di Roberto Quaglia – Roberto.info
Il 25 Agosto 2011 la trasmissione “La Storia Siamo Noi” di Giovanni Minoli trasmette il primo serio servizio giornalistico della TV italiana sul grande inganno dell’attentato terroristico dell’11 settembre 2001. Grande plauso in rete, hurrà hurrà nella blogosfera, standing ovation del “popolo complottista”. La vera notizia tuttavia non è questa. La vera notizia è che tutto ciò lascia il tempo che trova. La vera notizia è che neppure quando la RAI dichiara in un proprio servizio giornalistico che l’11 settembre è in tutta evidenza un’operazione Made in USA si producano effetti concreti nella società politica e civile. In altre parole, è stata sdoganata la vera storia dell’11 settembre, evviva, evviva, la verità ha trionfato, affinché tutto continui esattamente come prima. Nessun politico rinuncerà a recitare i dovuti mantra sulla lotta al terrorismo. Nessun telegiornale smetterà di attribuire al mitologico Osama Bin Laden, il Babbo Natale del Male, la responsabilità degli attacchi.
Insomma, ora che la verità è stata ufficializzata da Mamma RAI, possiamo allegramente continuare ad ignorarla come se niente fosse. Benvenuti nell’affascinante mondo del bispensiero.
Eppure, non è così che doveva funzionare. Sulle istruzioni per l’uso della democrazia c’è l’affascinante capitolo del libero giornalismo investigativo, capace di scavare nelle porcherie commesse dai politici, inchiodarli alle loro responsabilità e cambiare il mondo in meglio. Una miriade di film di Hollywood ci ripropone questo tema. Nei film che hanno riempito i nostri cervelli, ogni volta che la stampa fa il suo dovere di denuncia i potenti che hanno commesso qualcosa che non avrebbero dovuto ne pagano interamente le conseguenze. C’è un intero filone di film nei quali i buoni protagonisti sfuggono ad orde di sicari che vogliono loro impedire di dare alla stampa dossier scottanti sul politico cattivo di turno. Alla fine ovviamente il Bene trionfa, i dossier giungono alla stampa che li divulga e per i cattivoni questo significa tipicamente la fine, a volte addirittura fra orribili supplizi. Questo è il mito. La realtà però è un’altra cosa.
Il mito rafforzato dalla tradizione dei Premi Pulitzer e dall’esempio dello scandalo Watergate, il mito del giornalismo che con un’inchiesta coraggiosa riesce a cambiare lo stato delle cose perché questo è lo spirito della democrazia – è in realtà un Vaso di Pandora… vuoto! Apri, apri pure il Vaso di Pandora, caro mio… tanto alla fine non ne esce niente e non succede un cazzo.
I giornalisti eroicamente scavano in argomenti scomodi portando alla luce verità scomode ai potenti, vincono i premi Pulitzer e cambiano il mondo solo nei film di Hollywood. Nella realtà più tipicamente perdono il posto. Come i giornalisti tedeschi Gerard Wisnewsky e Willy Brunner, che nel 2003 fecero un bel servizio giornalistico non allineato sull’11 settembre (in particolare sul volo fantasma United Airlines 93, l’aereo che il mito vuole si sia schiantato in Pennsylvania in seguito alla ribellione degli eroici passeggeri) per la rete pubblica tedesca WRD. Il documentario ebbe straordinari indici di ascolto, ma i giornalisti vennero in seguito espulsi dalla tivù tedesca, e mai più riammessi. Come il giornalista tedesco Oliver Janic, che nel 2010 scrisse due ampi ed onesti articoli sugli autentici retroscena dell’11 settembre per il settimanale finanziario Focus-Money. Anch’egli perse il lavoro.
Questo significa che anche la carriera di Giovanni Minoli è giunta a capolinea? No, credo proprio di no, per i motivi che vedremo più avanti.
Come mai è oggi possibile dire anche in tivù la verità sull’11 settembre, senza che questo produca alcun effetto? La cosa vi stupisce?
Se la cosa vi sorprende è perché non avete ben chiaro come funzioni il processo dell’apprendimento nel cervello umano. Né i processi che regolano l’umore sociale delle masse. Ma non temete: i burattinai che reggono le fila dell’informazione invece conoscono queste cose benissimo!
Un’unità di informazione si afferma solo quando reiterata innumerevoli volte. Trasmessa una sola volta essa non informa. Piuttosto, paradossalmente essa vaccina contro il proprio stesso contenuto. Lascia i destinatari con la vaga impressione di sapere qualcosa di un dato argomento, il che alla lunga elimina ogni curiosità sul tema. L’illusione di sapere è il peggior nemico del sapere. E l’illusione di sapere è ciò che meglio rappresenta lo Zeitgeist della nostra epoca.
Per quello che riguarda l’umore sociale delle masse, il trucco per non turbarlo sta nell’abituare il pubblico per gradi alle nozioni destabilizzanti. Lasciare sì trapelare la verità, ma a piccole dosi, gradualmente. Una bomba scoppia solo se tutto l’esplosivo che essa contiene viene acceso contemporaneamente. Bruciandolo invece per gradi e a piccole dosi alla fine ti accorgi che la bomba non c’è più - non è mai scoppiata, né mai più scoppierà.
E’ per questo che quando oggi la RAI finalmente si occupa in modo serio dei fatti dell’11 settembre, ciò non ha alcun impatto. Dieci anni di ciance hanno vaccinato il pubblico e disinnescato la bomba. Inutile dire che tutto ciò non è casuale.
Diverso effetto avrebbe avuto l’inchiesta di Minoli se fosse andata in onda nel 2003, quando le notizie in essa contenuta erano fresche. Intendiamoci, non sarebbe venuto giù il mondo, ma per lo meno avremmo notato qualche turbolenza.
Quando nel 2003 sulla rivista online Delos pubblicai uno dei primi articoli sul tema in Italia, Tutto quello che avreste sempre voluto sapere sull’11 settembre 2001, ma che non avete mai osato chiedervi, l’argomento era vergine e qualche piccola turbolenza la generò. Decine di migliaia di persone in pochi giorni lessero il mio articolo in un contesto dove solitamente godevo al massimo di un paio di migliaia di lettori, e l’articolo venne clonato e replicato ovunque sul web. E quando pochi mesi dopo questo mio articolo venne ripubblicato come saggio di apertura del libro Tutto quello che sai è falso, il botto fu ancora più grosso: oltre settantamila copie di tiratura, una cosa mai vista per un editore microscopico, Nuovimondimedia. L’articolo annunciava anche l’imminente uscita del mio libro sul tema, ma Nuovimondimedia non l’avrebbe mai pubblicato. Da lì a poco la piccola casa editrice venne infatti intimidita dagli americani in diretta televisiva durante un popolare talk show, e guarda caso dopodiché se ne guardò bene dal pubblicare il mio libro (e per inciso se ne guardò anche bene dal pagarmi i diritti d’autore per il mio saggio; con una tiratura di oltre 70.000 copie a prezzo di copertina 23 euro – un incasso lordo che supera il milione e mezzo di euro – zero virgola zero euro esatti di diritti d’autore è invero un po’ pochino; gente simpatica, eh, questi “compagni che sbagliano”!)
Anziché ad inizio 2004, quando avrebbe potuto creare qualche turbolenza, il mio libro “Il Mito dell’11 Settembre” fu pubblicato solo a metà 2006, da un altro piccolo editore, Ponsinmor. Nel frattempo, il pubblico italiano era stato già stato “vaccinato” contro l’argomento. La tivù italiana si occupò infatti dell’argomento per qualche tempo, in modo estremamente superficiale ed inconcludente, quando non palesemente manipolatorio, mentre abili disinformatori (i sedicenti “debunkers”) sparavano a mitraglia sul web e nei talk shows ragionamenti orecchiabili basati su informazioni false o fuorvianti per “dimostrare” che la Verità Rivelata del Pentagono era Bibbia. Con il corollario che chi non credeva in essa acriticamente era un cosiddetto “complottista”. Abbiamo ormai imparato a conoscere questa parola magica e scaramantica che viene scagliata contro chi non si beve le storie inverosimili che gli vengono raccontate, ideata per poter screditare qualcuno senza dover spiegarne in dettaglio il perché e il percome. Ma perché c’è così tanta gente che accetta di riconoscersi in quell’etichetta cretina racchiusa nel termine “complottista”, concepita per screditarli? Voi che non credete alla narrazione assurda della versione ufficiale sui fatti dell’11 settembre siete semplicemente degli scettici. Perché lasciate che vi chiamino “complottisti”? Cerchiamo di rispettare i significati della lingua italiana. Tu mi racconti una storia e se io non ci credo sono uno scettico. Non un “complottista”. Uno scettico. Tu non riesci a convincermi con le tue narrazioni? Cazzi tuoi. Perché te la prendi con me coniando epiteti che vorrebbero insultarmi? Il problema è di chi non sa raccontare storie credibile, non di chi sia rotto i maroni ad ascoltarle.
L’inchiesta RAI di Minoli sull’11 settembre segna probabilmente un punto di svolta di questa moderna epopea. I fiduciosi e gli ingenui si rallegrano per l’alzata di capo del giornalismo di qualità. Ma siamo certi che sia tutto oro quel che luce? Dopotutto non è che un giornalista che per dieci anni si sia cagato sotto ad affrontare come si deve questa patata bollente un bel mattino si svegli, si guardi allo specchio ed esclami: “Toh, oggi non mi cago più sotto.” – e vai giù duro con le verità indicibili sull’11 settembre! Nel mondo reale (non in quello disneyano di Hollywood) occorrono consensi molto in alto nelle stanze dei bottoni per realizzare effettivamente una trasmissione come quella di Minoli. Vi risulta che qualcuno abbia chiesto la testa del giornalista per l’audace azzardo da egli osato? Macché. Vi risulta che abbia protestato l’ambasciata americana? Macché. Eppure, se quanto sostenuto nella sua trasmissione fosse falso, si tratterebbe di un’inaudita diffamazione degli Stati Uniti d’America. Come mai tutti zitti e nessuno protesta? Non sarà mica… coda di paglia? La notizia – dal significato univoco – è proprio che lo scoop di Minoli non abbia fatto notizia, e che soprattutto non abbia generato reazioni fra i potenti che in Italia hanno sempre sostenuto la versione ufficiale dei fatti, ambasciata americana per prima. Piuttosto, notiamo che la mossa di Minoli non è in realtà un caso isolato. In occasione del decennale anche il grande settimanale l’Espresso fa la sua parte, uscendosene con allegato alla rivista nientedimeno che il film Zero sull’11 settembre. Accipicchia. Per anni omertosi, e adesso improvvisamente tutti audaci giornalisti, oppure azione concertata con finalità ancora da scoprire? In questi stessi giorni la rete televisiva pubblica austriaca ORF2 ha trasmesso il documentario 911 Mysteries, altra pietra miliare del movimento per la verità sull’11 settembre, incentrato sull’analisi della demolizione controllata delle Torri. Io stesso nelle ultime ore ho ricevuto proposte di interviste da parte di giornali per i quali sino ad ieri non esistevo.
Si sta forse preparando un grande rito catartico di caccia ai (finti) veri colpevoli dei fatti dell’11 settembre? Dopotutto la “democratica” società occidentale non può sopravvivere indefinitivamente a questo bubbone dell’11 settembre che continua a crescere con sempre meno gente disposta a credere alle panzane ufficiali. Gli antibiotici non sono serviti. L’infezione memetica è ormai inarrestabile e il bubbone è in crescita esplosiva. Nel 2003 eravamo in quattro gatti a dubitare della Verità Rivelata sull’11 Settembre ed ora siamo in centinaia e centinaia di milioni nel mondo. Solo i lentissimi di comprendonio ancora si bevono le balle ufficiali mentre gli articoli sul tema pubblicati sulle versioni online della grande stampa internazionale vedono l’area commenti dei lettori infestata di messaggi all’insegna del “BUU -BUUU, ANDATE A NASCONDERVI!”. L’unica soluzione potrebbe essere quella di fare scoppiare il bubbone e concedersi un giro nel rito tribale di fare la festa al capro espiatorio di turno. Per quanto il pubblico sia vaccinato contro “la teoria del complotto”, reiterando a sufficenza lo stimolo sui giornali “autorevoli” non ci vorrebbe molto a spostare il gregge sul sentiero “complottista”. Anche i più vergognosi “debunkers” arriverebbero a proclamare con la faccia come il culo: “Io l’avevo sempre detto che era un complotto!” E’ dunque questo il piano?
Ma c’è un’altra spiegazione possibile. E’ noto che le alte sfere del potere statunitense siano divise in due fazioni principali, non sempre concordi sulle politiche da seguire. Si tratta dei cosiddetti Neocons e i cosiddetti Realisti. I primi sono gli autori del famigerato Project For a New American Century (PNAC), in cui nel 2000 auspicavano il verificarsi di una nuova Pearl Harbour. Qualcuno sostiene che non si siano limitati ad auspicare. I secondi sono meno ideologicizzati ed hanno un approccio più pragmatico alla politica. Celebre fu un discorso di Zbigniew Brzezinski, importante esponente dei Realisti, al Senato americano a Febbraio 2007, in cui egli ammonì della possibilità di attacco terroristico false-flag (in pratica un autoattentato) in America per creare il pretesto per un attacco all’Iran. Era un monito che in realtà serviva a dissuadere chi si stava evidentemente apprestando a tal gesto. Un nuovo e più pesante evento tipo 11 settembre è infatti nell’aria ormai da anni. I Realisti sono notoriamente contrari. Potrebbe mai essere che lo sdoganamento delle “teorie del complotto”, avviato alle periferie dell’impero americano (dove può fare pochi danni), siano state ordinate dal ramo Realista della politica americana, allo scopo di bloccare i nuovi autoattentati che l’altra fazione stia eventualmente preparando? La posta in gioco è enorme, poiché è opinione diffusa che il prossimo evento-tipo-11-Settembre sarà probabilmente di natura nucleare. Il marketing a riguardo ha già riempito giornali e telegiornali. E pure Hollywood ha fatto di tutto per prepararci all’evento, così che quando accada ci sembri ovvio, anziché assurdo.
Tutto questo è tuttavia per ora nulla più che fantapolitica, esercizi di ragionamento operati sulla base di informazioni insufficienti. Qualcosa però mi dice che in un futuro non troppo remoto, con il classico senno del poi, tutto ci sarà più chiaro.
Per il decennale dell’11 settembre 2001, annuncio inoltre l’uscita della edizione in inglese del mio libro “Il Mito dell’11 Settembre”. E’ una edizione aggiornata, con parecchi capitoli in più rispetto all’ultima edizione italiana, aggiunti per includere novità molto importanti emerse negli ultimi anni. In inglese è titolato The Myth of September 11 ed il sottotitolo, anch’esso evolutosi rispetto all’edizione italiana, è The Satanic Verses of Western Democracy (I Versetti Satanici della Democrazia Occidentale). Il libro è acquistabile su Amazon.com e sta uscendo anche una conveniente versione ebook a prezzo stracciato, 4 euro circa.
Ricordo che il mio libro Il Mito dell’11 Settembre (oltre 600 pagine) ha avuto la sua prima edizione italiana nel 2006, una seconda edizione italiana fortemente aggiornata nel 2007, una edizione in rumeno nel 2009 e adesso una edizione ulteriormente aggiornata in inglese nel 2011.
Ciò nonostante, vari siti web italiani che si ergono a punto di
riferimento nella ricerca di verità sull’11 settembre (con eccellenti
eccezioni, per carità), in tutti questi anni sono riusciti a non
menzionare l’esistenza del mio libro neppure una volta (a parte nei
commenti dei visitatori dei suddetti siti, spesso lettori entusiasti del
mio libro). In ciò si sono dimostrati indistinguibili dalla grande e
corrotta stampa mainstream. Curioso, vero? Esplorate a fondo tali siti
per credere. Non li nomino così vi divertite di più a scoprire quali
sono.
Come regalo per il decennale, lascio quindi al lettore il privilegio di riflettere su cosa ciò effettivamente significhi ed eventualmente implichi. A pensare male si fa peccato, ma…
Roberto Quaglia
Genova, 9 Settembre 2011
Altre notizie inconsuete su Edicola.biz
Il 25 Agosto 2011 la trasmissione “La Storia Siamo Noi” di Giovanni Minoli trasmette il primo serio servizio giornalistico della TV italiana sul grande inganno dell’attentato terroristico dell’11 settembre 2001. Grande plauso in rete, hurrà hurrà nella blogosfera, standing ovation del “popolo complottista”. La vera notizia tuttavia non è questa. La vera notizia è che tutto ciò lascia il tempo che trova. La vera notizia è che neppure quando la RAI dichiara in un proprio servizio giornalistico che l’11 settembre è in tutta evidenza un’operazione Made in USA si producano effetti concreti nella società politica e civile. In altre parole, è stata sdoganata la vera storia dell’11 settembre, evviva, evviva, la verità ha trionfato, affinché tutto continui esattamente come prima. Nessun politico rinuncerà a recitare i dovuti mantra sulla lotta al terrorismo. Nessun telegiornale smetterà di attribuire al mitologico Osama Bin Laden, il Babbo Natale del Male, la responsabilità degli attacchi.
Insomma, ora che la verità è stata ufficializzata da Mamma RAI, possiamo allegramente continuare ad ignorarla come se niente fosse. Benvenuti nell’affascinante mondo del bispensiero.
Eppure, non è così che doveva funzionare. Sulle istruzioni per l’uso della democrazia c’è l’affascinante capitolo del libero giornalismo investigativo, capace di scavare nelle porcherie commesse dai politici, inchiodarli alle loro responsabilità e cambiare il mondo in meglio. Una miriade di film di Hollywood ci ripropone questo tema. Nei film che hanno riempito i nostri cervelli, ogni volta che la stampa fa il suo dovere di denuncia i potenti che hanno commesso qualcosa che non avrebbero dovuto ne pagano interamente le conseguenze. C’è un intero filone di film nei quali i buoni protagonisti sfuggono ad orde di sicari che vogliono loro impedire di dare alla stampa dossier scottanti sul politico cattivo di turno. Alla fine ovviamente il Bene trionfa, i dossier giungono alla stampa che li divulga e per i cattivoni questo significa tipicamente la fine, a volte addirittura fra orribili supplizi. Questo è il mito. La realtà però è un’altra cosa.
Il mito rafforzato dalla tradizione dei Premi Pulitzer e dall’esempio dello scandalo Watergate, il mito del giornalismo che con un’inchiesta coraggiosa riesce a cambiare lo stato delle cose perché questo è lo spirito della democrazia – è in realtà un Vaso di Pandora… vuoto! Apri, apri pure il Vaso di Pandora, caro mio… tanto alla fine non ne esce niente e non succede un cazzo.
I giornalisti eroicamente scavano in argomenti scomodi portando alla luce verità scomode ai potenti, vincono i premi Pulitzer e cambiano il mondo solo nei film di Hollywood. Nella realtà più tipicamente perdono il posto. Come i giornalisti tedeschi Gerard Wisnewsky e Willy Brunner, che nel 2003 fecero un bel servizio giornalistico non allineato sull’11 settembre (in particolare sul volo fantasma United Airlines 93, l’aereo che il mito vuole si sia schiantato in Pennsylvania in seguito alla ribellione degli eroici passeggeri) per la rete pubblica tedesca WRD. Il documentario ebbe straordinari indici di ascolto, ma i giornalisti vennero in seguito espulsi dalla tivù tedesca, e mai più riammessi. Come il giornalista tedesco Oliver Janic, che nel 2010 scrisse due ampi ed onesti articoli sugli autentici retroscena dell’11 settembre per il settimanale finanziario Focus-Money. Anch’egli perse il lavoro.
Questo significa che anche la carriera di Giovanni Minoli è giunta a capolinea? No, credo proprio di no, per i motivi che vedremo più avanti.
Come mai è oggi possibile dire anche in tivù la verità sull’11 settembre, senza che questo produca alcun effetto? La cosa vi stupisce?
Se la cosa vi sorprende è perché non avete ben chiaro come funzioni il processo dell’apprendimento nel cervello umano. Né i processi che regolano l’umore sociale delle masse. Ma non temete: i burattinai che reggono le fila dell’informazione invece conoscono queste cose benissimo!
Un’unità di informazione si afferma solo quando reiterata innumerevoli volte. Trasmessa una sola volta essa non informa. Piuttosto, paradossalmente essa vaccina contro il proprio stesso contenuto. Lascia i destinatari con la vaga impressione di sapere qualcosa di un dato argomento, il che alla lunga elimina ogni curiosità sul tema. L’illusione di sapere è il peggior nemico del sapere. E l’illusione di sapere è ciò che meglio rappresenta lo Zeitgeist della nostra epoca.
Per quello che riguarda l’umore sociale delle masse, il trucco per non turbarlo sta nell’abituare il pubblico per gradi alle nozioni destabilizzanti. Lasciare sì trapelare la verità, ma a piccole dosi, gradualmente. Una bomba scoppia solo se tutto l’esplosivo che essa contiene viene acceso contemporaneamente. Bruciandolo invece per gradi e a piccole dosi alla fine ti accorgi che la bomba non c’è più - non è mai scoppiata, né mai più scoppierà.
E’ per questo che quando oggi la RAI finalmente si occupa in modo serio dei fatti dell’11 settembre, ciò non ha alcun impatto. Dieci anni di ciance hanno vaccinato il pubblico e disinnescato la bomba. Inutile dire che tutto ciò non è casuale.
Diverso effetto avrebbe avuto l’inchiesta di Minoli se fosse andata in onda nel 2003, quando le notizie in essa contenuta erano fresche. Intendiamoci, non sarebbe venuto giù il mondo, ma per lo meno avremmo notato qualche turbolenza.
Quando nel 2003 sulla rivista online Delos pubblicai uno dei primi articoli sul tema in Italia, Tutto quello che avreste sempre voluto sapere sull’11 settembre 2001, ma che non avete mai osato chiedervi, l’argomento era vergine e qualche piccola turbolenza la generò. Decine di migliaia di persone in pochi giorni lessero il mio articolo in un contesto dove solitamente godevo al massimo di un paio di migliaia di lettori, e l’articolo venne clonato e replicato ovunque sul web. E quando pochi mesi dopo questo mio articolo venne ripubblicato come saggio di apertura del libro Tutto quello che sai è falso, il botto fu ancora più grosso: oltre settantamila copie di tiratura, una cosa mai vista per un editore microscopico, Nuovimondimedia. L’articolo annunciava anche l’imminente uscita del mio libro sul tema, ma Nuovimondimedia non l’avrebbe mai pubblicato. Da lì a poco la piccola casa editrice venne infatti intimidita dagli americani in diretta televisiva durante un popolare talk show, e guarda caso dopodiché se ne guardò bene dal pubblicare il mio libro (e per inciso se ne guardò anche bene dal pagarmi i diritti d’autore per il mio saggio; con una tiratura di oltre 70.000 copie a prezzo di copertina 23 euro – un incasso lordo che supera il milione e mezzo di euro – zero virgola zero euro esatti di diritti d’autore è invero un po’ pochino; gente simpatica, eh, questi “compagni che sbagliano”!)
Anziché ad inizio 2004, quando avrebbe potuto creare qualche turbolenza, il mio libro “Il Mito dell’11 Settembre” fu pubblicato solo a metà 2006, da un altro piccolo editore, Ponsinmor. Nel frattempo, il pubblico italiano era stato già stato “vaccinato” contro l’argomento. La tivù italiana si occupò infatti dell’argomento per qualche tempo, in modo estremamente superficiale ed inconcludente, quando non palesemente manipolatorio, mentre abili disinformatori (i sedicenti “debunkers”) sparavano a mitraglia sul web e nei talk shows ragionamenti orecchiabili basati su informazioni false o fuorvianti per “dimostrare” che la Verità Rivelata del Pentagono era Bibbia. Con il corollario che chi non credeva in essa acriticamente era un cosiddetto “complottista”. Abbiamo ormai imparato a conoscere questa parola magica e scaramantica che viene scagliata contro chi non si beve le storie inverosimili che gli vengono raccontate, ideata per poter screditare qualcuno senza dover spiegarne in dettaglio il perché e il percome. Ma perché c’è così tanta gente che accetta di riconoscersi in quell’etichetta cretina racchiusa nel termine “complottista”, concepita per screditarli? Voi che non credete alla narrazione assurda della versione ufficiale sui fatti dell’11 settembre siete semplicemente degli scettici. Perché lasciate che vi chiamino “complottisti”? Cerchiamo di rispettare i significati della lingua italiana. Tu mi racconti una storia e se io non ci credo sono uno scettico. Non un “complottista”. Uno scettico. Tu non riesci a convincermi con le tue narrazioni? Cazzi tuoi. Perché te la prendi con me coniando epiteti che vorrebbero insultarmi? Il problema è di chi non sa raccontare storie credibile, non di chi sia rotto i maroni ad ascoltarle.
L’inchiesta RAI di Minoli sull’11 settembre segna probabilmente un punto di svolta di questa moderna epopea. I fiduciosi e gli ingenui si rallegrano per l’alzata di capo del giornalismo di qualità. Ma siamo certi che sia tutto oro quel che luce? Dopotutto non è che un giornalista che per dieci anni si sia cagato sotto ad affrontare come si deve questa patata bollente un bel mattino si svegli, si guardi allo specchio ed esclami: “Toh, oggi non mi cago più sotto.” – e vai giù duro con le verità indicibili sull’11 settembre! Nel mondo reale (non in quello disneyano di Hollywood) occorrono consensi molto in alto nelle stanze dei bottoni per realizzare effettivamente una trasmissione come quella di Minoli. Vi risulta che qualcuno abbia chiesto la testa del giornalista per l’audace azzardo da egli osato? Macché. Vi risulta che abbia protestato l’ambasciata americana? Macché. Eppure, se quanto sostenuto nella sua trasmissione fosse falso, si tratterebbe di un’inaudita diffamazione degli Stati Uniti d’America. Come mai tutti zitti e nessuno protesta? Non sarà mica… coda di paglia? La notizia – dal significato univoco – è proprio che lo scoop di Minoli non abbia fatto notizia, e che soprattutto non abbia generato reazioni fra i potenti che in Italia hanno sempre sostenuto la versione ufficiale dei fatti, ambasciata americana per prima. Piuttosto, notiamo che la mossa di Minoli non è in realtà un caso isolato. In occasione del decennale anche il grande settimanale l’Espresso fa la sua parte, uscendosene con allegato alla rivista nientedimeno che il film Zero sull’11 settembre. Accipicchia. Per anni omertosi, e adesso improvvisamente tutti audaci giornalisti, oppure azione concertata con finalità ancora da scoprire? In questi stessi giorni la rete televisiva pubblica austriaca ORF2 ha trasmesso il documentario 911 Mysteries, altra pietra miliare del movimento per la verità sull’11 settembre, incentrato sull’analisi della demolizione controllata delle Torri. Io stesso nelle ultime ore ho ricevuto proposte di interviste da parte di giornali per i quali sino ad ieri non esistevo.
Si sta forse preparando un grande rito catartico di caccia ai (finti) veri colpevoli dei fatti dell’11 settembre? Dopotutto la “democratica” società occidentale non può sopravvivere indefinitivamente a questo bubbone dell’11 settembre che continua a crescere con sempre meno gente disposta a credere alle panzane ufficiali. Gli antibiotici non sono serviti. L’infezione memetica è ormai inarrestabile e il bubbone è in crescita esplosiva. Nel 2003 eravamo in quattro gatti a dubitare della Verità Rivelata sull’11 Settembre ed ora siamo in centinaia e centinaia di milioni nel mondo. Solo i lentissimi di comprendonio ancora si bevono le balle ufficiali mentre gli articoli sul tema pubblicati sulle versioni online della grande stampa internazionale vedono l’area commenti dei lettori infestata di messaggi all’insegna del “BUU -BUUU, ANDATE A NASCONDERVI!”. L’unica soluzione potrebbe essere quella di fare scoppiare il bubbone e concedersi un giro nel rito tribale di fare la festa al capro espiatorio di turno. Per quanto il pubblico sia vaccinato contro “la teoria del complotto”, reiterando a sufficenza lo stimolo sui giornali “autorevoli” non ci vorrebbe molto a spostare il gregge sul sentiero “complottista”. Anche i più vergognosi “debunkers” arriverebbero a proclamare con la faccia come il culo: “Io l’avevo sempre detto che era un complotto!” E’ dunque questo il piano?
Ma c’è un’altra spiegazione possibile. E’ noto che le alte sfere del potere statunitense siano divise in due fazioni principali, non sempre concordi sulle politiche da seguire. Si tratta dei cosiddetti Neocons e i cosiddetti Realisti. I primi sono gli autori del famigerato Project For a New American Century (PNAC), in cui nel 2000 auspicavano il verificarsi di una nuova Pearl Harbour. Qualcuno sostiene che non si siano limitati ad auspicare. I secondi sono meno ideologicizzati ed hanno un approccio più pragmatico alla politica. Celebre fu un discorso di Zbigniew Brzezinski, importante esponente dei Realisti, al Senato americano a Febbraio 2007, in cui egli ammonì della possibilità di attacco terroristico false-flag (in pratica un autoattentato) in America per creare il pretesto per un attacco all’Iran. Era un monito che in realtà serviva a dissuadere chi si stava evidentemente apprestando a tal gesto. Un nuovo e più pesante evento tipo 11 settembre è infatti nell’aria ormai da anni. I Realisti sono notoriamente contrari. Potrebbe mai essere che lo sdoganamento delle “teorie del complotto”, avviato alle periferie dell’impero americano (dove può fare pochi danni), siano state ordinate dal ramo Realista della politica americana, allo scopo di bloccare i nuovi autoattentati che l’altra fazione stia eventualmente preparando? La posta in gioco è enorme, poiché è opinione diffusa che il prossimo evento-tipo-11-Settembre sarà probabilmente di natura nucleare. Il marketing a riguardo ha già riempito giornali e telegiornali. E pure Hollywood ha fatto di tutto per prepararci all’evento, così che quando accada ci sembri ovvio, anziché assurdo.
Tutto questo è tuttavia per ora nulla più che fantapolitica, esercizi di ragionamento operati sulla base di informazioni insufficienti. Qualcosa però mi dice che in un futuro non troppo remoto, con il classico senno del poi, tutto ci sarà più chiaro.
Per il decennale dell’11 settembre 2001, annuncio inoltre l’uscita della edizione in inglese del mio libro “Il Mito dell’11 Settembre”. E’ una edizione aggiornata, con parecchi capitoli in più rispetto all’ultima edizione italiana, aggiunti per includere novità molto importanti emerse negli ultimi anni. In inglese è titolato The Myth of September 11 ed il sottotitolo, anch’esso evolutosi rispetto all’edizione italiana, è The Satanic Verses of Western Democracy (I Versetti Satanici della Democrazia Occidentale). Il libro è acquistabile su Amazon.com e sta uscendo anche una conveniente versione ebook a prezzo stracciato, 4 euro circa.
Ricordo che il mio libro Il Mito dell’11 Settembre (oltre 600 pagine) ha avuto la sua prima edizione italiana nel 2006, una seconda edizione italiana fortemente aggiornata nel 2007, una edizione in rumeno nel 2009 e adesso una edizione ulteriormente aggiornata in inglese nel 2011.
Come regalo per il decennale, lascio quindi al lettore il privilegio di riflettere su cosa ciò effettivamente significhi ed eventualmente implichi. A pensare male si fa peccato, ma…
Roberto Quaglia
Genova, 9 Settembre 2011
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