10 SET 2019 —
Manlio Dinucci
C’è finalmente un ministro degli Esteri che si impegnerà a far aderire l’Italia al Trattato Onu sulla proibizione delle armi nucleari?
Il neoministro Luigi Di Maio ha sottoscritto nel 2017 il Parliamentary Pledge dell’Ican, coalizione internazionale insignita del Premio Nobel per la Pace. In tal modo il capo politico del Movimento 5 Stelle – attuale ministro degli Esteri – si è impegnato a «promuovere la firma e la ratifica di questo Trattato di rilevanza storica» da parte dell’Italia.
L’Impegno Ican è stato sottoscritto anche da altri attuali ministri 5 Stelle – Alfonso Bonafede (Giustizia), Federico D’Incà (Rapporti con il Parlamento), Fabiana Dadone (Pubblica Amministrazione) – e da altri parlamentari del M5S, come Roberto Fico e Manlio Di Stefano. C’è però un problema.
All’Articolo 4 il Trattato stabilisce: «Ciascuno Stato parte che abbia sul proprio territorio armi nucleari, possedute o controllate da un altro Stato, deve assicurare la rapida rimozione di tali armi».
Per aderire al Trattato Onu, l’Italia dovrebbe quindi richiedere agli Stati uniti di rimuovere dal nostro territorio le bombe nucleari B-61 (che già violano il Trattato di non-proliferazione) e di non installarvi le nuove B61-12 né altre armi nucleari.
Inoltre, poiché l’Italia fa parte dei paesi che (come dichiara la stessa Nato) «forniscono all’Alleanza aerei equipaggiati per trasportare bombe nucleari, su cui gli Stati uniti mantengono l’assoluto controllo, e personale addestrato a tale scopo», per aderire al Trattato Onu l’Italia dovrebbe chiedere di essere esentata da tale funzione.
Richieste impensabili da parte del secondo governo Conte che, come il primo, considera gli Stati uniti «alleato privilegiato». Qui si scoprono le carte.
L’Impegno Ican è stato sottoscritto in Italia da oltre 200 parlamentari, per la maggior parte del Pd e del M5S (circa 90 ciascuno), gli attuali partiti di governo. Con quale risultato?
Il 19 settembre 2017, il giorno prima che il Trattato venisse aperto alla firma, la Camera approvava una mozione Pd (votata anche da Forza Italia e Fratelli d’Italia) che impegnava il governo Gentiloni a «valutare la possibilità di aderire al Trattato Onu».
Da parte sua il M5S non chiedeva l’adesione al Trattato Onu, e quindi la rimozione dall’Italia delle armi nucleari Usa, ma di «dichiarare l'indisponibilità dell'Italia ad utilizzare armi nucleari, e a non acquisire le componenti necessarie per rendere gli aerei F-35 idonei al trasporto di armi nucleari». Ossia che gli F-35, concepiti per l’attacco nucleare soprattutto con le B61-12, siano usati dall’Italia con una sorta di sicura che impedisca l’uso di armi nucleari.
Il giorno dopo il Consiglio nord-atlantico, con il pieno consenso italiano, ha respinto e attaccato il Trattato Onu.
Esso è stato finora firmato da 70 paesi ma, a causa delle pressioni Usa/Nato, ratificato solo da 26 mentre ne occorrono 50 perché entri in vigore.
Lo stesso è avvenuto con il Trattato sulle forze nucleari intermedie affossato da Washington. Sia in sede Nato, Ue e Onu, il primo governo Conte si è accodato alla decisione statunitense, dando luce verde alla installazione di nuovi missili nucleari Usa in Europa, Italia compresa.
Il solenne Impegno sottoscritto dai parlamentari Pd, 5 Stelle e altri si è rivelato dunque, alla prova dei fatti, un espediente demagogico per raccogliere voti. Se per qualcuno non è così, lo dimostri coi fatti.
A causa dell’«imprescindibile legame con gli Stati uniti», ribadito ieri da Conte nel discorso alla Camera, l’Italia viene privata della propria sovranità e trasformata in prima linea della strategia nucleare Usa. Con il consenso e il complice silenzio multipartisan.
(il manifesto, 10 settembre 2019)