ogni guerra, non a partecipare a riti patriottici. Consapevoli, con Friedrich Dürrenmatt, che «Patria, si fa chiamare lo Stato ogni qualvolta si accinge a compiere assassini di massa».

Sergio Segio è curatore dell’annuale Rapporto sui Diritti globali, edito da Ediesse.


mercoledì 25 marzo 2020

Tagliare subito le spese militari

dalla pagina https://raiawadunia.com/alex-zanotelli-tagliare-subito-le-spese-militari/


Nel drammatico momento che stiamo vivendo in Italia e nel mondo intero, sentiamo il bisogno umano e civile di levare la nostra voce contro lo scandalo gigantesco delle spese militari, su cui come sempre i più tacciono.

Non dobbiamo tacere. In questo momento come mai è giusto e doveroso chiedere al nostro Governo di tagliare subito le spese per armamenti e destinare quanto risparmiato ai bisogni della sanità e a quelli di chi dovesse perdere il lavoro.

Si tratta di somme ingenti. E molto cresciute in questi ultimi anni mentre si tagliavano le spese per la sanità. Nel 2018 la spesa militare italiana è stata di 25 miliardi di euro, pari all’1,45 del Pil, in aumento rispetto al 2017 del 4%. Ma sono cifre pazzesche in tutto il mondo, vedi i dati sul sito del Sipri di Stoccolma.

Quella destinata ai soli armamenti nel 2018 è stata di 5,7 miliardi, aumentata di ben l’88% nelle ultime tre legislature, dice lo studioso Francesco Vignarca, secondo il quale “Tra i programmi di riarmo nazionale in corso i più ingenti sono le nuove navi da guerra della Marina, tra cui una nuova portaerei, nuovi carri armati ed elicotteri da attacco dell’Esercito, i nuovi aerei da guerra Typhoon e gli F-35”.

In particolare questi ultimi, gli F-35, sono da anni molto contestati dal mondo del pacifismo: una spesa enorme, oltre 50 miliardi di euro complessive, per un aereo con “difetti strutturali” (secondo vari esperti) e comunque un armamento d’attacco e al servizio di strategie d’attacco, in ciò sostanzialmente in chiaro contrasto con il dettato dell’art. 11 della nostra Costituzione. Un “inutile spreco di risorse” denuncia da tempo la campagna “Taglia le ali alle armi”. Quanto sarebbe utile dirottare questi miliardi verso il contrasto al surriscaldamento globale e ai cambiamenti climatici, quindi alla nostra salute?

Non dimentichiamo poi che nelle spese militari italiane ci sono quelle a supporto delle basi americane in Italia (con bombe atomiche) e non ultima c’è pure la spesa per i cappellani militari (circa 200, con un costo di 15 milioni tra stipendi e pensioni).

Un taglio sostanzioso a queste spese potrebbe essere subito deciso da Governo e Parlamento. Non sarebbe razionale oltre che giusto, soprattutto in questo momento?

Si pensi che un solo aereo F-35 costa la bellezza di 130 milioni di euro. Già il Governo Monti nel 2012 aveva ridotto da 131 a 90 gli aerei da comprare, perché non si procede subito almeno con un’altra bella sforbiciata? Quale forza politica si potrebbe opporre in questo drammatico momento? Quante le rianimazioni, quanto altro personale si potrebbero avere con il costo di un solo di questi aerei?

Non bisogna dimenticare poi che in questi ultimi anni la sanità italiana è stata massacrata da tagli lineari enormi: con Monti nel 2012 ci fu un piano di tagli per 25 miliardi in tre anni e la spesa per la sanità fu portata dal 7,1 al 6,7% del Pil; il governo Letta proseguì con un taglio di 2,6 miliardi e coi tagli continuarono il governo Renzi e la ministra Lorenzin. Negli ultimi 10 anni il Servizio sanitario nazionale ha subito un taglio di 37 miliardi di euro, col risultato di migliaia di posti letto in meno (siamo scesi sotto la media europea, 3,5 per 1000 abitanti contro 5), spese per il personale ridotte di 2 miliardi tra il 2010 e il 2018, persi 42,800 posti a tempo indeterminato, deficitaria la prevenzione. E ancora, il raddoppio della quota dei più poveri che rinunciano alle cure e la enorme crescita del divario sanitario tra nord  e sud (con la complicità delle classi dirigenti del sud). Un massacro. Tutto nonostante i tichet, il cui gettito è passato da 1,8 miliardi del 2008 a 3 miliardi nel 2018. Oggi piangono tutti, nel Palazzo, ma ieri?

La crisi del coronavirus impone di ripensare la nostra quotidianità ma anche i nostri stili di vita e i nostri modelli di sviluppo, non c’è dubbio. Perché non anche le priorità di spesa dei governi?

Ripensare le spese militari è un tassello prioritario del nuovo mondo da immaginare e concepire ove sia finalmente messa al bando la guerra e le spese degli Stati destinate a strumenti di vita anziché a strumenti di morte. Uno Stato lo sta facendo, è il Costarica. E’ possibile, è conveniente. Chiediamolo in molti, chiediamolo tutti.

Raffaele Crocco, Massimiliano Pilati, Francesco Pugliese, Beatrice Taddei, Alex Zanotelli
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Chiudere subito lo stabilimento degli F-35 e tutti gli impianti delle produzioni militari

Lo chiedono Sbilanciamoci!, Rete della Pace e Rete Italiana per il Disarmo all’indomani del Decreto che ha ulteriormente ridotto le attività produttive in Italia a causa del coronavirus: il testo del comunicato stampa del 23 marzo 2020.
Il DPCM del governo entrato in vigore il 23 marzo esclude dal blocco delle attività produttive le fabbriche che realizzano sistemi d’arma e tra questi lo stabilimento di Cameri dove vengono assemblati i cacciabombardieri F-35. Il settore industriale ”aerospazio e della difesa” è stato infatti incluso tra le categorie delle attività strategiche e dei servizi essenziali.
La Campagna Sbilanciamoci!, la Rete della Pace e la Rete Italiana per il Disarmo chiedono l’immediato blocco in tutte le fabbriche che producono sistemi d’arma.
È incomprensibile come sia considerato “strategico” e necessario continuare a far montare un’ala ad un cacciabombardiere o un cingolo ad un carro armato, con il rischio di far  contagiare i lavoratori addetti a queste attività. Riteniamo inaccettabile chiedere ai lavoratori un sacrificio così alto per una produzione che, oggi, non ha nulla di strategico ed impellente e costituisce solamente un favore all’industria bellica e al business del commercio di armamenti.
Non è in questione il funzionamento operativo del settore della Difesa nazionale in questo momento così delicato, funzionamento che deve essere sempre garantito nei limiti e nelle forme previste dalla nostra Costituzione e del nostro ordinamento.
Il tema è perché si debbano tenere aperte fabbriche – in cui i lavoratori rischiano ogni giorno il contagio – che producono armi di cui oggi non abbiamo nessuna necessità, o che vengono vendute ad altri Paesi o – come nel caso degli F35 – che fanno parte di un Programma a lungo termine e che potrebbe senza problemi prendersi una pausa di qualche settimana (anche se va ricordato come le nostre organizzazioni da anni ne chiedano la chiusura a causa degli enormi costi, dei problemi tecnici e ritardi e dell’inutilità rispetto ad altri investimenti).
Per questo motivo chiediamo al Governo di rivedere subito l’elenco dei settori produttivi esclusi dal blocco, fermando il lavoro in tutte le fabbriche che producono sistemi d’arma, con la sola eccezione di quegli stabilimenti in grado di riconvertire la produzione di macchinari e forniture per rispondere ai bisogni del servizio del sistema sanitario.
L’industria bellica non è un settore essenziale e strategico: questa può essere l’occasione per un ripensamento e una riconversione necessaria (in primo luogo verso produzioni sanitarie).
Roma, 23 marzo 2020

martedì 24 marzo 2020

"Gli amici si vedono nel momento del bisogno"

"A friend in need is a friend indeed"

E non abbiamo bisogno di: Defender Europe 20, bombe B61-12, F35, basi USA, etc.

Vogliamo meno spese militari, più investimenti in sanità e ambiente.


L’alleanza NON atlantica

dalla pagina https://ilmanifesto.it/lalleanza-non-atlantica/

Geopolitica e pandemia. Con le nostre mastodontiche spese di decine di miliardi per la difesa e per i nuovi cacciabombardieri - le fabbriche d’armi intanto non i fermano -, per i nostri interventi «umanitari», per simulare nuove pericolose manovre militari a est

Medici cubani in Lombardia


Ieri il governo italiano, per iniziativa del ministro della difesa Guerini, di fronte all’imperversare del Coronavirus ha invocato il soccorso del Pentagono. I non-detto di questa iniziativa sono due: il primo è che il decreto del governo per contrastare il contagio da Coronavirus non ferma le fabbriche di armi (F35 compresi); il secondo è la preoccupazione – un retropensiero sia dei governati ai domiciliari per il nostro bene, ma anche dei governanti – che sia evidente come gli aiuti veri arrivino da tutte le parti, anche dai «nemici», tranne che dagli alleati storici; così si chiamano in causa, in modo pressante e all’ultimo momento Stati uniti e Alleanza atlantica, che alleanza proprio non è ma sudditanza.
Perché sotto gli occhi di tutti dopo i medici e gli infermieri cinesi da Wuhan con un carico ingente di respiratori e mascherine, ieri mattina sono arrivati 9 giganteschi Yliuscin russi carichi di laboratori mobili, con 100 medici militari; e, come se non bastasse sono già operativi a Cremona i 52 medici cubani arrivati domenica.
Passi per l’intervento «riparatore» di Xi Jinping che invia medici coinvolti nell’epicentro che è stato Wuhan, passi per il soccorso peloso, ma ingente, della Russia di Putin che gioca così anche una carta propagandistica, la vera sorpresa sta nell’aiuto di Cuba, un Paese sotto embargo Usa, che spiazza ogni ragionamento strategico-diplomatico.
Così partono con battimani dall’aeroporto de L’Avana, e sono ricevuti con applausi a Milano con tanto di bandiera cubana, e dichiarano che per loro è «naturale», l’insegnamento che hanno ricevuto è quello «umanitario», per una patria che considerano il «mondo intero bisognoso», come hanno dimostrato per decenni, più soli che mai, nell’Africa devastata da tante epidemie.
Dagli Usa invece molti tweet solidali e tricolori, ma in concreto assai poco, un piccolo ospedale da campo per 10 posti pronto ad Aviano – da dove però è partito il volo militare che ha portato negli Usa 500mila kit diagnostici del coronavirus prodotti in Italia – e un’altra piccola struttura sanitaria allestita a Cremona da una Ong cristiano evangelica. Quel che non si vede proprio è invece l’aiuto massiccio e sostanzioso dell’alleato Trump.
Che fin qui è stato «chiaro»: ha allarmato i suoi cittadini a non venire in Italia, ha bloccato ogni volo civile, ha tardato ad allertare l’America nonostante fosse informato da tempo dai Servizi segreti, continua ad accusare la Cina per nascondere la responsabilità dei suoi ritardi mentre l’epidemia si estende, e si rifiuta – dice «per paura di una statalizzazione che porta al socialismo» – di usare il Defense of Production Act invocato da Sanders e da Cuomo che dà al presidente il potere di costringere tutti i produttori negli Stati Uniti a trasformare le loro fabbriche per fornire al Paese le attrezzature sanitarie necessarie; e alla fine si prepara ad una elargizione a pioggia di finanziamenti sullo sfondo delle presidenziali – accusano i democratici.
Tranquilli però, nell’augurio che tutto finisca presto e che la litania di bare, quasi impossibili da raccontare, si riduca sempre di più, che sia alleviato il dolore delle vittime, che ci sia restituita la nostra vita in comune, ecco che quando torneremo a liberarci dall’oppressione dell’epidemia, tutto tornerà come prima.
Con le nostre mastodontiche spese di decine di miliardi per la difesa e per i nuovi cacciabombardieri – le fabbriche d’armi intanto non i fermano -, per i nostri interventi «umanitari», per simulare nuove pericolose manovre militari a est. Torneremo insomma nella normalità atlantica. Speriamo con qualche dubbio in più.

venerdì 20 marzo 2020

COMUNICATO: Emergenza Coronavirus: *Più investimenti per la salute, meno spese militari* – necessario un nuovo modello di difesa e sicurezza

dalla pagina https://www.azionenonviolenta.it/comunicato-emergenza-coronavirus-piu-investimenti-per-la-salute-meno-spese-militari-necessario-un-nuovo-modello-di-difesa-e-sicurezza/


Comunicato stampa congiunto di
Rete Italiana per il Disarmo e Rete della Pace

L’Italia e il mondo intero stanno affrontando la gravissima emergenza sanitaria derivante dalla pandemia di coronavirus COVID-19, forse la più grande crisi di salute pubblica (e non solo) del dopoguerra per i paesi ricchi ed industrializzati. Rete della Pace e Rete italiana per il Disarmo si uniscono alle voci di vicinanza e compartecipazione ai problemi che l’intero Paese sta vivendo, con un particolare pensiero ai familiari delle vittime e un forte sostegno nei confronti degli operatori della sanità e di chi mantiene operativi i servizi essenziali.
La drammatica situazione causata dal COVID-19 deve farci riflettere e ripensare alle nostre priorità, al concetto di difesa, al valore del lavoro e della salute pubblica, al ruolo dello Stato e dell’economia al servizio del bene comune, con una visione europea ed internazionale, costruendo giustizia sociale, equità, democrazia, pieno accesso ai diritti umani universali, quali condizioni imprescindibili per ottenere sicurezza, benessere e pace.
Non possiamo però dimenticare che l’impatto di questa epidemia è reso ancora più devastante dal continuo e recente indebolimento del Sistema Sanitario Nazionale a fronte di una ininterrotta crescita di fondi e impegno a favore delle spese militari e dell’industria degli armamenti. Non siamo cosi sprovveduti da pensare che tutti i problemi sanitari dell’Italia si possano risolvere con una riduzione della spesa militare (anche per il diverso ordine di grandezza: 5 a 1), ma è del tutto evidente che una parte della soluzione potrebbe risiedere proprio nel trasferimento di risorse dal campo degli eserciti e delle armi a quello del sistema sanitario e delle cure mediche, tenendo conto che le tendenze degli ultimi anni dimostrano una strada diametralmente opposta. Mentre infatti (come dimostrano le analisi della Fondazione GIMBE – Gruppo Italiano per la Medicina Basata sulle Evidenze) la spesa sanitaria ha subito una contrazione complessiva rispetto al PIL passando da oltre il 7% a circa il 6,5% previsto dal 2020 in poi, la spesa militare ha sperimentato un balzo avanti negli ultimi 15 anni con una dato complessivo passato dall’1,25% rispetto al PIL del 2006 fino a circa l’1,40% raggiunto ormai stabilmente negli ultimi anni (a partire in particolare dal 2008 e con una punta massima dell’1,46% nel 2013).
Le stime dell’Osservatorio Mil€x degli ultimi due anni ci parlano di una spesa militare di circa 25 miliardi di euro nel 2019, (cioè 1,40% rispetto al PIL) e di oltre 26 miliardi di euro previsti per il 2020 (cioè l’1,43% rispetto al PIL), quindi quasi ai massimi dell’ultimo decennio.
All’interno di questi costi sono ricompresi sia quelli delle 36 missioni militari all’estero (ormai stabilmente pari a 1,3 miliardi annui circa) sia quelli del cosiddetto “procurement militare”, cioè di acquisti diretti di armamenti. Una cifra che negli ultimi bilanci dello Stato si è sempre collocata tra i 5 e i 6 miliardi di euro annuali. Sono questi i fondi che servono a finanziare lo sviluppo e l’acquisto da parte dell’Italia di sistemi d’arma come i caccia F-35 (almeno 15 miliardi di solo acquisto), le fregate FREMM e tutte le unità previste dalla Legge Navale (6 miliardi di euro complessivi) tra cui la “portaerei” Trieste (che costerà oltre 1 miliardo), elicotteri, missili. Senza dimenticare i 7 miliardi di euro “sbloccati” dalla Difesa e dal MISE, in particolare per mezzi blindati e la prevista “Legge Terrestre” da 5 miliardi (con Leonardo principale beneficiario).
Contemporaneamente nel settore sanitario sono stati tagliati oltre 43.000 posti di lavoro e in dieci anni si è avuto un definanziamento complessivo di 37 miliardi (dati sempre della Fondazione GIMBE) con numero di posti letto per 1.000 abitanti negli ospedali sceso al 3,2 nel 2017 (la media europea è del 5). Le drammatiche notizie delle ultime settimane dimostrano come non siano le armi e gli strumenti militari a garantire davvero la nostra sicurezza, promossa e realizzata invece da tutte quelle iniziative che salvaguardano la salute, il lavoro, l’ambiente (per il quale l’Italia alloca solamente lo 0,7% del proprio bilancio spendendone poi effettivamente solo la metà).
Infine va ricordato come l’Amministrazione statunitense sotto Trump stia spingendo affinché tutti gli alleati NATO raggiungano un livello di spesa militare pari al 2% rispetto al PIL. Una richiesta che, secondo recenti dichiarazioni e notizie di stampa, sarebbe stata accettata anche degli ultimi Governi italiani: ciò significherebbe un ulteriore esborso per spese militari di almeno 10 miliardi di euro per ogni anno. Riteniamo questa prospettiva inaccettabile, soprattutto quando è evidente che dovrebbero essere potenziati i servizi fondamentali per la sicurezza ed il progresso del Paese, a partire dal Sistema Sanitario Nazionale, insieme all’educazione, alla messa in sicurezza idro-geologica del territorio, alla processi di disinquinamento, agli investimenti per l’occupazione.
Il Governo, proprio in queste ore, ha messo in campo misure economiche straordinarie per rispondere all’emergenza sanitaria del coronavirus: “Cura Italia” costa 25 miliardi di denaro fresco, la stessa cifra del Bilancio della Difesa annuale, e certamente non basterà; quanto si potrebbe fare di più risparmiandoci le spese militari anche in tempi ordinari?
In definitiva è essenziale ed urgente:
  • rilanciare proposte e pratiche di vera difesa costituzionale dei valori fondanti la nostra Repubblica, come le iniziative a sostegno della Difesa Civile non armata e Nonviolenta. È necessario un aumento delle spese per la sanità, come è pure necessario investire, senza gravare sulla spesa pubblica, a favore della difesa civile nonviolenta e per questo chiediamo che vi siano trasferimenti di fondi dalla spesa militare verso la Protezione Civile, il Servizio Civile universale, i Corpi civili di Pace, un Istituto di ricerca su Pace e disarmo. Proponiamo inoltre che i contribuenti, in sede di dichiarazione dei redditi, possano fare la scelta se preferiscono finanziare la difesa armata o la difesa civile riunita in un apposito Dipartimento che ne coordini le funzioni.  Un’opzione fiscale del 6 per 1000 a beneficio della difesa civile potrebbe consentire ai cittadini di contribuire direttamente a questa forma nonviolenta di difesa costituzionale, finora trascurata dai Governi che hanno sempre privilegiato la difesa militare armata;
  • ridurre le spese militari ed utilizzare tali fondi per rafforzare la sanità, per l’educazione, per sostenere il rilancio della ricerca e degli investimenti per una economia sostenibile in grado di coniugare equità, salute, tutela del territorio ed occupazione;
  • puntare alla riconversione produttiva (anche grazie alla diversa allocazione dei fondi pubblici) delle industrie a produzione bellica verso il settore civile che consentirebbe, inoltre, di utilizzare migliaia di tecnici altamente qualificati per migliorare la qualità della vita (verso l’economia verde e la lotta al cambiamento climatico), non per creare armi sempre più sofisticate e mortali;
Già subito dopo la seconda guerra mondiale il nascente movimento pacifista chiedeva “Ospedali e scuole, non cannoni”, come ricordava Aldo Capitini alla prima Marcia italiana per la pace e la fratellanza tra i popoli. Dopo 60 anni ci accorgiamo che quel semplice slogan non era un sogno utopistico generico, ma una realistica necessità politica: oggi ci troviamo con ospedali insufficienti e scuole chiuse, mentre spendiamo troppo per le armi. 

Una conversione della difesa dal militare al civile è quello di cui abbiamo tutti  bisogno.


giovedì 19 marzo 2020

Con Isaia, con don Tonino Bello sogniamo un mondo altro, possibile

dalla pagina http://www.paxchristi.it/?p=16608

"Trasformeranno le spade in vomeri e le lance in falci"

Intervento del Vescovo Presidente di Pax Christi, + Giovanni Ricchiuti

Oggi 18 marzo avrei dovuto essere ad Alessano, la città dove nacque + don Tonino Bello, 85 anni fa. Oggi è, in un modo e luogo diversi, il suo compleanno! Questa data, questo giorno in questo tempo così particolare che stiamo vivendo ci fa essere vicini a tutte le persone contagiate, ammalate, ai famigliari delle persone che sono morte. Vicini, lo ripetiamo ancora una volta, a tutti i medici, infermieri, operatori sociosanitari, a quanti nei nostri ospedali, qui al Sud, ma soprattutto al Nord, stanno davvero dando il meglio di sé per contrastare questo virus e curare le persone.
E’ un tempo in cui siamo invitati a riflettere, a pensare, visto che non possiamo e non dobbiamo uscire. E la mia riflessione, illuminata anche dal ricordo di  + don Tonino, è che i politici in primo piano riescano a comprendere che questa pandemia deve portare a rivedere il nostro modo di vivere, di relazionarci, di saper costruire il futuro. Oggi che viviamo questa faticosa solidarietà, siamo invitati a stare più attenti agli altri. Questo ci fa capire quanto sia ancora stupido, folle, pensare ad un mondo che costruisca il suo futuro intorno alla paura dell’altro. All’idea di difendersi dagli altri, che ci sono nemici dappertutto  per cui la strada è quella di armarsi, sottraendo risorse per la scuola, la sanità, la giustizia sociale. Oggi ho letto tanti interventi, alcuni anche un po’ ignorati , perché forse un po’ pungenti che fanno male e si preferisce non ascoltarli.  Parliamo dell’Italia: mancano i posti letto, gli ospedali dedicati a certe patologie, i posti in terapia intensiva, i respiratori, le mascherine..  Mi chiedo: non è perché da diversi anni si sono abbattuti tagli considerevoli sulla sanità? Mai però una coraggiosa messa in discussione sulle spese militari! Siamo chiamati ad una vera e propria rivoluzione pacifica, nel senso della pace, in questo mondo. L’Italia spende per la Difesa circa 68 milioni al giorno! Ma stando alle richieste degli USA e della NATO noi dovremmo spendere ancora di più, per arrivare forse a 100 milioni al giorno? E proprio in questi giorni è in atto questa enorme esercitazione militare USA/NATO “Defender Europe 20”. Quanto costerà? E chi pagherà?  Per non dire degli F 35 e di altre spese folli. Quanti posti letto potremmo realizzare con un solo giorno di spese militari? E quanti respiratori potremmo comperare con un solo F35? O con un solo casco del pilota, che costa 400.000€? 
Proprio   +don Tonino Bello parlava del rischio che il sogno del profeta Isaia venga rovesciato, invece di aratri realizziamo armi!
Invito a leggere il comunicato di ReteDisarmo e Rete della Pace che ben analizza la situazione, con  scelte possibili, da subito:
difesa civile non armata e nonviolenta;  riduzione delle spese militari, utilizzando tali fondi per rafforzare la sanità e la scuola; riconversione delle industrie a produzione bellica verso il settore civile. (https://www.disarmo.org/rete/a/47409.html)
E per evitare fraintendimenti o sterili polemiche vorrei ricordare che dico queste cose avendo ben presente la situazione che viviamo, le sofferenze, le paure e le preoccupazioni dei tanti malati. Lo dico come Pastore della mia Diocesi, come Presidente di Pax Christi e anche come governatore dell’Ospedale Miulli di Acquaviva delle Fonti che, in questi giorni, ha messo a disposizione 300 posti letto, di cui 60 di rianimazione.
Sono rimasto perplesso leggendo l’intervista che il Ministro Guerini ha rilasciato qualche giorno fa al settimanale Famiglia Cristiana. Il Ministro della Difesa, proprio in questi giorni – che non hanno bisogno di ulteriori commenti – giustifica le varie spese militari, gli F35  e armamenti vari, affermando che il “Paese deve poter disporre di uno strumento militare commisurato al rango e alle responsabilità che vuole assumersi”. E ancora “la Nato, con l’Unione Europea è uno dei pilastri della nostra sicurezza…".
No proprio non lo condivido.
Nell’ultima pagina ho letto la sua scheda biografica: con tutto il mio rispetto, ma negli anni in cui egli sceglieva di fare la leva militare, una decina di giovani della parrocchia dove io ero parroco, a Bisceglie, sceglievano l’Obiezione di coscienza al servizio militare. Sono scelte diverse. E capisco perché poi da ministro si ragioni in un certo modo.  E mi rammarico che dopo parecchi mesi, il Ministro Guerini, cattolico, non si sia degnato ancora di dare una risposta alla mia lettera aperta, editoriale di Mosaico di pace dello scorso mese di ottobre.
Non è questo il tempo di polemiche. Ma dobbiamo essere attenti alla realtà che viviamo. Perché ogni evento, anche questo dolorosissimo che stiamo vivendo e non sappiamo ancora per quanto tempo, ci deve ricordare che un mondo altro è possibile. E’ Possibile!
Ma ci vuole coraggio, ci vuole speranza. Ci vuole quella visione di Isaia, “Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci” . Come ci ricordava +don Tonino, il sogno di Isaia, e come anche don Fabio Corazzina ha ben spiegato stamattina in un suo breve video su Facebook davanti ad una delle tante fabbriche di armi a Brescia.
Con Isaia, con + don Tonino Bello e con gli artigiani della pace sogniamo un mondo altro, possibile.

Editoriale del Presidente – Verba Volant  Marzo 2020


+ Giovanni Ricchiuti


Gravina, 18 marzo 2020