Pierre Haski, France Inter, Francia
3 gennaio 2020 11.19
Qassem Soleimani a Teheran, Iran, il 18 settembre 2016. (Afp) |
Forse Donald Trump non l’ha ancora capito, ma da venerdì gli
Stati Uniti sono ufficialmente entrati in guerra con l’Iran
Tutto ciò che è successo finora tra il presidente
statunitense e la repubblica islamica è stato soltanto una premessa. Ordinando
l’eliminazione del generale Qassem Soleimani, potente e carismatico capo
dell’unità speciale Al Quds dei Guardiani della rivoluzione, Donald Trump ha
oltrepassato il Rubicone.
Questo scontro non somiglierà a nessun altro del passato. Di
sicuro non sarà una guerra frontale come l’invasione dell’Iraq del 2003, con le
truppe dell’esercito più potente del mondo inviate in un paese iper-armato ma
disorganizzato. Al contrario, sarà un conflitto multiforme il cui teatro
rischia di essere l’intero Medio Oriente, se non oltre.
Il regime dei mullah a questo punto si gioca la
sopravvivenza, e non si lascerà battere senza combattere. D’altronde è
strutturato e organizzato per questo preciso scopo.
Teheran vorrà vendicare l’eliminazione di un capo militare,
ma soprattutto porterà avanti l’escalation contro gli Stati Uniti
Soleimani era una figura mitica della rivoluzione islamica,
una sorta di Che Guevara iraniano, protagonista della vittoria dell’ayatollah
Khomeini nel 1979 e diventato l’incarnazione del fervore e del messianismo
della rivoluzione, anche oltre le frontiere iraniane.
Lo abbiamo visto ovunque: in Siria, in Libano, in Yemen e
naturalmente in Iraq. Lo abbiamo visto vittorioso tra le rovine di Aleppo, che
Bashar al Assad non avrebbe mai potuto riconquistare senza l’aiuto dei
Guardiani della rivoluzione. Lo abbiamo visto a Mosca mentre parlava di
strategia con Vladimir Putin. Ma soprattutto Soleimani ha manovrato per anni
per aumentare l’influenza iraniana in Iraq, attraverso le stesse milizie sciite
che in settimana hanno preso d’assalto l’ambasciata degli Stati Uniti.
Il generale dipendeva direttamente dalla Guida suprema
iraniana, l’ayatollah Khamenei, e non dal presidente Hassan Rohani, di cui tra
l’altro criticava la moderazione. Dopo il fallimento dell’accordo sul nucleare
è stato Soleimani a prendere il controllo della situazione, dunque si tratta di
una perdita enorme per il regime.
Non soltanto Teheran vorrà vendicare l’eliminazione di un
capo militare di primo piano, ma soprattutto porterà avanti l’escalation contro
gli Stati Uniti. Perché è la sua unica via d’uscita.
La storia ci dirà se Trump, uccidendo il generale, avrà
commesso l’errore che si era ripromesso di non fare, ovvero lanciare gli Stati
Uniti in una di quelle guerre mediorientali senza fine contro cui si scaglia
incessantemente nei suoi raduni elettorali. Per qualche giorno Trump potrà
vantarsi di aver eliminato un grande nemico dell’America. Gonfierà il petto e
si farà passare per un grande stratega.
Ma cosa accadrà dopo? Gli iraniani metteranno in atto la
loro risposta in Iraq, dove l’influenza di Teheran è profonda, in Arabia
Saudita, dove gli interessi statunitensi sono enormi, e anche altrove, dove
nessuno se l’aspetta.
Donald Trump, a quel punto, non avrà altra scelta se non
continuare anche lui sulla via dell’escalation. Dopo aver colpito il nemico
alla testa, non potrà certo fare un passo indietro. La vittoria di oggi rischia
di durare poco.
(Traduzione di Andrea Sparacino)